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Un salto nel Medioevo

Il grande lavoro dei volontari ci ha restituito il fascino del sito di Tremona-Castello ora diventato Parco archeologico
/ 24.10.2016
di Laura Di Corcia

Si deve camminare, e quindi servono scarpe comode. Bisogna per un attimo dimenticare di vivere nel 2016, in un territorio largamente urbanizzato: il sentiero nel bosco aiuta. Poi si arriva. Ed è subito un balzo indietro nel tempo, un salto che ci riporta a un’epoca in cui la manualità la faceva ancora da padrona e in cui i bisogni primari – nutrirsi, proteggersi dagli animali, riprodursi – occupavano quasi la totalità dei pensieri della gente comune. Notare: la gente comune. Perché la particolarità storica del sito di Tremona-Castello, che dallo scorso settembre è diventato un parco archeologico accessibile a tutti corredato di pannelli didattici, è che racconta la vita non di principi, re e imperatori, ma di persone comuni che lavoravano sodo per campare. 

A vegliare come un custode su questo straordinario patrimonio, Alfio Martinelli, archeologo e studioso di inglese antico laureatosi in Inghilterra, che con testardaggine e passione a inizio anni Novanta, prima saltuariamente, poi sempre più programmaticamente, ha iniziato, con un gruppo di appassionati non archeologi, a scavare nel sito, cercando con precisione certosina e con la fiducia di avere i piedi posati su un suolo ricchissimo e gravido di reperti, testimonianze e indizi. Che cosa è emerso? «Che la comunità che viveva lì era dedita soprattutto all’agricoltura» – spiega Martinelli, il quale ha fondato anche un’associazione tesa a valorizzare il patrimonio di Tremona-Castello, l’ARAM (Associazione Ricerche Archeologiche del Mendrisiotto). 

Gli oltre 50 edifici di circa 15-20 metri quadrati l’uno erano adibiti per la maggior parte dei casi ad abitazione, ma alcuni di questi fungevano da depositi per derrate alimentari. «Quando un incendio viene spento improvvisamente dal crollo dei muri, i materiali organici si trasformano in carbone, compresi i cereali, che quindi si conservano nel tempo», racconta l’archeologo. «Analizzando questi resti, grazie alla collaborazione di istituti in Italia, abbiamo capito che a Tremona si consumavano diversi cereali». Orzo, frumento, avena, lenticchie, fave e frutti di bosco: questa era l’alimentazione della popolazione che abitava il villaggio medievale, senza dimenticare il ruolo importantissimo delle castagne, trovate in quantità impressionante, che venivano consumate in abbondanza da ottobre a marzo.

«I nostri allevavano anche gli animali – aggiunge l’interlocutore – e questo lo sappiamo perché all’epoca non c’erano le regole igieniche che vigono ai giorni nostri: i resti si buttavano per terra e sono rimasti lì, sepolti nei vari strati. Si mangiava la carne, quindi, quella di mucca, maiale, pecora e capra. Selvaggina? Poca. Il pesce non si disdegnava, e lo sappiamo grazie al pazientissimo lavoro dei volontari: trovare le lische, che non è certo semplice». 

Sulla squadra di persone che raccoglie professionisti e non e che presta gratuitamente il suo impegno Martinelli spende parole generosissime: «Se non fosse stato per loro – dice – il parco non ci sarebbe». Ma il parco c’è, ed è una grande soddisfazione. «In questi anni non siamo stati sempre sostenuti – precisa – forse perché il lavoro volontario, che in altri Paesi come l’Inghilterra e l’Italia è apprezzato e incoraggiato, alle nostre latitudini non lo è allo stesso modo. E invece le persone che lavorano qui magari non hanno mai studiato l’archeologia ma hanno voglia di fare: con la passione, imparando ad accorgersi dei cambiamenti di terreno, osservando il suo colore e la sua compattezza, possono arrivare a saperne quasi quanto il professionista». 

Il maggiore lavoro si fa con le scuole. I bambini rimangono stupiti nel constatare come si viveva secoli fa. «Le guide chiedono com’è la loro casa, quanto è grande. Loro rispondono che vivono in abitazioni con quattro, cinque locali. Che hanno una cameretta tutta per loro o al massimo la dividono col fratellino, che si lavano quotidianamente – continua Martinelli – Quando vedono il perimetro delle case di Tremona-Castello, e vengono a sapere che un intero nucleo familiare viveva in uno spazio di pochi metri quadrati, che non c’erano armadi ma solo una cassapanca dove si riponevano i pochi oggetti che ognuno aveva a disposizione, che non ci si lavava così frequentemente e che anzi per andare a prendere l’acqua da bere bisognava camminare fino al fiumiciattolo, non proprio dietro l’angolo, sono basiti. Allora capiscono e imparano molto più di quanto avrebbero capito e imparato da un libro di scuola».

Stessa cosa succede agli adulti: camminare fra le rovine di un villaggio del Basso Medioevo spinge a fare bilanci e paragoni. E se l’esperienza fosse ancora più totalizzante? Per ora è già stata fatta una ricostruzione tridimensionale a cura di Elia Marcacci, ma se si potesse passeggiare in quel luogo muniti di occhialini 3D, magari incontrando villani, bambini e assistendo a una cena? «Quello è il progetto. Se vogliamo che questo patrimonio resti, occorre andare in quella direzione. Vogliamo creare anche un Museo in modo da contestualizzare il villaggio di Tremona-Castello all’interno di uno spaccato storico di seimila anni». 

Un luogo di cui sappiamo qualcosa, ma non ancora tutto: «Che ci faceva un fabbro, qui? Sappiamo che c’era, ma la sua presenza è enigmatica. Normalmente i fabbri a quell’epoca si muovevano da un villaggio all’altro. E che dire di tutte quelle monete? Crea qualche dubbio che un paese di contadini ne possedesse così tante. Per non parlare dei bicchieri in vetro. La povera gente, normalmente, beveva in bicchieri di legno. Ci sono indizi che fanno pensare che forse questo sito avesse qualche funzione importante, a livello di scambio merci, che fosse collegato con centri più importanti al Sud. Ma per ora sono solo ipotesi», conclude lo studioso. Quesiti aperti che rendono tutto ancora più affascinante.