Ben venga che i nostri figli e nipoti continuino a frequentare la scuola. È un luogo di crescita individuale, e di socializzazione. Non so se ci siano dei dati che possano indicare il tasso di contagio e di diffusione del virus all’interno delle varie aule, in cui da 15 a 25 allievi convivono per 30-35 ore settimanali. Si sa di alcune classi costrette a un periodo di quarantena, poiché un loro membro è risultato positivo al test del Coronavirus. Nulla di allarmante, almeno per ora. Quindi non si intravedono gli estremi per una nuova chiusura di tutto il sistema scolastico cantonale, e per un conseguente ritorno alla formazione a distanza. Così hanno stabilito le autorità politiche, sanitarie e scolastiche.
Parimenti, le stesse autorità, hanno decretato la prosecuzione di tutte le attività lavorative: fabbriche, uffici, cantieri. «È una questione di sopravvivenza – si è detto – non vogliamo che i probabili mali socio-economici siano più pesanti di quelli medico-sanitari». Preoccupazione legittima. Già, ma lo sport non fa parte del tessuto economico della società? Si è voluto porre un freno a tutte le attività sportive amatoriali, ritenute non indispensabili, e lasciar proseguire i campionati professionistici. Tuttavia, con un massimo di 50 persone in pista o nello stadio. Dimenticando quindi ciò che da tempo scandiscono a viva voce i dirigenti dei nostri club sportivi: «Senza pubblico siamo destinati all’estinzione».
In poco tempo si è passati da un tetto massimo di mille spettatori, a un’occupazione dei due terzi dei posti a sedere, per poi precipitare di nuovo, verso una situazione praticamente a porte chiuse. Ciò che sconcerta è la mancanza di armonia e di coerenza delle misure imposte. Posso immaginare il clima di promiscuità e di contatto all’interno di un’aula scolastica. L’ho vissuto da allievo, da studente e da insegnante. Vedo quotidianamente gli assembramenti di studenti e lavoratori sui mezzi pubblici. Ma nessuno batte ciglio. Il buon senso mi suggerisce però che all’aperto, su un campo di calcio, su una pista di hockey o di atletica, in un bosco, oppure, al limite, anche in una palestra molto ampia, ci siano maggiori possibilità che le regole di comportamento dettate dal diffondersi del virus, vengano rispettate.
Se c’è un atto di coraggio da compiere in questo periodo di incertezze, è proprio quello di incoraggiare i bambini a una sana e prudente pratica sportiva. Tra le varie teorie ascoltate in questi mesi, ce n’è una che torna costantemente. È una sorta di ritornello. Un tormentone. «Rinforzate il sistema immunitario! Vi aiuterà a essere più resistenti al virus, e, qualora ne risultaste contagiati, a combatterlo più efficacemente». A corollario di queste teorie, molti medici e specialisti vanno sostenendo che, oltre ai farmaci, non necessariamente di matrice chimica, sono di grande aiuto il movimento all’aria aperta, il sole, le attività aerobiche, nonché la gioia di stare insieme.
Questo, lo predicavano anche le nostre autorità sanitarie, la scorsa primavera, in pieno lockdown, quando si proibiva agli anziani di entrare nei negozi per gli acquisti, ma si suggeriva loro di ritagliarsi un’oretta giornaliera per una sana passeggiata nei boschi, nella massima sicurezza. Fare altrettanto oggi, sarebbe un segnale importantissimo. Avrebbe l’effetto di un farmaco anti-caos. Un rimedio per farci capire che chi ci guida è attento, vigile, ma anche cautamente ottimista. Teme il virus, ma non ha paura di affrontarlo a testa alta.
«Muoversi all’aria aperta fa bene». Ditecelo a chiare lettere. Ci aiuterà a liberare la mente, a superare le innumerevoli incongruenze, nei confronti delle quali siamo stati impotenti spettatori, a partire dal 25 febbraio scorso. Cito solo la questione mascherine, quale esempio di tema sul quale si è cambiato orientamento due miliardi di volte. Per 8-9 mesi, siamo stati bombardati dalle opinioni più disparate, frutto delle riflessioni di virologi, immunologi, medici cantonali, medici generici, omeopati, medici antroposofici, guaritori, filosofi, e mi fermo qui, per una questione di spazio. Almeno fossero state tutte solidali e coerenti, per la serie: «È così, non si scappa. Adeguiamoci!». No, Il virologo A replicava all’immunologo B, il quale contestava le teorie del ricercatore C, che a sua volta rispondeva alle tesi del naturopata D. E noi, lì, nel mezzo del guado. Sconcertati. Senza strumenti di difesa. In balia degli eventi.
Va detto che su queste riflessioni multilaterali, più o meno tutti, genitori, insegnanti, falegnami, impiegati, architetti, disoccupati, eccetera, abbiamo ricamato, sui social, nelle piazze reali e in quelle virtuali, o con delle lettere aperte alla stampa. Risultato: il caos. Il disorientamento totale. Si va dalla fiducia cieca nelle istituzioni – e al conseguente senso ferreo del dovere e della responsabilità sociale – alle teorie complottiste, fino all’intolleranza totale sfociata in violente manifestazioni di piazza. Facciamo in modo di avere almeno un’unica boa alla quale aggrapparci. Tutti, insieme, appassionatamente, su un sentiero, in un bosco, a muoverci in estatica contemplazione della natura.