Da anni sento parlare con ammirazione di questo progetto di Pro Juventute, che unisce adolescenti e giovani adulti con figure più mature. Partito a Locarno nel 2008, è approdato nel Luganese, nel Mendrisiotto e poi a Bellinzona tre anni fa; ora si faceva sentire una necessità di allargare il campo d’azione anche alla regione Tre Valli e così da gennaio viene avviato il percorso di formazione e accompagnamento dei volontari mentori.
Cosa è un mentore? Mentore è quella figura dell’Odissea di persona adulta che sta a fianco di Telemaco, figlio di Ulisse, nel difficile passaggio dall’infanzia alla maturità mentre suo papà è assente. Un mentore non indica la strada, bensì segue chi quella strada la sta percorrendo, a modo suo. In generale una ragazza o un ragazzo si sviluppa e trova il suo cammino anche grazie alla sua famiglia, al suo ambiente circostante, alla scuola, agli amici. Ma non per tutti le cose vanno lisce: ci sono giovani che devono fare tutto da soli, perché gli manca quella rete sociale intorno, oppure si trovano di fronte a un blocco totale e si sentono persi. Parliamo di persone tra i 15 e i 25 anni che sono esclusi da un progetto di formazione o da un percorso professionalizzante, che non si confrontano con un mondo di adulti in modo costruttivo. «Il mentore è quel ponte che potrebbe collegarli al mondo dei grandi», dice Nadia Holenstein Notari, coordinatrice del Progetto Mentoring per la Svizzera italiana.
Ci troviamo a metà novembre nella sala del Consiglio Comunale di Biasca, per una prima serata informativa: oltre a Nadia Holenstein Notari c’è Sabina Silvestri, la responsabile della nuova sede che sorgerà nel Borgo, accanto alla Scuola elementare, alla Bibliomedia e alla Ludoteca di Biasca. In quartiere vivo, di cultura e aggregazione. Avrebbero dovuto venire i mentori già attivi a Bellinzona e una ragazza «ex mentorata», cioè una giovane che ha partecipato al Progetto di Pro Juventute qualche anno fa, per raccontarci meglio di cosa si tratta; invece bisogna essere al massimo in cinque, quindi ci sono le due responsabili e tre persone interessate a diventare mentori.
«Chiunque può entrare a far parte di questo progetto di volontariato», ci spiegano. «Chiunque può esserci per qualcuno. Non si tratta di fare l’educatore, né di sostituirsi al genitore. La formazione che impartiamo a tutti i mentori dà alcune regole, ma poi è un rapporto informale che deve instaurarsi, di conoscenza, amicizia, fiducia. Chiacchiere e accompagnamento. Ci si prefissa un obiettivo, per esempio trovare un lavoro, capire che tipo di apprendistato o di scuola intraprendere, oppure regolarizzare alcune pratiche di vita, andare a vivere da soli e così via. Chiediamo ai mentori di incontrare almeno una volta a settimana il ragazzo, poi ogni rapporto è diverso; c’è chi si sente qualche volta anche al telefono, chi fa passeggiate insieme, chi si dà appuntamento all’ufficio collocamento per andare insieme allo sportello, chi si siede a un bar a scrivere il curriculum e fare due chiacchiere, chi tutte queste cose insieme...».
È un volontariato impegnativo, sottolineano. «Non perché bisogna “sapere delle cose”, come detto non si tratta di fornire l’ennesimo sostegno professionale. Il Ticino è già ricco di ottimi servizi sociali, ma a volte quello che manca è proprio una persona che stia al tuo fianco quando hai diritto a usufruire di questi servizi. Andare da solo in un ufficio di collocamento o da un’assistente sociale, può essere faticoso e stressante, se non sei già solida tu come persona; ascoltare le informazioni date dall’orientatore professionale può dare adito a malintesi e risultare più scoraggiante che stimolante, se manchi completamente di autostima... questo ruolo di mentore non richiede solo tempo, ma anche energia per “restituire a qualcuno il gusto del viaggio”. Non potrebbe essere svolto da un professionista, solo da una “persona comune”; qualcuno con un’occupazione lavorativa professionale o casalinga; ci sono mentori ingegneri, informatici, segretari, studenti e così via».
