Le imprese di famiglia nel mondo dei quotidiani hanno una lunga tradizione, anche in Svizzera. Non tutte sono sopravvissute ma alcune tengono ancora banco, con successo: i Ringier a Zofingen («Blick», «Schweizer Illustrierte», «L’Hébdo»), i Coninx a Zurigo (in quanto titolari del gruppo Tamedia, editore del «Tages-Anzeiger» e di «Le Temps»)… Nel piccolo gruppo, tre famiglie ticinesi: i Soldati, eredi del fondatore del «Corriere del Ticino» nel 1891, i Salvioni, editori de «Il Dovere» dal 1911 al 1992 e in seguito de «laRegione», e i Rezzonico, dal 1935 al 1992 editori de «l’Eco di Locarno», dal 1994 del domenicale «il caffè»… Il «Corriere del Ticino» festeggia in queste settimane il 125.mo dalla fondazione, avvenuta alla fine del 1891 per iniziativa di Agostino Soldati (1857-1938), terzo di tredici figli di una famiglia patriarcale di Neggio nel Malcantone. L’albero genea-logico dei suoi eredi conterà dunque moltissimo, in questo articolo: ma più ancora si vorrà mettere in risalto l’indirizzo politico e sociale che la famiglia ha impresso all’azienda e che nei decenni si è evoluto con una coerenza di cui è giusto dare atto.
Il rapporto del fondatore con la realtà del suo tempo è campo di indagine della storiografia più autorevole (per tutti: A. Ghiringhelli, Il Ticino della transizione 1889-1922, Dadò, Locarno 1988). Stupisce semmai che a una figura come quella di Agostino Soldati non sia mai stata dedicata una monografia: dalla pubblicistica disponibile egli emerge tuttavia con una statura politica fuori dal comune. Alla fine dell’Ottocento era tra i fautori di un Ticino aperto al progresso civile e proto-industriale (in questo gli furono sodali i suoi fratelli: Giuseppe e Pio, che avevano fatto fortuna in Argentina). In politica Agostino Soldati cercò a lungo di tracciare una via mediana tra liberali e conservatori, impostando una «politica delle cose»: ma rimase deluso.
La messa in angolo di uno dei due storici contendenti (il partito liberale radicale) sarebbe avvenuta soltanto nel 1921 con l’entrata in governo dei socialisti, un’evoluzione che Soldati mostrò di non apprezzare. Sarebbe anacronistico, retrospettivamente, fargli carico di non aver intuito l’importanza del socialismo democratico (quando egli nacque, negli anni Cinquanta dell’Ottocento, il Regno d’Italia non esisteva ancora e in Francia governava Napoleone III). Ma ebbe un merito, che la celebrazione di questi giorni giustamente mette in rilievo: quello di capire che su premesse differenti – editoriali, non partitiche – si poteva fondare un giornale non meno influente. L’avvenire del foglio si sarebbe edificato senza agganci politici o religiosi, diversamente da tutti i giornali di quel tempo in Ticino: a contare sarebbe stato solo il successo editoriale. La storia gli diede ragione.
Giunto alla sera della sua vita, Agostino – che non aveva figli – ritenne di lasciare la proprietà del giornale al nipote Raffaele Soldati (figlio di un suo fratello Silvio, morto nel 1923). Questi, tre anni dopo, nel 1941, decise a sua volta di separare il giornale dalle proprietà della famiglia, costituendo una fondazione in cui coinvolse il cugino Agostino Soldati (1910-1966), diplomatico e ambasciatore svizzero in varie capitali. Il governo della fondazione appartiene da allora in parti uguali al ramo di Neggio (rappresentato da Raffaele e dai suoi successori) e al ramo d’Argentina (rappresentato dall’ambasciatore Agostino e dai suoi successori). La presidenza si sarebbe alternata tra l’uno e l’altro ramo.
