Gifted, così vengono internazionalmente definiti gli individui dotati di un alto potenziale cognitivo. Si tratta di persone con un’intelligenza fuori dal comune, che hanno, a volte, capacità straordinarie in campi specifici. Nella realtà dei fatti però questo «dono» richiede un grande impegno affinché non vada sprecato, e questo fin dalla tenera età.
«Comunque si vogliano definire, si tratta di bambini che l’opinione comune reputa fortunati e che invece sono spesso protagonisti di una sofferenza causata dalle loro stesse potenzialità che non riescono a mettere a frutto nel contesto scolastico e sociale», afferma Anna Galassetti, presidente dell’associazione Filo di Seta, fondata a Locarno la scorsa primavera con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica e le istanze educative alla tematica dell’alto potenziale cognitivo (Apc).
Realtà relativamente poco conosciuta in Svizzera – nel nostro Cantone meno che in altri – quella dei bambini intellettivamente precoci interessa direttamente circa il 2% degli allievi. «A livello statistico, il 2,28% di persone di ogni fascia di età presenta un Q.I. superiore a 130», afferma Giovanni Galli, psicologo e psicopedagogista con studio privato a Locarno, specializzato in Apc, «possiamo però stimare che questa percentuale arrivi al 5%, ma al momento non esistono ricerche “a tappeto” sul tema e non tutti i casi vengono diagnosticati». Ma come ci si accorge che un bambino è effettivamente dotato di un alto potenziale intellettivo?
«I primi osservatori sono in genere i genitori, che notano, per esempio, una padronanza linguistica o numerica anticipata, una grande capacità di memorizzazione o una curiosità insaziabile», continua Galli. A questo punto si procede con un colloquio clinico, nel corso del quale si raccolgono informazioni relative alla crescita e allo sviluppo del bambino, ai suoi interessi, ad eventuali apprendimenti precoci, come l’imparare autonomamente a leggere verso i 4 anni. Se da questo colloquio scaturiscono gli elementi per pensare che il bambino sia effettivamente dotato di un alto potenziale cognitivo, si procede con dei test: «Si usa in genere il WISC (Wechsler Intelligence Scale for Children), di cui esistono versioni diverse a seconda delle fasce d’età. Composto da una serie di prove, questo test internazionalmente usato e riconosciuto, consente di valutare le competenze del bambino, che vengono poi espresse in termini numerici. Un Q.I. di 130 è il valore di riferimento per la diagnosi di alto potenziale cognitivo», spiega lo psicologo, che da anni si occupa di questa popolazione in Ticino e in Italia.
I bambini ad alto potenziale hanno tratti che li caratterizzano pure a livello emotivo. «Spesso sono di difficile gestione in quanto molto sensibili e talvolta anche narcisisticamente fragili», continua Galli, «per arrivare ad una diagnosi forniscono indicazioni utili pure gli strumenti che determinano il quoziente di intelligenza emotiva». Non è quindi soltanto una questione di Q.I, anche se questo, dal punto di vista scientifico, resta inequivocabile.
Nei soggetti ad alto potenziale, tra la sfera emotiva e quella intellettiva esiste una relazione particolare. «Da un punto di vista clinico, vediamo che più alto è il potenziale cognitivo più si possono supporre dei problemi di gestione dell’emotività e socializzazione, anche se, a mia conoscenza, non esistono degli studi statistici specifici a conferma di questo aspetto. Bisogna considerare che un bambino ad alto potenziale si pone problemi intellettualmente evoluti, pur avendo un’esperienza che corrisponde alla sua età anagrafica. Questo lo porta a vivere le cose in maniera più intensa rispetto ai coetanei, e ad avere, a volte, delle reazioni forti».
«Troppo» è di fatto un termine che caratterizza le persone superdotate. «Si è “troppo” di tutto. E questo è frustrante perché spesso gli altri o non capiscono o non apprezzano o trovano che tu sia esagerata», afferma Anna Galassetti, che ha iniziato ad approfondire la tematica – con la quale si confronta pure professionalmente, essendo formatrice di didattica della musica presso il Dipartimento formazione e apprendimento della SUPSI e docente di educazione musicale nelle Scuole elementari – dopo che, in età adulta, è stato riconosciuto il suo alto potenziale. «Da un certo punto di vista si impara a controllare l’aspetto emotivo, ma ci sono delle sensazioni che sfuggono al controllo», continua la presidente del Filo di Seta, riferendosi all’ipersensibilità e all’ipersensorialità, che pure figurano tra i tratti caratterizzanti di un profilo Apc.
