L’applicazione è stata sviluppata dai Politecnici di Zurigo e Losanna (Keystone)

Tracciabili per contenere il contagio

Pandemia – Il Parlamento federale frena l’introduzione su larga scala dell’applicazione per il tracciamento dei contatti. Vuole una base legale. In attesa della legge, il Consiglio federale intende testare l’app
/ 11.05.2020
di Luca Beti

È difficile immaginarsi una vita senza smartphone. Era un nostro prezioso compagno prima della pandemia provocata dal nuovo coronavirus e lo è stato durante il confinamento, quando ci ha permesso di evadere per incontrare, almeno virtualmente, amici e parenti. E ora, con l’inizio della seconda fase che prevede la riapertura di scuole, negozi, ristoranti e mercati, il cellulare potrebbe aiutarci a uscire dal lockdown, dal blocco delle attività, e a ritornare alla vita di prima. Ma per tornare alla normalità bisogna riuscire a contenere la diffusione del virus. Stando agli esperti, un vaccino non sarà infatti disponibile prima di 15-18 mesi.

Da una parte le autorità continuano a puntare sulle regole del distanziamento sociale e d’igiene e sui test generalizzati, dall’altra vogliono ricostruire in modo capillare le catene di trasmissione per individuare il prima possibile le persone infette. Per farlo si affidano al tracciamento dei contatti mirato, già impiegato dai cantoni all’inizio dell’epidemia quando le nuove infezioni erano inferiori ai 100 casi al giorno in Svizzera. L’obiettivo è di rintracciare e mettere in quarantena le persone entrate in contatto stretto, ossia a una distanza inferiore ai 2 metri e per più di 15 minuti, con chi è risultato positivo al test. Inoltre, il Consiglio federale vuole mettere a disposizione della popolazione un’applicazione digitale per il tracciamento di prossimità. Si tratta di un’app per smartphone sviluppata dai Politecnici federali di Zurigo (ETH) e Losanna (EPFL) in collaborazione con la Confederazione e la COVID-19 Science Task Force. L’obiettivo rimane lo stesso: individuare e interrompere le catene di infezione, ma in maniera più semplice, veloce e a buon mercato.

Il parlamento ha deciso però che l’introduzione di una simile applicazione potrà avvenire soltanto dopo aver creato le basi legali necessarie. Durante la sessione straordinaria tenuta la settimana scorsa, il Consiglio degli Stati prima, quello nazionale poi hanno approvato la mozione delle rispettive Commissioni delle istituzioni politiche che chiede al governo di proporre una legge specifica al vaglio del parlamento. Le perplessità di senatori e deputati riguardano soprattutto la protezione dei dati e l’impiego su base volontaria del sistema di tracciamento digitale.

Questa decisione significa la fine dell’applicazione? No. Il Consiglio federale è chiamato ora a presentare una legge federale urgente affinché il legislativo la possa discutere durante la sessione ordinaria di giugno. L’impiego su ampia scala dell’app potrà quindi essere lanciato soltanto in estate. In attesa della legge, da mercoledì 13 maggio il governo intende testare l’applicazione per alcune settimane su un campione di popolazione. Ciò permetterà agli sviluppatori di mettere alla prova l’app in vista di un impiego generalizzato.

L’app PT, questo l’acronimo dei termini inglesi «proximity tracing», si basa sulla tecnologia bluetooth. Dopo averla scaricata sul nostro smartphone, l’applicazione registra i «contatti» a una distanza inferiore a due metri e che sono durati più di 15 minuti tra due cellulari. Nella vita quotidiana, per noi non cambia nulla. Dobbiamo semplicemente continuare a portarci il telefonino quando andiamo a fare la spesa o al ristorante. Se rimaniamo vicini a una persona con l’app attivata per più di un quarto d’ora, situazione che potrebbe portare a un contagio, gli smartphone si scambiano il rispettivo numero di identificazione, ossia dei dati crittografati e protetti. Queste informazioni vengono salvate sul cellulare in modo decentralizzato e anonimo. Se una persona è risultata positiva al test, riceve dal medico curante o dal centro cantonale per il tracciamento dei contatti l’autorizzazione di notificare l’infezione in forma anonima tramite un codice apposito. Ciò permette all’applicazione di informare tutte le persone che sono entrate in contatto con la persona infetta nel periodo di contagiosità, invitandole a sottoporsi a un test e a mettersi in auto-quarantena.

Va ricordato che il successo di un’applicazione di tracciamento dipende dal grado di diffusione tra la popolazione. I ricercatori dell’Università di Oxford hanno calcolato che l’app può essere un fattore determinante per contenere la propagazione del nuovo Coronavirus e favorire l’allentamento dei provvedimenti, ma solo se circa il 60 per cento della popolazione la installa sul proprio smartphone. Stando a un sondaggio condotto dall’Università di Zurigo a metà aprile su un campione di popolazione rappresentativo, il 72 per cento degli svizzeri ha dichiarato di essere disposto a installare una tale app se dovesse contribuire a rallentare la diffusione del virus e ad accorciare la durata del lockdown. Dopo settimane di confinamento, il desiderio di ritornare alla normalità e la paura di una «seconda ondata epidemica» sono giudicati dalla maggioranza degli svizzeri più importanti della salvaguardia della propria privacy.

Invece, per il parlamento, l’incaricato federale della protezione dei dati e della trasparenza e la Commissione nazionale d’etica vanno chiarite prima alcune criticità, ad esempio l’impiego su base volontaria e la protezione dei dati. «Il proprietario di un ristorante potrebbe chiedere a un cliente di installare l’app per accedere al suo locale», ha indicato Balthasar Glättli, portavoce della Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio nazionale durante il dibattito parlamentare. Il Consiglio federale è quindi chiamato ad elaborare una legge che impedisca qualsiasi svantaggio per chi non installa o non utilizza l’applicazione di tracciamento. Inoltre, il suo impiego deve avvenire senza pressioni esterne.

La protezione della privacy e degli abusi è un altro elemento centrale della questione. All’inizio di aprile, oltre 130 ricercatori, esperti di protezione dei dati e sviluppatori di programmi informatici di otto Stati europei si sono uniti per creare un software che permettesse ai singoli Paesi di ideare applicazioni di tracciabilità digitale compatibili tra di loro. Tra le forze trainanti del progetto paneuropeo «Pan-European Privacy-Preserving Proximity Tracing» (PEPP-PT) c’era l’epidemiologo Marcel Salathé del Politecnico federale di Losanna. A metà aprile questa collaborazione è finita però a porte sbattute. La Svizzera ha abbandonato il consorzio poiché quest’ultimo puntava su una registrazione centralizzata dei dati. Stando ai critici, questo metodo permette di risalire più facilmente ai dati personali di una persona infetta ed è meno sicuro rispetto al sistema decentrale di registrazione delle informazioni, sistema scelto dai Politecnici federali di Losanna e Zurigo e dalla maggior parte dei Paesi, tra cui anche da Germania e Italia. Rimane solamente il rammarico che per il momento i ricercatori non sono riusciti a sviluppare a livello europeo un’applicazione che permetta il tracciamento dei contatti a livello internazionale. Una caratteristica fondamentale per le regioni di confine in Svizzera, come il Ticino, cantone che più di altri ha sofferto a causa dalla pandemia causata dal nuovo Coronavirus.