Negli anni dell’immediato secondo dopoguerra, il «Corriere» era sempre e ancora diretto da Vittore Frigerio (1885-1961), un milanese che Agostino Soldati aveva chiamato nel 1912 alla guida della redazione e che si era fatto un nome come autore di romanzi di successo (ciò che con molta probabilità gli valse l’indulgenza dei ticinesi per le simpatie che il giornale aveva dimostrato per l’Italia fascista). La famiglia proprietaria in quegli anni si faceva poco sentire: l’erede di Agostino, Raffaele, morto giovane, nel 1952, e sua moglie Sofia, cui era toccata la presidenza, scomparsa pure lei, appena un anno dopo. Quanto all’ambasciatore, era in giro per il mondo. La presidenza toccò a Matilde Soldati, allora giovanissima: era nata nel 1930. Nessuno poteva immaginare che quella giovin signora dalla folta capigliatura bionda potesse essere la chiave del successo ulteriore del «Corriere del Ticino». Ma fu lei a incoraggiare Guido Locarnini (1919), assunto come consulente editoriale negli anni Sessanta, a realizzare una nuova sede, autonoma dal profilo editoriale in quanto non più dipendente da una tipografia «esterna».
Locarnini, direttore del giornale dal 1969 al 1982, avrebbe impostato una politica di apertura chiamando in redazione giornalisti di ogni tendenza, sinistra compresa, purché rispettosi dell’ordine democratico. Quella scelta fruttò al giornale, in poco più di dieci anni, il raddoppio della tiratura. La domanda potrebbe essere questa: sarà stato per l’inesperienza della giovane presidente che le aperture di Locarnini furono possibili? Difficile dire. Di sicuro contò il successo economico del giornale, come pure la sua crescita in autorevolezza e indipendenza grazie alla qualità del lavoro redazionale e dei collaboratori. La designazione di Sergio Caratti (1932-2012) come successore di Locarnini nel 1982, vista oggi – allora fu bersaglio facile delle sinistre – appare una scelta di sostanziale stabilità.
A quel punto avvenne la ripresa delle destre, il Sessantotto pareva morto e sepolto. Il giornale avrebbe potuto scivolare nel pelago della reazione (come quella che travolse Piero Ottone, il direttore aperturista del «Corriere della Sera»): ma al «Corriere» questo non accadde. Nuovi venuti nel Consiglio di fondazione – figli di milanesi che avevano sposato delle eredi dei Soldati d’Argentina: i Guasti e i Foglia – si dimostrarono rispettosi dell’autorità della presidente e del suo consigliere economico: il banchiere Amilcare Berra. Certo, il «Corriere del Ticino» non era più il giornale coraggioso degli anni Settanta, ma neppure era diventato la fotocopia luganese de «Il Giornale Nuovo» come sarebbe piaciuto ai «Liberi e Svizzeri». A un’idea di Montanelli (far stampare il suo giornale nella tipografia del «Corriere» in caso di scioperi a Milano) non fu data risposta positiva. Tramontò il «secolo breve» e nel nuovo l’ultimo atto per cui Matilde Bonetti Soldati può essere lodata fu la sopravvivenza offerta nel 2004 al «Giornale del Popolo»: sei milioni che rimisero a galla il giornale cattolico.
E ora? Ora le cose sono infinitamente più complicate. Il compito del nuovo presidente – Fabio Soldati, nato nel 1957, figlio di un fratello di Matilde – si esercita a contatto con realtà nuove: gli interessi del Centro stampa (da dove escono ormai quasi tutti i giornali che si pubblicano in Ticino), l’avvento delle stazioni radio (Radio 3iii) e televisive (TeleTicino), il calo delle inserzioni sul cartaceo e l’avvento della comunicazione online, il partenariato pubblicitario con il «Giornale del Popolo»… Non rimane che augurare alla proprietà del «Corriere» di continuare a tutelare il profilo di indipendenza che ha distinto questo giornale nei momenti migliori, in quanto fondato solo sulla qualità del lavoro giornalistico ogni giorno prodotto.