Bibliografia

Alexander Grass, Grenzland Tessin. Fotografie di Alberto Flammer. Edizioni Hier und Jetzt, Baden, 2023.


Un cantone sotto osservazione

Pubblicazioni – Alexander Grass, per anni corrispondente della SRF, nel suo libro tratteggia l’evoluzione del Ticino postbellico
/ 17.07.2023
di Orazio Martinetti

A molti sembrerà inusuale presentare in italiano un libro scritto in tedesco. Ma per una volta è utile scavalcare le barriere linguistiche, anche perché l’autore ha sì scritto nella sua lingua madre, ma ricercando e interrogando in italiano. Alexander Grass infatti non indossa i panni del forestiero, non rientra nella casistica dei viaggiatori che, soggiornando nelle nostre contrade, magnificavano le bellezze di questa anticamera d’Italia: la luce il cielo il clima la vegetazione le seduzioni della teosofia. Appartiene invece al novero degli osservatori che – come Max Wermelinger prima e Beat Allenbach poi – hanno avvertito l’esigenza di calarsi anima e corpo in questo nostro piccolo angolo sudalpino per esplorarne i tratti meno visibili ad occhio nudo: pregi e difetti, luci ed ombre, rivendicazioni e delusioni.

Esterno ma non alieno

È un’indagine, quella di Grass, che è frutto di uno sguardo esterno, nutrito della lunga esperienza giornalistica nelle vesti di corrispondente della SRF, e sappiamo quanto sia importante, per un microcosmo come il nostro, spesso introverso e permaloso, poter contare su diagnosi scevre da pregiudizi, estranee sia all’autocontemplazione che all’autodenigrazione. Troppe volte, anche in tempi recenti, è venuto a mancare un mediatore verso Berna o verso la «Zurich Area»: un «pontiere» capace di illustrare all’opinione pubblica e ai politici d’oltralpe le ragioni del Ticino.

L’altro aspetto da evidenziare è un percorso che per le generazioni formatesi dopo la Seconda guerra mondiale assomiglierà ad una sorta di autobiografia: una sequenza di tappe, di momenti, di scatti che hanno modificato radicalmente i lineamenti di questa regione. Un cammino che l’ha portata dalla condizione di periferia emarginata a polo emergente, anello di congiunzione tra l’industrioso Nord Europa e la non meno laboriosa Lombardia. Con le conseguenze che l’autore ben descrive, senza tacere gli inconvenienti, gli effetti collaterali di una crescita spesso convulsa e incontrollata. L’elenco è ormai lungo, dal traffico all’inquinamento, dal boom immobiliare all’alluvione cementizia, dal calo delle nascite all’invecchiamento della popolazione.

Squilibri demografici

Il tema della demografia è una delle costanti del periodo postbellico. Negli anni ’50 e ’60 il cruccio maggiore riguarda lo spopolamento delle valli con il relativo abbandono dei pascoli e delle stalle. Per contrastare il declino, la politica mise in campo una serie di misure, che andavano dai sussidi alle aziende alla promozione in loco di attività artigianali e industriali. Occorreva insomma favorire lo sviluppo di ambedue i comparti, quello agricolo e quello industriale. Nell’immediato dopoguerra era convinzione diffusa che questa complementarità potesse risollevare le sorti delle zone dissanguate dall’esodo rurale. Seguì negli anni Settanta la Legge federale sull’aiuto agli investimenti nelle regioni di montagna, con risultati alterni.

Oggi la demografia è tornata al centro della scena, con la tradizionale piramide che si è via via trasformata in mongolfiera: poche nascite a fronte di un progressivo rigonfiamento delle classi di età più avanzate. Ciò che preoccupa ora non è tanto l’invecchiamento quanto lo squilibrio che si è creato tra le fasce di età: giovani, classi produttive, pensionati. L’andamento demografico è nel contempo causa ed effetto. L’autore lo illustra con l’evoluzione economica, la «scoperta» del petrolio alpino, le risorse idriche e il loro sfruttamento per opera delle Partnerwerke, un capitolo che nel Ticino ha lasciato strascichi che persistono tuttora e molte amarezze.

Strade, autostrade e ferrovie

Grass si sofferma poi sulla rete dei trasporti, anche questo un argomento ricorrente nella storia del cantone fin dalla sua nascita nel 1803: «San Gottardo, strada d’Europa». E sappiamo quanto sia stato lungo e tenace l’impegno per non vedersi esclusi dal circuito commerciale ed economico centro-europeo, con i relativi risvolti politici (elvetismo), cultural-linguistici, turistici. Di qui una folla di rivendicazioni sia in campo ferroviario che stradale: richieste che anche dopo l’apertura di AlpTransit proseguono, soprattutto per decongestionare la punta meridionale del cantone.

