«Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione», diceva a metà degli anni Settanta Philippe Noiret, alias Giorgio Perozzi, nella mitica commedia di Monicelli Amici miei. Sarà, ma chi cerca di capire in modo più scientifico che cos’è davvero la genialità deve strutturare meglio le sue definizioni. Ci ha provato anche Massimo Polidoro nel volume apparso pochi mesi fa Geniale. 13 lezioni che ho ricevuto da un mago leggendario sull’arte di vivere e pensare, Feltrinelli editore. Lo abbiamo intervistato.
Questo libro parte da quel «geniaccio» di James Randi. Chi è James Randi?
James Randi è stato un personaggio importante del XX secolo soprattutto per ciò che riguarda l’indagine con approccio scientifico di fenomeni ai confini della realtà. Ha preso il testimone dall’illusionista Houdini che all’inizio del Novecento si era impegnato in una battaglia contro i ciarlatani dello spiritismo. Essendo lui un creatore di illusioni e di magie, si era accorto che riusciva ad individuare i trucchi di questi personaggi in maniera molto più efficace rispetto a chi si occupava di scienza, fossero fisici, chimici, biologi e addirittura premi Nobel. Perché quello era il suo mestiere: creare illusioni, sapere come funzionano, sapere come indurre le persone a credere in qualcosa di non vero. Aveva quest’arma in più.
E Randi?
Anch’esso prestigiatore e illusionista in tutto il mondo, negli anni Cinquanta Randi inizia a interessarsi alle affermazioni straordinarie sul mondo del paranormale: gente che diceva di leggere il pensiero, muovere oggetti, prevedere il futuro, eccetera. E come Houdini vedeva attraverso il fumo e si accorgeva che molti personaggi utilizzavano dei trucchi che egli stesso usava come prestigiatore sul palcoscenico. Grazie anche alla sua passione in ambito scientifico, diventa un punto di riferimento per la comunità scientifica internazionale per tutto ciò che riguarda affermazioni ai confini della realtà.
Come nasce il libro?
Ho avuto la fortuna di diventare suo allievo e di affiancare una personalità così straordinaria e davvero geniale nel lavoro quotidiano e di imparare il suo metodo. Tutto questo grazie a una borsa di studio che mi ha dato Piero Angela. Con questo libro ho voluto recuperare una serie di ragionamenti e di principi che sono diventati il fondamento della mia vita e presentano un omaggio al mio maestro James Randi a poco tempo dalla sua scomparsa (Randi è morto alla fine del 2020).
Perché tredici lezioni?
Perché il tredici ha fama di essere un numero magico e tredici sono le carte da gioco di un seme qualunque, dall’uno al dieci e poi le tre figure. Un omaggio al gioco delle carte, cioè al mondo della magia da dove venivano Houdini e Randi. E infatti, all’inizio di ogni capitolo c’è una carta da gioco a partire dal Jolly che ha il volto di Randi.
Randi aveva promesso un milione di dollari a chi riusciva a riprodurre un fenomeno paranormale in situazione di controllo scientifico, giusto?
Era un’idea ereditata da Houdini che negli anni Venti del ’900 aveva messo in palio 10 mila dollari per chiunque ci riuscisse. Randi aveva fatto lo stesso negli anni Sessanta. Partito dai 10 mila dollari di tasca sua era salito a 100 mila negli anni Ottanta e negli anni successivi si era saliti al milione.
Ma nessuno ha mai vinto il premio.
Infatti. Si sono presentate centinaia di persone in tutto il mondo. In Italia eravamo noi del CICAP (Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze) a condurre i test preliminari. Già a quel livello si capiva che c’era qualcosa che non andava. Un’interpretazione sbagliata di quello che accadeva, che le persone si illudevano, o in qualche raro caso cercavano di alterare la realtà con dei sotterfugi.
Per esempio?
Ad esempio i rabdomanti, che asserivano di poter trovare l’acqua grazie alle bacchette e poi però non riuscivano a trovare neanche una bottiglia d’acqua che veniva nascosta all’interno di una scatola: di fatto non trovavano in quale scatola fosse. Oppure c’è un caso che ho indagato insieme a Randi di quella signora che asseriva di poter vedere l’aura delle persone. (L’aura, in ambito paranormale, è l’alone luminoso invisibile alla normale percezione, che circonderebbe e animerebbe tutti gli esseri viventi come una sorta di bozzolo o alone, capace di riflettere l’anima dell’individuo cui tale aura appartiene, ndr).
