«Mangiando capita che il cibo si blocca, non va più giù né su. La situazione non migliora bevendo, si comincia a salivare finché a volte il cibo riesce a scendere, altrimenti bisogna vomitarlo per poter continuare a mangiare». Martina, 35 anni, racconta di un «disagio» che all’inizio, da ragazzina, le capitava solo sporadicamente, poi sempre più frequentemente: «Ricordo una volta in automobile: mangiavo un pezzettino di pane, ero alla guida, nel traffico del centro città, quando mi è rimasto bloccato in gola. Non potevo accostare per vomitare ed è stato un momento molto complicato che poi, per fortuna, quella volta si è risolto».
A un certo punto, decide di affrontare la situazione: «L’ho fatto dopo tanto tempo, quando succedeva quasi tutte le settimane, poi quasi ogni giorno». Un peggioramento che la porta finalmente a parlarne col proprio medico di famiglia il quale chiede un consulto dello specialista gastroenterologo per giungere a una diagnosi, preambolo per una presa a carico terapeutica adeguata. «Sono stata visitata dal dottor Claudio Gaia che con una gastroscopia ha scoperto di cosa soffrivo», ricorda Martina. Si tratta dell’esofagite eosinofila (EoE), un serio problema dell’esofago a cui fa seguito una sorta di «comportamento adattativo» della persona che ne soffre, inducendola a rivolgersi al medico solo quando diventa così frequente da abbassare la qualità di vita.
«Parliamo di una malattia infiammatoria cronica progressiva immuno-mediata che inizialmente si pensava fosse una patologia rara ma, come altre patologie di questo tipo, è diventata sempre più frequente con un’incidenza in aumento soprattutto nei centri urbani», così la gastroenterologa Cristiana Quattropani definisce l’esofagite eosinofila di cui, dice, si è presa sempre meglio conoscenza negli ultimi anni sia a livello della malattia sia riguardo i relativi approcci terapeutici.
«I suoi sintomi sono correlati a una disfunzione dell’esofago e si presentano principalmente con la difficoltà a deglutire. Sappiamo inoltre che si manifesta facilmente in presenza di malattie concomitanti come asma bronchiale, dermatite atopica, rinite allergica, congiuntivite allergica» aggiunge il gastroenterologo Claudio Gaia che individua la maggior parte di questi pazienti nel 50-70 per cento degli allergici/atopici sopra elencati, aggiungendo coloro che soffrono di allergie alimentari, «in particolare al latte di mucca». In effetti, Martina, la nostra testimone, afferma di essere asmatica e di avere intolleranze alimentari che sta cercando di curare.
«Se non curata, questa malattia cronica progredisce aumentando il rischio di restringimento cicatriziale dell’esofago. La qualità di vita del paziente viene sempre più compromessa ed è accompagnata da sofferenza e dal rischio di un blocco, anche totale, di cibo nell’esofago» afferma Gaia che però sottolinea una differenza fra il bambino e l’adulto perché, spiega: «Nella persona adulta, la difficoltà nel deglutire può portare fino alla completa ostruzione ed è possibile che la persona si presenti al Pronto Soccorso per un bolo alimentare come succede a circa un terzo di questi pazienti. Poi, si possono sentire dolore al torace (indotto spesso dallo stress) e bruciore di stomaco. I sintomi manifesti dei bambini possono somigliare al reflusso, vomito postprandiale, dolore addominale, diarrea e ritardo nella crescita, insieme al rifiuto di mangiare».
I due specialisti concordano sul fatto che purtroppo la natura inizialmente sporadica degli eventi induce la persona a non curarsene e, malgrado la progressione nel tempo, si assiste a una sorta di adattamento alla condizione finché questa non diventa insostenibile: «Molti pazienti possono essere asintomatici per un lungo periodo di tempo, o si abituano lentamente a sintomi lievi». Quattropani indica la via dell’approccio alla ricerca di una diagnosi che si basa su tre criteri: «Visita accurata, istologia, endoscopia da parte del gastroenterologo permettono di ragionare sui sintomi come disfunzione solo dell’esofago, difficoltà a deglutire e altro ancora; sulla biopsia che permetterà all’esame istologico di mostrare un’infiammazione con eosinofili; infine, l’esclusione di altre cause che portano a esosinofilia».
Dai primi sintomi alla diagnosi passa molto tempo: «Il ritardo diagnostico può sfortunatamente arrivare a 5 o 6 anni per una concomitanza di responsabilità: meccanismi di evasione o assuefazione del paziente, scarsa conoscenza del quadro clinico da parte dei medici di medicina generale e dei gastroenterologi». Tutto confermato dal racconto della nostra paziente: «La visita specialistica dal dottor Gaia e la gastroscopia mi hanno permesso di avere la diagnosi di esofagite eosinofila che, mi è stato spiegato, dovevo cominciare a curare con un farmaco da assumere per 12 settimane dopo le quali è andata decisamente meglio, tanto che ho smesso. Dopo qualche mese però il problema si è ripresentato anche se solo una o due volte al mese».
L’aderenza terapeutica di questi pazienti è un punto talvolta dolente, spiega Gaia: «Quando la persona si sente meglio, tende a non sottoporsi più ai regolari controlli necessari. Questo esalta l’importanza di sensibilizzazione e responsabilizzazione del paziente: se istruito sulla patologia che oggi conosciamo molto meglio di qualche anno fa, non trascurerà controlli ed eventuali sintomi che si possono ripresentare nel tempo». Due gli obiettivi terapeutici per l’esofagite eosinofila: «Migliorare la qualità di vita per mezzo del controllo dei sintomi, e nel contempo prevenire le complicanze controllando l’infiammazione».
Farmaci e dieta alimentare sono le due opzioni terapeutiche che li soddisfano: «I medicamenti sono della famiglia dei corticosteroidi e degli inibitori della pompa protonica (nei casi più lievi). La dieta è un approccio terapeutico causale che va per eliminazione empirica di principali alimenti allergenici, senza che i pazienti siano sottoposti a un preventivo esame allergologico». Il dottor Gaia spiega nel concreto: «Sulla base di studi scientifici, sappiamo che latte (proteine), grano / glutine, noci, uova, e talvolta soia, pesce e frutti di mare sono i fattori scatenanti più comuni dell’EoE. Poiché gli alimenti più critici sono alimenti di base, la gestione dietetica è impegnativa sia per i pazienti che per i medici».
Il consiglio è quello di proporre questa via «solo ai pazienti particolarmente motivati e seguiti da nutrizionisti preparati», raccomandando un controllo appropriato dell’efficacia con gastroscopia e biopsie. «Con la cura dietetica adeguata e col farmaco cambia tutto! Oggi posso mangiare tranquillamente qualsiasi cosa in ogni momento, ma non trascuro i controlli a cui mi sottopongo regolarmente dal mio medico curante e dal gastroenterologo». Presa a carico aderenza terapeutica di Martina sono una testimonianza incoraggiante.