La Valle Calanca non esiste. Almeno, non esiste per le strade nazionali, meglio, per USTRA, l’Ufficio federale delle strade. Se transitate sull’autostrada A13, che collega Coira a Bellinzona, attraversando la Mesolcina, non c’è nessuna segnalazione che indichi la Val Calanca. Come mai? Una sciocca dimenticanza? No, certo, gli uffici bernesi sono attenti e disciplinati. Pare che le nuove direttive prevedano che su un cartello indicatore di uscita autostradale non possono figurare più di due toponimi. Quindi, sfiorando l’imbocco della Val Calanca, la segnalazione stradale dice «Roveredo Grono». La Val Calanca non esiste. Le autorità della valle stanno litigando con USTRA da un anno e mezzo, senza successo. Non si potrebbe posare un cartello in più? Forse è ancora una conseguenza (inconscia) del documento di Avenir Suisse, il gruppo di pensatori liberali paladini dell’economia di mercato che una quindicina di anni fa invitava a lasciare al suo destino di povertà e di spopolamento la valle, perché le sovvenzioni statali venivano considerate un lusso e uno spreco.
No, la valle non si dà per vinta. Esiste e vuole dimostrarlo nel modo migliore. Dopo il fallimento del progetto Parc Adula sta infatti nascendo Il Parco naturale regionale Val Calanca. Un progetto ambizioso che potrebbe avere la funzione di volano per tutta una serie di attività in valle.
«Dobbiamo credere in questo progetto – ci dice il sindaco di Rossa Graziano Zanardi – Tocca a noi darci da fare. Una volta c’era la ferrovia, la posta, i militari che davano lavoro. Si continua a pensare che il lavoro debba esserci dato dagli altri, ma non è più così. È andata bene per questi cento anni, ma ora dobbiamo darci una mossa».
La Calanca è una delle quattro valli del Grigioni italiano, parallela alla Mesolcina e attraversata dal fiume Calancasca, che nasce sul Pizzo Zapport e si immette nella Moesa 31 chilometri più a valle. Due comuni, Castaneda e Santa Maria appartengono alla cosiddetta Calanca esterna e, dopo le aggregazioni degli anni scorsi, rimangono solo altri tre comuni: Buseno, Calanca e Rossa. Sono questi tre villaggi che hanno preso l’iniziativa di lanciare la sfida del Parco. «L’idea è partita dopo la votazione sul Parc Adula, che è stato bocciato. – spiega Zanardi – La Mesolcina e la Calanca erano però favorevoli. Quindi abbiamo pensato di lanciare un Parco regionale per non buttare al vento il lavoro di sedici anni. Mesocco e Soazza hanno dimostrato una certa titubanza. Castaneda sembrava possibilista, ma poi ha rinunciato, per ora. Santa Maria non ha nascosto una certa avversità. Quindi siamo rimasti in tre, ma abbiamo capito che potevamo farcela perché complessivamente contiamo 107 chilometri quadrati di superficie: sufficiente, il minimo sono 100. Perciò siamo partiti. Non dobbiamo perdere tempo, perché per beneficiare del finanziamento federale bisogna consegnare il progetto entro la fine del 2018».
La caratteristica fondamentale di un parco regionale è che non impone limiti e condizioni particolari, a differenza dei parchi nazionali (Adula e Locarnese, ambedue affossati dalla popolazione) che prescrivono divieti e restrizioni nella zona centrale: caccia limitata, rispetto dei sentieri, natura incontaminata.
Piccolo è bello. Il parco della Calanca sarebbe il più piccolo della Svizzera, poco più dei necessari 100 chilometri quadrati con 432 abitanti. In prospettiva potrebbe ampliarsi verso nord, includendo una vasta particella che appartiene al Comune di Mesocco, 17 chilometri quadrati in più che porterebbero i confini settentrionali fino alla sorgente della Calancasca. «Restare piccoli – precisa il sindaco di Rossa – è un vantaggio. È la cosa migliore perché così siamo padroni del nostro destino e non possiamo dare la colpa ad altri se le cose non funzionano al meglio». Per preparare la candidatura, il progetto deve essere approvato dalla popolazione e quindi dall’Ufficio federale dell’ambiente (USAM), i tre Comuni promotori hanno fatto allestire uno studio di fattibilità lo scorso marzo. «Un parco naturale regionale promuove lo sviluppo sostenibile di preziosi paesaggi naturali e rurali svizzeri e nel contempo rende possibile un futuro sostenibile per le popolazioni che vivono in queste aree. – si legge nello studio – La Calanca è una valle periferica con pochi abitanti, ma molto ricca di valori naturali e culturali. Con il progetto di parco naturale regionale, la valle potrebbe essere sostenuta e valorizzata».
Lo studio prevede di mettere in luce i valori naturalistici e paesaggistici: la zona fluviale della Calancasca è preziosa, con ambienti umidi, torbiere e prati secchi. La parte più interna e selvaggia della valle è già inserita nell’inventario cantonale dei paesaggi. Qui si trova la bandita federale di Trescolmen costituita da prati alpini e cave di sassi, con numerosi biotopi. In questa zona si intende creare una riserva forestale, Bedoleta, dove ci sono alcuni esemplari di larici monumentali fra i più vecchi d’Europa.