Un aspetto fondamentale è: accettazione. Essere persone accettanti significa aiutare l’altro ad esprimere le proprie visioni, lasciargli lo spazio di essere chi è e chi vuole diventare. Senza giudizio, senza manipolazione, nemmeno la più benevola. «Con i figli a volte facciamo più fatica», sorride Nadia Holenstein Notari, «perché siamo più coinvolti emotivamente, ma con i mentorati dobbiamo proprio sforzarci di lasciar fare, purché non si mettano in pericolo loro stessi né mettano in pericolo qualcun altro».
Il mentore ha uno, due, massimo tre mentorati e può anche incontrarli insieme se pensa che possa dare forza a ognuno di loro. Riceve un rimborso spese e può chiamare quando vuole le responsabili per consultarsi sull’andamento del progetto. In ogni caso, c’è un incontro mensile con il responsabile di sede, due sere al mese di formazione in cui fare il punto della situazione, raccontarsi, ricevere sostegno, ascolto e nozioni specifiche. Non c’è una durata specifica per il periodo di volontariato.
Alla serata informativa ci mostrano un pezzo di un documentario della Rsi su Veronica, una ragazza che un giorno ha chiamato Pro Juventute e ha detto: «Mia mamma ha trovato questo numero. Tra me e lei però adesso c’è un muro. Io sono stata licenziata e non so cosa fare». Adesso Veronica ha ottenuto la licenza di quarta media (Pro Juventute offre un corso per recuperare la licenza della quarta media), ha un suo appartamento, è apprendista e vede il futuro bianco e non più nero. «Non pretendo di andare sulla luna: sto bene con me stessa e questo mi basta».
«In sette anni di lavoro – dice Nadia Holenstein Notari – ho sempre visto ragazzi compiere piccoli o grandi passi in avanti grazie al Progetto Mentoring. Pochissimi sembrano essere rimasti sul posto, ma chi lo sa: noi siamo come gli orticoltori, prepariamo la terra, la giriamo per darle aria, scaviamo, lasciamo cadere dei semi... poi a volte le piante non crescono subito, o crescono da un’altra parte, difficile sapere perché...».
Ci mostrano un’altra testimonianza, questa volta creata apposta per questa serata da una volontaria: è Giusy, mamma di due figli che da qualche anno è mentore. «Loro hanno bisogno di credere in un adulto, e anche noi abbiamo bisogno di ricordarci chi eravamo da adolescenti e di scoprire davvero come sono i giovani, senza temerli, né temere le loro difficoltà...».
Da gennaio comincerà il Progetto Mentoring a Biasca. Prima i ragazzi delle Tre Valli si riferivano alla sede di Bellinzona. Una volontaria attiva c’è già; ora si tratta di trovare altre persone interessate a formarsi e a buttarsi, senza paura di sbagliare. Perché il nostro compito non è di dare un’immagine idealizzata dell’adulto, anzi. Gli adulti sono persone di carne e di sogni, di errori, emozioni e tentativi, come tutti, sempre.
«Per noi la formazione è importante che sia arricchente per la persona che la segue», afferma Sabina Silvestri. «Si impara piano piano anche a conoscersi, nelle debolezze e nei punti forti, a prendere la giusta distanza e la giusta vicinanza. È normale e azzarderei giusto avere paura di portarsi a casa le sofferenze degli altri, di prendersi troppo a cuore le storie di chi sta male: ma poi si impara a gestire tutto questo. Davvero, succede a tutti noi, e poi con il tempo e l’esperienza si cresce anche da questo punto di vista».
Per finire, ci lasciano una poesia, di Andrea Scarinci, mentore da vari anni a Bellinzona. Una poesia che si intitola Non dirlo.
Aiutami.
Ma non dirlo.
Chiamami.
Non risponderò.
Ferma il vortice che mi scompiglia,
dammi qualcosa da inseguire.
Toccami ancora con le parole,
dimmi quello che so già.
Sommati al mio fardello e fatti odiare,
anche tu.
Gioca con me. O costringimi.
Rimproverami. O convincimi.
Ricoprimi di giudizi,
ma, ti prego,
aiutami.
Informazioni
nadia.holenstein(at)projuventute.ch