Un inchino al faggio, eletto albero dell’anno

Natura - In Svizzera è la seconda specie forestale per numero di esemplari, preceduta solo dall’abete rosso
/ 21.03.2022
di Marco Martucci

Presenza familiare quasi ovunque, non è difficile incontrarlo. È il faggio, Fagus sylvatica, eletto Albero dell’anno 2022 dalla fondazione tedesca «Baum des Jahres», un’iniziativa divenuta tradizione e che supera i confini fra le nazioni, coinvolgendo anche la Svizzera. Lo omaggiamo oggi, 21 marzo, sottolineando così anche la Giornata internazionale delle foreste.

A livello nazionale è la seconda specie forestale per numero di esemplari, preceduta solo dall’abete rosso. Anche nel resto d’Europa è una delle specie forestali più importanti. I limiti della sua diffusione sono determinati, oltre che dalla presenza dell’uomo, soprattutto dalle condizioni climatiche. Il faggio preferisce infatti climi piuttosto umidi e non eccessivamente freddi né caldi. In Scandinavia lo troviamo solo nelle pianure meridionali, in Sicilia sulle pendici dell’Etna.

In Svizzera il faggio è raro in Vallese, a causa del clima secco, ma è ben presente sull’Altopiano. In Ticino occupa aree boschive estese un po’ ovunque, particolarmente nel Sottoceneri, in Vallemaggia, Onsernone e Centovalli mentre sono quasi assenti in Leventina e in Valle di Blenio. La gran parte delle faggete le troviamo fra i 900 e i 1500 metri di quota su ogni tipo di suolo, da quello calcareo del Monte Generoso al siliceo della Valcolla, tanto per fare qualche esempio.

Per familiarizzare con questa specie non c’è di meglio che osservarla dal vero e attraverso le varie stagioni, con una gradevole e salutare passeggiata in una faggeta. L’inverno è la stagione migliore per ammirare il portamento del faggio e la tipica corteccia grigia e liscia. Nei cosiddetti meriggi, gruppetti isolati di faggi secolari fornivano e forniscono ombra al bestiame, i rami partono dalla base del tronco e l’albero assume forma tondeggiante. In posizioni esposte. il faggio prende un portamento cespuglioso. Nel bosco, i tronchi sono più alti e slanciati, simili a colonne e l’inserzione della chioma può essere ad altezze che superano i venti metri.

Toponimi come Faido o Faedo in Val Bavona testimoniano l’importanza storica della faggeta nel nostro territorio, sia per la produzione di legna da ardere, da carbone e da costruzione, per lo strame e il pascolo ma anche per la protezione contro frane e scoscendimenti. La faggeta ospita un gran numero di animali di specie diverse, cinghiali, cervi, uccelli. Il suolo, in assenza di neve, è coperto da un fitto strato di foglie secche e pare non esserci vita. Ma è solo un’illusione. Sia la lettiera sia il legno marcescente di faggio accolgono decine di specie d’insetti come la stupenda Rosalia alpina, uno dei nostri più grandi e bei coleotteri, che trascorre da due a tre anni della sua vita dentro il legno di cui si nutre.

In primavera, prima dello spuntare delle tenere e verdi foglie, il sottobosco si colora con diverse fioriture, come quella dell’anemone bianca, Anemone nemorosa. Presto, però, la fitta chioma degli alberi toglierà la luce e molti fiori spariranno. Il faggio sopporta la propria ombra ma fa concorrenza alle altre specie e poche riescono a resistere, come fa l’agrifoglio.

Verso l’estate, il faggio fiorisce, presentando fiori maschili e femminili sullo stesso albero. In autunno, invece, le foglie prendono colori stupendi, dapprima il giallo e poi il rosso-bruno, prima di cadere. Nel frattempo, il sottobosco diventa il regno dei funghi, molti dei quali vivono in simbiosi con il faggio. Dai fiori femminili, intanto, si sono formati i frutti, le faggiole o faggine. In numero di due sono racchiusi in una cosiddetta cupola, una sorta di riccio non pungente che ricorda la parentela botanica con castagno e quercia, tutte specie della stessa famiglia, le Fagacee.

Le faggiole hanno forma triangolare, color marrone e contengono semi ricchi di olio. Sono apprezzato nutrimento per molti animali e commestibili anche per noi. La quantità di faggiole varia di anno in anno, come per tanti alberi della foresta, fra cui querce e abeti. Le annate ricche di faggiole, di ghiande, di pigne, sono chiamate annate di «pasciona» dall’usanza di lasciar pascolare (pascere) i maiali sotto le querce per farli ingrassare, diventar pasciuti. La «pasciona» è una festa per tanti altri abitanti del bosco, la cui popolazione aumenta grazie all’abbondanza di cibo. È una strategia degli alberi per saziare i predatori, lasciando un più grande numero di semi che, nella primavera successiva, germineranno rinnovando il bosco.

Le pascione sono spettacoli affascinanti: i rami dei faggi arrivano a piegarsi sotto il peso delle abbondanti faggiole. Si ripetono nel tempo a intervalli variabili più o meno lunghi e coinvolgono non solo piccoli gruppi di alberi ma foreste di grande estensione. È come se gli alberi si mettessero d’accordo per sincronizzare la loro produzione di frutti. La «pasciona» di faggio più recente risale al 2021, un’altra, molto abbondante, avvenne nel 2016. Per indagare sulle «pascione» e scoprirne le cause, un gruppo internazionale di cui facevano parte anche i ricercatori dell’Istituto federale di ricerca WSL di Cadenazzo, ha raccolto dati sulle annate di «pasciona» di faggio e abete rosso degli ultimi 190 anni in tutta Europa. Per il Ticino, ci spiega Marco Conedera del WSL, si sono prelevati pollini di faggio contenuti negli strati del fondo del Ceresio, presso Caslano. I risultati della ricerca, pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica «Nature Communications», sono stati sorprendenti.

A mettere in moto le «pascione» europee è un fenomeno climatico di vasta portata, che avviene molto lontano, l’Oscillazione Nord Atlantica NAO, che nasce dalla differenza di pressione tra la depressione d’Islanda e l’Anticiclone delle Azzorre. La NAO influirebbe sulla fioritura, durante l’inverno e nell’estate, prima della maturazione dei semi. Fattori determinanti sarebbero l’accumulo di sostanze nutritive, la formazione di gemme a fiore nell’anno precedente la «pasciona» e l’efficace impollinazione favorita dal vento.

È impressionante scoprire che anche i faggi ticinesi – fra i quali quelli delle antiche faggete valmaggesi – delle Valli di Lodano, Busai e Saladino, inseriti l’anno scorso nel Patrimonio mondiale dell’Unesco, possano ricevere un segnale che parte dal bel mezzo dell’oceano.