A quali fonti si è «abbeverato» Grass nel costruire il suo libro? Al suo archivio di corrispondente, alla stampa e alle interviste, certo, ma anche alle pubblicazioni che hanno segnato la riflessione intellettuale fin dagli anni ’60. Pensiamo ai materiali prodotti dall’Ufficio delle ricerche economiche, fondato nel 1961: una miniera di dati e di analisi; e allo studio pionieristico di Francesco Kneschaurek sullo Stato e sviluppo dell’economia ticinese, del 1964. Nello stesso anno usciva il volume a più mani Aspetti e problemi del Ticino, con contributi importanti di Guido Locarnini, Basilio M. Biucchi, Bruno Caizzi. E poi ancora Il settore industriale ticinese, del 1968.

Il rientro dei laureati

Parallelamente aumentava anche il numero degli studenti universitari nel campo delle scienze storiche, economiche, pedagogiche: giovani che si laureavano negli atenei d’oltralpe e che poi s’inserivano nell’Amministrazione cantonale, nelle scuole superiori e nei centri di ricerca. Intorno al ’68 c’è fermento e insofferenza, cresce la consapevolezza – come dirà Virgilio Gilardoni – di riflettere sulla «personalità» di questo cantone, spesso dimentico del proprio passato, dei suoi uomini migliori, della sua rilevanza come «terza Svizzera». Il ’69 è un anno emblematico, che determina da un lato un’accelerazione in campo politico (la nascita del PSA e la concessione del voto alle donne) e dall’altro una brusca frenata nella gestione del territorio (bocciatura della Legge urbanistica).

Pur privo di un ateneo, il cantone si apriva dunque ai nuovi movimenti e ai progetti educativi che sarebbero sfociati nella creazione della scuola media unica. Negli anni ’70 arrivano a maturazione i primi consistenti frutti di questa generazione, opere fondamentali sull’emigrazione (Giorgio Cheda), sull’evoluzione dei partiti politici (Bianchi e Ghiringhelli), sul Ticino dell’Ottocento (Raffaello Ceschi). Non meno prolifica si rivela la pattuglia degli economisti che opera nell’URE diretto da Remigio Ratti: una fucina che la politica apprezza, ma che poi accantona o addirittura condanna all’atto pratico. Nel 1975 Angelo Rossi dà alle stampe un testo destinato ad entrare negli annali della nostra repubblica: Un’economia a rimorchio, in cui l’autore applica al Ticino il modello neocoloniale centro-periferia, fermando l’attenzione sulle transazioni orchestrate dalla classe avvocatesca e notarile. Anche dal fronte della riflessione architettonica giungono segnali innovativi, un’idea del progettare e del fare che contesta apertamente la tradizione («Tendenzen. Neuere Tessiner Architektur» all’ETH di Zurigo nel 1975).

Da questa fase di germinazione – che come abbiamo visto risale agli anni ’60 e ’70 – nasceranno anche le successive iniziative di approfondimento, come le conferenze promosse dall’Associazione cultura popolare o le iniziative editoriali di Coscienza Svizzera.

La metamorfosi

Alexander Grass documenta bene questi passaggi, questa «metamorfosi» che si è verificata negli ultimi quarant’anni, con il doppio attraversamento sotterraneo del Gottardo (strada e ferrovia) e con l’accelerazione dei processi di inurbamento di larga parte della popolazione. Oggi si parla di «città Ticino», ovvero di uno stadio di sviluppo riconducibile ad uno schema di tipo metropolitano, con i vari poli collegati tra loro da una rete di trasporto rapida ed efficiente. Dentro queste maglie sempre più fitte spuntano continuamente sempre nuovi cantieri, in base ad una «libido aedificandi» che sembra inarrestabile ed inguaribile.

Ci salverà la montagna, la riscoperta delle valli e delle micro-comunità discoste dai centri? L’argomento è tornato d’attualità al tempo della pandemia. Un antropologo come Vito Teti ha coniato la parola «restanza», intendendo con questo termine il «sentimento di chi àncora il suo corpo ad un luogo» e nel contempo «fa diaspora con la mente». Non è il ritorno dell’emigrante, dopo aver girovagato per mezza Europa, ma un modo di vivere la montagna senza cadervi prigionieri, senza rimanere rinchiusi nei suoi orizzonti angusti. La tecnologia può aiutare, così come la maturazione di una diversa sensibilità per l’ambiente e per una condotta di vita ecosostenibile.