Nel secondo caso, i sensi esacerbati portano ad avere una sorta di bombardamento sensoriale costante. «È per questo che a me, da ragazza, non piaceva andare in discoteca; musica e odori mi risultavano insopportabili. Questo è uno dei tanti episodi che ho compreso dopo aver fatto i test, i quali mi hanno portato a rileggere, in prospettiva, la mia vita, con un’implicazione psicologica piuttosto pesante». L’ipersensorialità comporta pure delle reazioni fisiche esagerate quando si provano delle emozioni, per esempio il fatto di empatizzare a livello fisico il malessere di una persona vicina. Ci sono poi delle persone plusdotate che sono sinestetiche. Per esempio ascoltano la musica e vedono un colore oppure vedono qualche cosa e provano a livello fisico un senso di piacere o di dolore.
Un’altra caratteristica dei soggetti ad alto potenziale è il pensiero travolgente, che non si ferma mai. «È come se qualcuno ti parlasse costantemente nell’orecchio. Bisogna trovare la propria strategia per incanalare il pensiero e raggiungere così un equilibrio; per me è la lettura ad alta voce», continua Anna Galassetti. Per altri può essere la scrittura o lo «scarabocchiare». Ecco perché certi bambini ad alto potenziale a scuola hanno bisogno di fare altro mentre ascoltano; ed ecco perché è importate che la peculiarità di questi bambini sia diagnosticata. «Se l’insegnante sa che questo è un modo per concentrarsi, lo accetterà ed esso potrà venir concordato con il resto della classe», afferma la presidente del Filo di Seta, che in questo ambito mira ad una collaborazione con le istanze pubbliche, ponendosi come un referente per indirizzare e informare i genitori.
In Ticino l’approccio scelto è quello dell’integrazione; mentre in altri Cantoni – nello specifico Zurigo e Ginevra – esistono delle scuole private per bambini ad alto potenziale cognitivo. Nel nostro Cantone, i bambini segnalati possono beneficiare di misure di differenziazione o sostegno pedagogico e, eventualmente, salto di classe. E la via intrapresa proseguirà, con ogni probabilità, con la riforma «La scuola che verrà». «Le parole d’ordine sui documenti diffusi in relazione alla consultazione per “La scuola che verrà” sono “inclusione”, “personalizzazione” e “differenziazione” con un progetto personale per ogni bambino», commenta la presidente dell’associazione che mira proprio a sostenere i bambini plusdotati e le loro famiglie, «questa ci sembra un’ottima notizia, dal momento che i bambini Apc hanno bisogno di accorgimenti pedagogici specifici, avendo un’intelligenza che funziona diversamente, sia dal libro di testo sia da come le materie vengono insegnate, e, a volte, pure un comportamento diverso da quello che si esige da un ragazzo a scuola».
Se non compresi, questi ragazzini rischiano di avere un rendimento scolastico che non rispecchia il loro potenziale, oltre a problemi di integrazione e manifestazioni di disagio, come non riconoscere l’autorità scolastica, disturbare o essere talmente attivi da venir considerati iperattivi. «A causa del mito diffuso secondo il quale, grazie alla loro intelligenza “superiore”, i giovani Apc se la cavano comunque, le loro difficoltà possono essere mal interpretate o sottovalutate», afferma Anna Galassetti.
Spesso ad un Apc fanno difetto attenzione, concentrazione e tenacia. Importante per la loro riuscita è il concetto di «sforzo»: «A volte quando vedono che con l’intuizione o la memoria non ci arrivano più si bloccano; nel momento in cui avrebbero bisogno di studiare non hanno un metodo. A questo punto serve qualcuno che li accompagni e insegni loro come studiare», spiega Anna Galassetti, che continua raccontando la propria esperienza: «Fino al liceo mi bastava seguire le lezioni per ricordare le cose. Vedevo però che per i miei compagni non era così. Ho scelto allora di affiancare al liceo il conservatorio di musica – scuola specializzata nell’ambito in cui ero meno brillante – per mettermi a livello degli altri; mi sono auto-compensata con qualcosa che mi richiedesse uno sforzo e ho imparato ad avere un metodo».
Per fortuna vi sono anche bambini ad alto potenziale che riescono serenamente a mettere a frutto il loro dono e non vivono situazioni di disagio. E in questo i genitori possono sicuramente essere d’aiuto, soprattutto sostenendo la loro sete di imparare e offrendo un ambiente stimolante: «Non bisogna mai pensare “non devo incoraggiare a leggere il mio bambino perché se no quando andrà a scuola si annoierà”, mai frenare. I bambini vanno stimolati, a dipendenza dei singoli casi, con attività che non nutrano solo il cervello ma anche il corpo e lo spirito», conclude Giovanni Galli.