Inoltre, vanno promossi i valori culturali, in particolare: i cinque insediamenti inseriti nel catalogo ISOS (Inventario federale degli insediamenti svizzeri da proteggere): Landarenca, Bodio/Cauco, Braggio, Augio e Rossa. La chiesa di Santa Domenica, le vie storiche, i sentieri, le mulattiere Arvigo-Braggio e Selma-Landarenca.
Provare per credere. Vale la pena di affrontare una di queste mulattiere. Braggio e Landarenca non hanno strade e non ci sono automobili, sono collegate con il fondovalle grazie a due piccole teleferiche automatiche self service. Si entra in cabina, si schiaccia il bottone e parte, sempre in funzione 24 ore su 24. Ma la vera esperienza sensoriale è andarci a piedi, per esempio, da Selma a Landarenca. Si parcheggia vicino alla stazione della teleferica e, dietro la cappella dedicata a San Rocco, si imbocca la mulattiera. È un cammino che riporta ai secoli passati e attraversa un bosco di pini, abeti e larici macchiato da cespugli di rose alpine. In quaranta minuti si raggiunge il piccolo villaggio di Landarenca, con la chiesetta che svetta sulle case, dopo aver superato un dislivello di poco più di trecento metri. Nei piccoli villaggi di montagna le poche persone che si incrociano stanno lavorando: chi taglia l’erba, chi sistema una finestra, chi pittura una panchina. È gente operosa, che sale ai monti per cambiare aria, ma anche per distrarsi con lavoretti manuali. Gli abitanti sono una decina, l’osteria è accogliente e ci si può rifocillare. La sala è ancora originale, un vero gioiello, rivestita di pannelli di legno e arredata con tavoli e sedie ottocenteschi. C’è ancora uno sgabuzzino con uno sportello che fungeva, udite udite, da ufficio postale! Ecco, questo percorso, che può essere arricchito imboccando i sentieri alti, potrà essere una delle attrazioni del parco. Bisognerà migliorare i posteggi a valle, offrire opportunità di pernottamento a monte, predisporre e promuovere la possibilità di utilizzare le biciclette.
Nel corso delle analisi compiute dall’USAM per la realizzazione del Parc Adula si è già stabilito che la Calanca offre un territorio ad alto valore naturale e paesaggistico, quindi la proposta di Parco regionale dovrebbe avere via libera a Berna.
In valle negli ultimi dieci anni la popolazione è diminuita del 5,2%. Il comune di Rossa è in controtendenza, con un aumento del 15%. A Rossa, per esempio, si sono trasferite alcune famiglie con bambini piccoli. Bellinzona è vicina, mezz’ora d’auto, e i prezzi delle abitazioni sono decisamente più attraenti. La qualità della vita è buona, a Castaneda c’è il centro scolastico consortile che offre scuola dell’infanzia ed elementare, oltre alla mensa.
Dal profilo economico la Valle è in difficoltà; sopravvive l’agricoltura, fatta di piccole aziende, e l’industria, sostanzialmente le cave di granito di Arvigo, che danno lavoro a 35 persone. I canoni d’acqua, frutto dello sfruttamento idroelettrico della Calancasca, assicurano risorse interessanti. Per il futuro il progetto più importante è il turismo e il Parco potrebbe diventare l’etichetta con cui vendere nel mondo intero la Calanca «bella e selvaggia». Il sindaco Zanardi apre le braccia e sospira sconsolato: «C’è ancora troppa poca informazione. Molti nostri concittadini pensano che il parco imporrebbe limitazioni ma ciò non è vero, si tratta solo e soprattutto di valorizzare le ricchezze che abbiamo. Continueremo a organizzare serate e workshop informativi. È importante portar qui la gente, i turisti, ma dobbiamo prepararci, essere pronti, cominciare a muoverci. Abbiamo poche strutture ricettive, alcune abbandonate, bisogna stimolare le persone a mettersi in rete e a progettare e costruire. Potremmo recuperare case vuote per creare un albergo diffuso, per esempio».
La gestione del Parco, una volta avviato, dovrebbe costare 500mila franchi l’anno. La Confederazione finanzia il 50%, il Cantone tra il 30 e il 35%. La valle potrebbe beneficiare di 400mila franchi di investimenti, mentre a carico dei Comuni ne rimarrebbero solo 100mila, in parte costituiti da prestazioni. Forse non una manna dal cielo, ma certo un’opportunità unica. «Se salta l’agricoltura – annota il sindaco – andremo incontro a un abbandono totale! La cosa importante non è definire sulla carta che vogliamo un Parco, dobbiamo dimostrare che la popolazione ha la volontà di progettare e sviluppare. Di solito le persone reagiscono quando toccano il fondo. Speriamo di non dover arrivare a tanto. Mi auguro che si possa cominciare a investire in qualche piccolo progetto già a partire dal prossimo anno, per dimostrare che le cose si muovono».