Basta una corsa a perdifiato in un prato incolto per far gridare a un bambino, mani protese verso il cielo, «Questa sì che è vitaaaa!»? Forse solo una corsa no, ma chissà che l’immersione nella natura, la vicinanza con i profumi del bosco, la raccolta dei frutti non lo abbia messo a contatto con quel lato «selvatico» che è in lui risvegliando una pulsione vitale altrimenti assopita? Di sicuro c’è che l’etnobotanica Muriel Hendrichs (Master in Ecologia ed etologia evolutiva, specializzazione in Etnobotanica a Neuchâtel), assistendo a questa scena qualche anno fa, ha preso una decisione importante: fare in modo che sempre più bambini, grazie al contatto e soprattutto alla conoscenza della natura, potessero provare la stessa gioia e libertà di quel primo fanciullo.
Così, mi ha raccontato la stessa Muriel, è nata l’alberoteca: un gruppo che si occupa di consulenza e progettazione etnobotanica e di educazione ambientale per grandi e piccini. Sono lei e Benoît Maël Cadier, ai quali si aggiungono per le attività didattiche Francesca Bonini e Gea Würsch. Lavorano in Capriasca da qualche tempo e da questo settembre propongono anche «Un anno nel bosco» per permettere ai bambini di vivere, conoscere, abitare e giocare nel e con il bosco per tutti i nove mesi scolastici. Ho incontrato Muriel un giorno d’inizio autunno, e si è presentata con quattro specie diverse di mele in mano.
Muriel Hendrichs, come è nata l’alberoteca?
L’alberoteca è nata dal desiderio di condividere la passione per la natura e quello che il territorio ci offre. Tutto ha preso il via con l’esperienza di ProFrutteti, Capriasca Ambiente, quando abbiamo iniziato il recupero delle vecchie varietà di piante da frutta. Per il master avevo sentito la necessità di tornare in Ticino: etnobotanica è lo studio della relazione tra l’uomo e le piante, si studiano le piante nella loro dimensione scientifica, agronomica e morfologica, e soprattutto nella loro forma culturale. E visto che la mia cultura è questa, sono tornata. Accantonando il mio sogno, che era partire per studiare forme incredibili di piante in paesi sconosciuti del mondo.
E così sei atterrata nelle valli di Lugano…
Sono i meli che mi hanno portata in Capriasca, io sono di Osogna, cresciuta dentro le pozze, in parte il mio legame con la natura viene da lì. Inizialmente il lavoro consisteva nel riscoprire la storia dei meli, conoscere le varietà esistenti sul territorio. Da qui il mio lavoro di tesi Inventaire ethnobotanique: étude du patrimoine variétal du pommier de la Capriasca et mise en évidence des aspects historiques-culturels qui lui sont associés (durante il lavoro di monitoraggio sono stati cartografati e codificati, nel territorio capriaschese, ben 411 meli, la maggior parte dei quali centenari, ndr.). Dopo il master ho deciso di rimanere perché avevo studiato le piante, individuato tante varietà, le avevamo moltiplicate, e i giovani alberi erano pronti a mettere radici. E quando è accaduto, le ho messe anche io, le radici.
Perché dedicarsi poi alla didattica?
La passione per la condivisione delle esperienze in natura c’è da sempre. Si è poi concretizzata quando un’amica maestra d’asilo mi ha chiesto di poter raccogliere le mele e fare il succo con la sua classe: in quella giornata ci sono stati tre momenti importanti. I bambini hanno visto degli animali con le corna e hanno iniziato a correre, per alcuni erano le prime mucche che vedevano! Poi abbiamo incontrato dei maialini in fattoria e un bimbo, emozionato: «ma allora i tre porcellini esistono per davvero?». Io credevo che queste realtà fossero legate prevalentemente alle metropoli... È con l’ultimo episodio che mi sono detta: «Al di là dello studio e della ricerca: se dare l’opportunità di trascorrere del tempo in natura può far gridare a un bambino di sei anni “Questa sì che è vita!”… lo devo fare!».
E come ti sei organizzata?
Pian piano, in collaborazione con ProFrutteti, ho sviluppato delle attività all’interno del Progetto di valorizzazione delle antiche varietà di melo, con il sostegno dell’Ufficio federale dell’agricoltura. Un capitolo importante verteva sull’educazione e abbiamo così creato un piccolo dossier didattico: il «Fruttiscopio» (progetto che mette in luce le molteplici sfaccettature della relazione «uomo-mondo frutticolo», ndr.). C’è poi stata la collaborazione con la mostra «Sguardi sulla biodiversità», realizzata da Capriasca Ambiente in collaborazione con le scuole medie locali e il Museo di storia naturale, nell’ambito della quale abbiamo sviluppato e animato svariate attività didattiche orientate alla scuola all’aperto. Qui si esplorano anche altri ambienti come il bosco, le zone umide e le zone urbane.Poi i doposcuola «esploriAMOLANATURA insieme», e infine, spinti dalla necessità di avere una continuità armoniosa tra i ragazzi e lo svolgersi dell’anno naturale, è nata l’idea di «Un anno nel bosco»: si tratta di un percorso attraverso le stagioni dove si investe nel gruppo, nelle relazioni, e si sperimenta gradualmente. Siamo in quattro, il denominatore comune è la passione per la natura, io mi focalizzo maggiormente sulle piante, i semi, i frutti, le foglie, il loro utilizzo e curiosità; Benoît Maël ci accompagna nella scoperta degli animali; Francesca ci coinvolge nella dimensione del movimento, danza e canto; Gea ci trasporta nel mondo della fantasia, utilizzando gli elementi della natura dal punto di vista artistico per valorizzare creatività ed espressione.
Al centro del progetto c’è il nostro paesaggio, il territorio, la biodiversità. Principi che a livello cantonale sono sostenuti dall’Ufficio natura e paesaggio del Dipartimento del territorio, grazie al sostegno del quale siamo potuti partire.
Perché è importante che l’uomo si riappropri dei boschi?
Perché il bosco è una risorsa. Al giorno d’oggi viviamo in una società che dà tanti stimoli, in una giornata siamo sottoposti a troppe sollecitazioni sin da piccoli. È difficile da gestire a volte. Quando si va nel bosco ci si sente bene, radicati, si stacca e si può fare il punto della situazione: cosa è davvero importante? Noi abitiamo un pianeta paradisiaco: innumerevoli piante, animali, interazioni. In una giornata però siamo talmente presi da altro che non ne ce ne sentiamo parte. Conoscere, impegnarsi perché questo paradiso non venga rovinato, è la priorità. A volte basta fare una passeggiata nel bosco: il tempo si dilata, ci si meraviglia, si osserva, si imparano cose che servono per la quotidianità.
Per esempio?
A volte basta osservare le formiche per capire che ci vuole cooperazione.
Ti è rimasta la voglia di viaggiare in altre parti del mondo per trovare nuove piante?
Sono sempre molto incuriosita dalle persone che interagiscono e interpretano la natura in un modo totalmente diverso dal nostro, per religione, cultura, medicina. Mi affascina il mettere in discussione quello che conosco qui. Trovo stimolanti gli studi in etnobotanica legati alla nomenclatura, poiché ogni pianta in natura è nominata in maniera diversa, a seconda della società in cui si vive: è un’interpretazione del mondo in cui viviamo. Chissà forse un giorno… per ora però sono ben radicata qui!
E infatti, parlando con Muriel Hendrics di queste mele, scopro che esistono le «pomm rossin», la mela campana, la ruggine d’autunno, … e che ognuna di loro ha una storia incredibile.