Il logo del Parco del Piano di Magadino è verde e sullo schermo è in movimento: un picchio batte velocemente il suo becco; una mucca pascola pacifica; un fiore è mosso dal vento, una gallina mangia, un uomo passeggia, un altro va in bicicletta. Ci sono uccelli, farfalle, frutta, verdura, rane, lucertole, scoiattoli e una spiga di grano. Se si percorre il Piano sempre solo dalla strada per le macchine, non si vede niente di tutto questo. Bisogna scendere e cambiare visuale, perché lì a fianco c’è tutto un tesoro a disposizione.
Negli ultimi duecento anni, tutto il Ticino si è trasformato, ma il Piano di Magadino è forse la parte che sorprenderebbe di più Stefano Franscini se dovesse tornare a passeggiarvi. Una volta lì il fiume Ticino non era arginato poi, nell’ultimo secolo la canalizzazione ha mutato il paesaggio e ha fatto crescere industria e sorgere strade; si è espansa la zona edificata fino all’inceneritore, tanto che molti ticinesi ignorano che ci sia un meraviglioso paesaggio naturale e silenzioso proprio sul Piano di Magadino.
Il Cantone già da molti anni pensava a un modo per preservare questa area pregiata, affinché non si facesse inghiottire anche lei dal cemento, valorizzando le sue tre vocazioni intrinseche: agricoltura, natura e svago. L’idea di parco arriva dunque da lontano e si è concretizzata dopo il 2007, quando il popolo bocciò in votazione la Variante 95, una strada veloce che avrebbe attraversato il Piano per risolvere il problema del traffico su quella tratta. Il problema non è ancora stato risolto, ma si è preservata però l’area agricola pregiata a elevata biodiversità del Piano, che sta vivendo l’inizio di un suo nuovo sviluppo grazie alla Fondazione del Parco, nella quale sono rappresentati il Cantone, i Comuni, le associazioni agricole, quelle ambientaliste, gli enti regionali di sviluppo, le organizzazioni turistiche regionali e il Consorzio correzione fiume Ticino.
A un anno dalla sua entrata in carica, Alma Sartoris, geografa e direttrice della Fondazione del Parco, ci racconta il progetto. «La nostra idea di base è che agricoltura, natura e svago possono convivere e potenziarsi a vicenda», spiega. «Siamo un collettore di progetti e iniziative che possono arrivare dagli otto Comuni, dalle 80 aziende agricole e dalle associazioni del territorio che già da tempo si prendono cura di tutti gli aspetti più importanti di questi 2350 ettari di superficie».
Il parco si estende lungo il tracciato del fiume Ticino per una lunghezza di quasi 11 km e una larghezza media di circa 2 km. Oltre il 60% della superficie del parco è dedicato all’agricoltura, che costituisce circa i 3/4 della produzione agricola nel Ticino. Dal punto di vista naturalistico, il Piano è considerato un importante polo strategico per la biodiversità, grazie alla grande presenza di ambienti palustri di pianura (tra cui le Bolle di Magadino, «memoria storica» di come erano un tempo le rive del Ticino) che ospitano specie rare di uccelli e anfibi. L’area è perfetta per passeggiate a piedi e in bicicletta a ogni età: pianeggiante, vicina ai due grandi centri abitati, servita da ferrovia e autobus e ricca di prati, boschi, zone umide di grande bellezza. Difficile ormai trovare upupe e civette alle nostre latitudini, se non proprio sul Piano; mentre le Bolle di Magadino (gestite dall’omonima Fondazione) sono ritenute di importanza internazionale perché tappa degli uccelli acquatici migratori.
«Tutta questa zona, che va dalle Bolle al termovalorizzatore di Giubiasco», prosegue la direttrice del Parco, «non è praticamente più edificabile tranne che per esigenze agricole; ora lavoriamo su un grande numero di progetti che vorremmo sviluppare nei prossimi anni. Per esempio, saranno estese le reti ciclabili e pedonali; posizioneremo mappe per orientarsi e scoprire le ricchezze dei luoghi; faremo sensibilizzazione per una buona convivenza tra chi lavora, abita e chi si muove all’interno del Parco. Vorremmo che le aziende agricole potessero promuovere i loro prodotti e far conoscere il modo in cui questi sono preparati».
