Percorrendo la trafficata arteria che dal quartiere collinare di Besso porta al centro della città di Lugano, potrà capitare ai meno distratti dalla guida in colonna di lanciare un’occhiata ad un insolito cartello agricolo fra gli altri di usuale servizio cittadino: dal crocicchio più prossimo alla stazione ferroviaria indica la strada per raggiungere la Fattoria Moncucchetto. Pochi minuti per lasciare la città e trovarsi in campagna, nei vigneti della famiglia Lucchini. Un gioiello di agricoltura urbana, arricchito dalla prestigiosa firma di Mario Botta per la cantina, dove si vinifica, si degusta la produzione e si cena nel raffinato ristorante dell’azienda. Sicuramente l’enologa e i cantinieri dell’azienda Moncucchetto rientrano nello 0,2 per cento dei lavoratori e delle lavoratrici occupati nel settore primario secondo le più recenti statistiche della grande Lugano (9,6% nel secondario, 89,9 nel terziario).
Dello sparuto drappello di impiegati nel settore primario fanno parte anche i collaboratori della Fattoria del Faggio, appartenente alla famiglia Rezzonico: una stalla di 130 capre di razza Saanen, con una produzione di formaggini e formaggelle, in vendita direttamente nel negozietto dell’agriturismo, ma che è ormai inserita da tempo anche nel circuito della grande distribuzione. Si trova a 900 metri di altezza, all’ombra dei Denti Della Vecchia, nel quartiere luganese di Sonvico, acquisito nel territorio di Lugano con l’ultima aggregazione del 2013.
Se risalendo la sponda destra del fiume Cassarate i comuni si sono estinti per trasformarsi in quartieri della città, i patriziati continuano imperterriti a svolgere il loro importante compito di guardiani del territorio. Cosicché la Città di Lugano può forse vantare un primato: quello di un patrimonio montano di ben 4 alpi, presentati nel volume Alpeggi del Ticino e del Moesano di Renato Bontognali al pari dei famosi Piora, Cadonigo o Camadra. Dal lago alla Valcolla si trovano in ordine ascendente: l’Alpetto, sul Sighignola, sopra Caprino a 969 m, già proprietà del patriziato di Castagnola; l’Alpe Bolla a 1129 metri sul Monte Boglia, appartenente al patriziato di Cadro, la Corte Nuova a quota 1302 metri, proprietà del patriziato di Certara, e Pietrarossa a 1448 metri di altezza, del patriziato di Colla.
Oltre le tradizioni alpestri e le consolidate aziende come il Moncucchetto o Il Faggio, nella nuova realtà territoriale luganese crescono però anche passioni agricole familiari a metà strada tra il diletto e la professione. Scendendo dai 900 metri della Fattoria del Faggio attraverso le selve castanili del patriziato di Sonvico, a quota 600 si incontra uno fra gli uliveti più alti e più a nord della fascia prealpina: un francobollo di terra che pare trapiantato dalla Liguria o dalla Toscana. Lo ha inventato Ennio Bianchi nel 2004, stufo di coltivare erbe per la produzione della tisana Olivone. «È stato veramente un caso – spiega Ennio, pensionato ex posatore di pavimenti che tutti i giorni lascia di buon mattino l’appartamento di Viganello per salire nella sua campagna di Sonvico, un’eredità di 4000 metri quadrati che sono stati per decenni il frutteto di famiglia – Ero alla ricerca di una nuova coltivazione, avevo pensato allo zafferano e persino alle spagnolette, quando su una rivista ho letto l’annuncio di Pro Specie rara, che era alla ricerca di un terreno per impiantare un uliveto sperimentale con varietà antiche. Certo, a 600 metri era una bella scommessa, ma abbiamo provato con 40 piante e l’esperimento è riuscito. Tanto che poi l’ulivo mi ha appassionato, ho aggiunto un’ottantina di altre piante e ristrutturato un piccolo rustico per metterci un frantoio: l’abbiamo inaugurato nel 2007 e con la collaborazione di mio figlio Christian e dell’amico Gabriele Polli l’abbiamo fatto girare ormai per oltre 500 ore». Oggi Ennio Bianchi, con il suo uliveto e il suo frantoio, è un punto di riferimento «olivicolo» per tutto il Ticino e uno degli animatori dell’Associazione Amici dell’Ulivo, che conta oltre 140 soci.
Appena sotto l’uliveto dei Bianchi, si allunga nella piana di Dino (al limitare della città che sale con le sue schiere di casette e palazzine) il vigneto della famiglia Piazza: un po’ Bordeaux e un po’ Borgogna. Anche per Giordano Piazza la passione è nata (quasi) per caso sulle terre di famiglia. «Era il 2000 – racconta Giordano, che di professione fa l’elettricista e il tempo libero rubato alla moglie e ai due figli lo divide tra i filari e la cantina – quando ci siamo giocati una vendemmia eccezionale: ottimo raccolto e gradazione vicina ai 100 gradi oechsle. Poi qualcosa è andato storto nella vinificazione e l’annata è andata praticamente persa. La delusione e la rabbia per gli errori dovuti all’inesperienza mi hanno quindi spronato a studiare, approfondire, sperimentare, rubare il mestiere».
Del resto, quella della viticoltura, nella famiglia Piazza, è una storia che risale a nonno Riccardo, che fu tra i fondatori dell’allora Federazione Viticoltori della Svizzera italiana e che già negli anni 30 del Novecento piantò nelle terre di Dino i primi filari di Merlot, vitigno da poco importato alle nostre latitudini. Avanguardia per avanguardia, il Merlot venne successivamente sostituito negli anni 80 dal figlio di Riccardo, Augusto, che si lanciò in controtendenza nella coltivazione del Pinot noir. Infine, nel 2015, Giordano, figlio di Augusto e nipote di Riccardo, ha riportato il Merlot a crescere nelle terre di famiglia. Cosicché, oggi, 6000 ceppi di vigna si suddividono equamente gli 8000 metri quadrati di vigneto della piana di Dino: da una parte una piccola Borgogna con Pinot Noir, Gamaret e Chardonnay, dall’altra una micro-incursione nella regione del Bordeaux con Merlot e Cabernet Franc.
«La nostra – racconta con orgoglio Giordano Piazza – è una produzione familiare, limitata (3000 bottiglie l’anno) e di nicchia, ottenuta adottando una coltivazione e una vinificazione naturali: dalla pianta alla nuova cantina, che abbiamo voluto proprio accanto al vigneto per un’autentica lavorazione a chilometro zero». E quella di Giordano è ormai divenuta una passione alimentata anche dai riconoscimenti per la perizia dei suoi assemblaggi: nel 2015 «La Castellanza» vendemmia 2012 ha fruttato una medaglia d’argento al Mondial du Pinot noir, e la medesima annata ha portato «Il Solista» (Merlot affinato in botti di rovere) alla conquista di una medaglia d’argento al Concours Mondial di Bruxelles edizione 2017.
Informazioni
«Contadini di città 1» è stato pubblicato sul numero di «Azione» del 23 ottobre 2017.