«In faccia di Ponte Tresa, surge il solitario monticello di Caslano, che le aque del Ceresio circondano a modo di penisola. Si compone di micaschisto, arenaria rossa, dolomia stratificata e dolomia cristallina, nell’ordine indicato da N a S». Così Luigi Lavizzari presenta il Monte Caslano nelle Escursioni nel Cantone Ticino (1863). Monte dalla storia tormentata, chiusa in strati di roccia inclinati verso sud, a ringiovanire in quella direzione. Sul pendio settentrionale il «micaschisto» è lo Gneiss di Giumello, cui sottili fogli di mica donano lucentezza argentea. Una roccia silicatica generata all’equatore, 340 milioni di anni fa, dalla crescita di una catena montuosa paleozoica. Trenta milioni di anni dopo, il suo smantellamento produsse i conglomerati del Carbonifero, qui pure presenti ma sconosciuti all’epoca di Lavizzari. L’«arenaria rossa» comprende ceneri e lapilli eruttati 280 milioni di anni fa, vestigia della desolazione da paesaggio marziano che caratterizzava la regione. Ma include soprattutto sabbie e ghiaie testimoni del successivo arrivo delle acque dell’Oceano Tetide. Lavizzari le attribuisce correttamente al Triassico. E infine la «dolomia stratificata e cristallina», la stessa del San Salvatore e che qui forma l’aspra metà meridionale del monte. Nata da acque tropicali degne delle attuali Bahamas, risale al Triassico Medio, 245 milioni di anni fa. Resti calcarei di organismi marini convertiti in centinaia di metri di roccia biancastra, quella «pietra calcarea dolomitica che fornisce ottima calce» come ricorda Lavizzari riferendosi alle fornaci allora attive.
Il modellamento del monte è storia recente. Coperto dai ghiacci 25’000 anni fa, al loro disgelo si risvegliò circondato dalle acque del Ceresio, ammantato da morene venute dal nord e disseminato di macigni di gneiss del Sopraceneri. La Magliasina lo strappò a quel destino insulare, agguantandolo con i depositi del suo delta. Sulla sua superficie di 1,2 km quadrati, il monte non solo offre un tale campionario della storia della Terra, ma lo esprime in modo tale da poterne fruire percorrendo il minimo spazio necessario.
L’«amenissimo colle che un tempo si specchiava da ogni lato nel Ceresio», per usare le parole di Mario Jäggli, rimane comunque un’isola, aperto com’è su tutti i lati a offrire ai versanti ogni esposizione possibile. «Mentre la eccellenza del clima più si manifesta sulla china di meriggio, (...) abitata da rappresentanti della flora termofila mediterranea, meno è evidente sulla opposta china, sede preferita dagli elementi floristici di nordiche contrade». Così rilevava già Jäggli in La vegetazione del Monte Caslano (1928). È un monte in perenne fioritura. In pieno inverno la rosa di Natale già «dispiega graziosamente le grandi e candide corolle», seguita da primule ed erba trinità, e poi dalle fioriture primaverili ed estive. Con 600 specie di piante vascolari (felci e piante con semi) nei diversi ambienti, circa un terzo delle specie dell’intero Ticino, cui si aggiungono 150 specie di muschi, rappresenta un compendio della flora ticinese. La varietà non si manifesta solo nelle preziosità botaniche ma anche nelle tipologie forestali. Il bosco di tiglio e olmo montano dei terreni silicatici del fresco pendio settentrionale cede verso sud il passo a quello di carpino bianco e carpino nero dei suoli su dolomia. Le morene che ricoprono a chiazze quest’ultima generano terreni acidi, permettendo al castagneto di raggiungere la sommità del monte. E poi ci sono i ripidi pendii meridionali su dolomia, caldi, secchi e poveri di nutrienti. Enclave e rifugio per specie rare, minacciate di estinzione e protette. Qui il bosco cespuglioso a carpino nero, dall’afflato submediterraneo, a tratti si apre negli scoscesi prati secchi insubrici con la loro esplosione di biodiversità.
Un’associazione vegetale riconosciuta solo nel 1943, che conta circa 140 specie ed è assente nel resto della Svizzera, in altre località ticinesi nel frattempo già cancellata dall’edilizia o comunque ridotta. Il Monte Caslano ne serba la migliore espressione, oggetto di una protezione che include, con lo sfalcio periodico, l’intervento dell’uomo mirando così a mantenere lo stadio di uno sviluppo che altrimenti evolverebbe verso il bosco. Le praterie secche e magre sono, infatti, il risultato di pratiche qui cessate da 50 anni, come il pascolo ovino e lo sfalcio del fieno.
Nel 1994 i contenuti naturalistici del monte divennero accessibili al pubblico attraverso l’allestimento da parte del Comune di Caslano e del Dipartimento del territorio (Museo cantonale di storia naturale) di un sentiero didattico circolare corredato da tavole in italiano. Tavole recentemente sostituite grazie alla rinnovata collaborazione tra i due enti. Le 12 stazioni attuali comprendono ora un’informazione bilingue (italiano e tedesco) che aggiorna ed estende quella precedente. La aggiorna in funzione delle nuove conoscenze geologiche e dell’evoluzione di una vegetazione che sempre più include flore esotiche e a volte invasive. Alla diffusione della robinia si è aggiunta più recentemente quella di neofite provenienti da remoti lidi dal clima affine a quello insubrico. L’informazione è ora estesa ai funghi, qui presenti con circa 250 specie, e ad animali quali gli invertebrati dei prati secchi e gli uccelli delle pareti rocciose. Come il falco pellegrino che ha scelto di nidificare sulla scogliera di Sassalto, parete di dolomia creata dalla faglia che prende il nome dal monte e che, chiudendo con le parole di Jäggli, «scende a lago e segna bruscamente il limite tra la china di meriggio e quella di levante».