Cos’è successo?
Lei diceva di poter vedere questo alone delle persone e in base ad esso descrivere il loro stato di salute o la loro personalità. Secondo lei l’aura si estende per dieci-quindici centimetri sopra la testa delle persone, così noi abbiamo allestito dei box, dei paraventi, che coprivano il corpo delle persone nella loro altezza e poi le abbiamo chiesto di descrivere queste auree. Abbiamo montato dieci box, dentro c’erano dieci persone e la signora ha visto la loro aura. Poi abbiamo tirato delle monetine per decidere dove mettere solo tre persone: tre box erano occupati da persone, gli altri erano vuoti. Beh, la signora ha visto l’aura estendersi sopra tutti i box… Quindi la persona credeva di vedere qualcosa, una questione percettiva. Un autoinganno.
Tra i tanti fenomeni «strani» che sono stati studiati, ce ne saranno alcuni che rimangono inspiegati…
Sì. Ma la parola chiave è «inspiegati», non – come si dice sempre – «inspiegabili». Ci sono diverse cose che restano senza una spiegazione, per molte ragioni. Non perché la scienza non ci aiuta a capire il fenomeno, ma perché non abbiamo tutti gli elementi per trarre delle conclusioni, non è possibile condurre una verifica. Per esempio, sul famoso sangue di San Gennaro, come CICAP abbiamo ipotizzato, col laboratorio di chimica dell’Università di Pavia, che si tratta di una sostanza tissotropica, cioè di una sostanza che si poteva realizzare nel Medioevo con sostanze solide che si trovano in natura, che però con degli scossoni diventano liquide, e con altri scossoni diventa di nuovo solida, eccetera, a seconda di come manovri le ampolle. Lo abbiamo scritto su «Nature» e la notizia è stata ripresa in tutto il mondo. Siccome non ci è dato il permesso di verificare che cosa contiene quell’ampolla, restiamo al grado delle ipotesi.
Spesso si sente dire che noi utilizziamo soltanto il 10 per cento del cervello e che se lo sapessimo utilizzare tutto potremmo fare cose pazzesche, come ad esempio spostare oggetti col pensiero…
Qui c’è un’idea che nasce da un fraintendimento. I primi a usare questa espressione negli anni Venti, la intendevano in modo diverso: se ci mettiamo a studiare più a fondo, se usiamo più tenacia in ciò che ci appassiona potremo ottenere risultati nettamente migliori. Col tempo, questa espressione è stata trasformata dalla letteratura pop e paranormale: abbiamo un 90% di cervello che non conosciamo e che nasconde chissà quali poteri.
E non è così?
No. Basta chiedere a un neurologo cosa ne pensa. Se noi avessimo anche solamente un 5% di cervello di cui ignoriamo il funzionamento e non usiamo vorrebbe dire che c’è una lesione grave nel cervello e anche un 1% di lesione significa non poter vivere in maniera completa. Non ci sono parti sconosciute del cervello. Certo, un impiego più razionale dei modi in cui sfruttiamo le nostre capacità di ragionamento aiuta. Ma un premio Nobel intelligentissimo non riesce a sollevare i tavoli col cervello.
Il titolo del libro è Geniale. Lei propone un percorso quasi filosofico in cui sembra che la genialità sia il risultato di un cammino fatto seguendo determinate regole del «ben pensare». Significa che la genialità non è innata?
Qui c’è un discorso che va avanti da decenni e coinvolge chi studia che cos’è il genio, come funziona e come nasce. Indubbiamente c’è un aspetto genetico che aiuta. Ma poi tantissimo conta l’ambiente in cui cresciamo, gli stimoli che riceviamo, le occasioni che abbiamo di metterci alla prova. Se c’è una predisposizione, tutto questo non può che darci la possibilità che si manifesti. Se invece c’è la predisposizione ma l’ambiente ci impedisce di manifestarla allora è possibile che la genialità non riesca a manifestarsi. In ogni caso, tutti i personaggi che noi consideriamo geni, da Leonardo a Mozart, hanno in comune il fatto di aver dedicato migliaia di ore alla loro formazione. Un recente saggio calcola che ci siano diecimila ore di attività, prima di iniziare a mostrare qualcosa di geniale, che usciva dalle capacità tradizionali. Mozart inizia da bambino piccolissimo a comporre cose che sono già state sentite e banali, ma dopo anni di quotidiano impegno cominciano a uscire cose geniali.