Nonostante ritmi di lavoro (purtroppo) frenetici anche durante i mesi di smart working e le legittime preoccupazioni, la quarantena per il Covid-19 a Il Caffè delle mamme è stata scandita da racconti di cucina: bambini con le mani in pasta per preparare pane, attenti a non tagliarsi le dita mentre prendono le tagliatelle che escono dalla macchina per farle in casa (rubata alla nonna), seduti pazientemente al tavolo a sgranare piselli e pulire fagiolini, concentrati a rompere le uova per preparare la torta margherita e intenti a passare la forchetta sugli gnocchi. Un’abitudine che – è la nostra convinzione – va mantenuta anche per il futuro con il ritorno alla vita normale. Chi già conosceva il piacere di cucinare con i bimbi è certamente avvantaggiata, per tutte le altre è un’occasione da non perdere. Ecco perché. In una chiacchierata con Angela Frenda, food editor del «Corriere della Sera», abbiamo individuato almeno cinque motivi.
Uno. L’obiettivo non è trasformare i nostri figli in piccoli chef né insegnare loro a cucinare. Il bello è condividere con loro la cucina come luogo di intimità, tramandare tradizioni, regalare profumi e sapori che sanno d’infanzia e famiglia, trovare la complicità nei piccoli gesti quotidiani. A Il Caffè delle mamme il libro di riferimento è Casalinghitudine (ed. Giunti, 1987) dove la scrittrice Clara Sereni collega ogni ricetta a un momento particolare della vita. Gli gnocchi al semolino le ricordano zia Ermelinda, detta Mela per le guance tese e fresche malgrado gli anni; la pasta e fagioli è la complicità con l’amico del cuore Enrico; la minestra dei Sette grani la riporta con il pensiero a nonno Lello, pizzetto bianco e portamento signorile che insisteva perché i bambini mangiassero minestre di legumi e cereali; la zuppa di piselli inondata di lacrime segna la rottura con il padre; le pizze sono il piatto per eccellenza delle nottate in attesa dei risultati delle elezioni politiche. Sono i ricordi incancellabili che fanno del cibo un vero e proprio linguaggio extra-verbale, capace di creare legami e di imprimere gli affetti. Una forma di comunicazione che diventa il modo per permettere ai bambini una volta adulti di non tagliare mai via del tutto le loro radici.
Due. La sana alimentazione passa dalla conoscenza degli alimenti. È il motivo per cui sul frigorifero di casa è appesa una ruota di carta con i 12 mesi dell’anno: per ciascuno sono indicate frutta e verdura di stagione. Michael Pollan, 65 anni, insegnante di giornalismo a Berkeley, editorialista del «NewYork Times», una delle voci più ascoltate nel dibattito globale sull’alimentazione, racconta: «A un certo punto, nella seconda metà della mia vita, ho fatto una scoperta felice benché inaspettata: parecchi degli interrogativi che più mi assorbivano (tipo: cosa posso fare per migliorare la salute della mia famiglia? Come posso comunicare con mio figlio adolescente?) avevano in effetti una risposta sola, sempre la stessa. Cucinare. Così io invoco un ritorno di tutti, in cucina. Anche dei bambini. Negli anni 60-70 le femministe misero al bando la cucina. E nel dibattito si sono inserite le multinazionali proponendoci campagne tipo: un pollo fritto gigante (già pronto) e la scritta: “Liberazione delle donne”. Messaggio: fate cucinare noi. Così poi tutti si sono abituati al cibo pronto e a portare i bambini al fast food».
Tre. Cucinare con i bambini li fa sentire importanti e allo stesso tempo ha un effetto calmante. Il gioco si unisce alla didattica. Possono prendere dimestichezza con i numeri sulla bilancia, ma anche divertirsi a misurare le dosi semplicemente con il bicchiere. Come nella ricetta «Il ciambellone al bicchiere della nonna» (3 bicchieri di farina 00, 2 di zucchero, uno di latte, uno di olio di semi, 3 uova, una bustina di lievito e, per decorarlo una volta cotto, zucchero a velo). I bimbi possono imparare concentrazione e precisione: e, affondando le dita nell’impasto per fare i buchi della focaccia, perfino rilassarsi.
Quattro. Il quarto motivo lo sintetizziamo con una frase del film Julie & Julia di Nora Ephron. «“Lo sai perché mi piace cucinare?” “No, perché?” “Perché dopo una giornata in cui niente è sicuro, e quando dico niente voglio dire n-i-e-n-t-e, una torna a casa e sa con certezza che aggiungendo al cioccolato rossi d’uovo, zucchero e latte l’impasto si addensa: è un tale conforto!”». Possiamo, dunque, regalare ai nostri bambini uno scacciapensieri da portarsi nella vita adulta.
Cinque. La cucina è un luogo di libertà, sperimentazione, errori. Senza ansia da prestazione. I nostri figli possono capire fin da piccoli, parafrasando la Sereni, che vivere è un gran (bel) pasticcio.
A Il Caffè delle mamme siamo convinte, insomma, che non bisogna mettere i bimbi ai fornelli, ma piuttosto farli entrare in cucina con noi e condividere una serie di piccole attività madre/figlio. Ma anche padre/figlio. Possono anche semplicemente guardarci mentre con il mortaio pestiamo il basilico per fare il pesto e scoprire tutti i suoi ingredienti. In casa nostra, la richiesta dei bambini quando stanno giocando in altre stanze è: «Per favore, lasciate aperta la porta della cucina». Anche questo è un modo per sentirsi vicini. Così l’odore di soffritto per il ragù invade la sala. E chissà magari anche il cuore.