La sensibilità del futuro sembra essere quella di rispettare altrettanto la natura coltivata da quella incolta: non ci si sorprenderà dunque di passare da biotopi senza intervento umano a campi coltivati e vendita diretta di prodotti cresciuti lì a fianco: anzi, saranno questi gli ingredienti ben amalgamati di una giornata trascorsa in modalità lenta, con vitto a chilometro zero, in un paesaggio da sogno, senza rumori urbani.
Oltre a svolgere alcuni lavori di manutenzione per ambienti naturali, sono iniziate svariate collaborazioni: in questo primo anno sono state organizzate serate, conferenze e visite guidate, tutte volte a sensibilizzare sui temi del Parco; sono stati avviati sostegni particolari e consulenza mirata rivolti a un’agricoltura sostenibile; si sta lottando contro le piante neofite; si promuovono alcune iniziative private, come per esempio la spesa in fattoria su due ruote il mercoledì mattina. In collaborazione con la società dei commercianti di Locarno, invece, in settembre, al mercato è stato adibito un angolo con i prodotti del Piano. La Fondazione ha anche partecipato a eventi come Slow Up che promuove la mobilità lenta: «Il traffico dovrà essere sostenibile, cioè il passaggio all’interno del Parco sarà riservato a chi lavora, vive o si reca in un’azienda agricola, per il resto noi favoriamo visite del territorio in bicicletta, a piedi o a cavallo».
Tra i progetti per il futuro ci sono anche l’istituzione del Centro di accoglienza del Parco, per scuole, visitatori e gruppi in visita, con un’esposizione permanente, un luogo dove degustare e vendere prodotti del Piano, gli uffici, il punto di partenza o di arrivo per tutte le escursioni, e così via.
Un tema di cui si sta occupando la Fondazione e che potrebbe interessare scuole, consumatori e distributori è la limitazione degli sprechi alimentari. «Vogliamo trovare idee per il raccolto che rimane invenduto, sia perché in alcuni periodi dell’anno c’è più produzione che domanda di certi ortaggi che quindi si trovano in eccesso, sia perché di “seconda scelta”, cioè esteticamente diversi. Ne stiamo discutendo con chi si occupa di smerciare gli ortaggi delle aziende locali: abbiamo messo sul tavolo varie proposte che valuteremo per decidere quali direzioni saranno le più interessanti da percorrere», illustra la direttrice.
Non ci resta ora che recarci sul posto: scendiamo dal treno a Cadenazzo, Sant’Antonino, Gordola, Giubiasco o Quartino e andiamo ad ammirare i colori dell’autunno, a piedi o con le biciclette. Forse non tutti conoscono il laghetto di Gudo, con il suo osservatorio per uccelli; non tutti avranno già visto i nidi di rondine e il parco giochi nella Fattoria Ponzio; di sicuro non tutti hanno sotto casa formaggio e uova «del contadino» e molti di noi si sono dimenticati di quante rane, cinguettii, libellule ci rallegrano la giornata se decidiamo di trascorrerla all’aria aperta in un luogo protetto. E chi ha già visto la Foce del Trodo, con tutta la vita che gli gira intorno e gli alberi da frutta da cui chiunque può servirsi?
Alma Sartoris ricorda anche che ci sono stalle aperte e scuole in fattoria, che piacciono a bambini e ragazzi ma non solo. «Stalle aperte è un progetto che porta le aziende a mostrare il proprio lavoro e i propri animali a chi li viene a trovare» e infine conclude: «Nel Parco si trovano agriturismi, scuderie e ristoranti dove mangiare e anche un bed and breakfast dove pernottare».