Tra massi e piode rispunta il vigneto

Poco sopra il paese di Maggia, adagiato su una roccia, il Vigneto della Pioda è tornato a splendere e produrre uva dal sapore particolare
/ 06.03.2017
di Elia Stampanoni

Dal suo poggio poco sopra il paese di Maggia domina la valle, ma percorrendo il fondovalle quasi non lo si nota. E poi, chi penserebbe che lassù, tra rocce e piode, si potesse coltivare l’uva? Eppure il Vigneto della Pioda esiste ed è lì da molti anni, si presume sin dall’inizio del XX secolo, anche se poi cadde nell’oblio.

Si tratta di oltre duemila metri quadri di superficie vignata, arricchita da quasi trecento sostegni in sasso (i «carasc»), da pergole in legno, da muri a secco e da una recinzione in pali di castagno, a sicurezza dell’appezzamento e di chi lì ci lavora. Le varietà coltivate, per un totale di quasi 600 «gambe», sono il Souvigner gris, una varietà tra il rosa e il viola particolarmente resistente e frutto di un incrocio tra Bronner e Cabernet Sauvignon, così come qualche esemplare di Isabella, la classica delle uve americane. Piante che sono state reinserite durante i lavori di ripristino tra il 2012 e il 2013, grazie al recupero effettuato sotto il coordinamento dell’APAV, Associazione per la protezione del patrimonio artistico e architettonico di Valmaggia.

Gli interventi hanno richiesto un investimento di 180mila franchi, costi coperti dai contributi del Fondo svizzero per il Paesaggio, della Sezione forestale, della piattaforma paesaggio Cantone Ticino e dei proprietari del fondo, ossia Robin Garzoli e Comune di Maggia. Oltre al taglio degli alberi cresciuti a dismisura e l’estirpazione delle ceppaie, sono stati rifatti i muri di terrazzamento e posati vari «carasc» a sostegno delle viti, così come la paleria in castagno per le imponenti pergole oppure per la recinzione. Anche il pergolato lungo il sentiero d’accesso di fronte alla cappella è tornato in vita, con le piante di vigna a formare un passaggio suggestivo.

Il progetto ha permesso di ripristinare un vigneto tradizionale, completamente abbandonato e posto in una posizione veramente particolare, ma nel contempo pure di valorizzare diversi monumenti storici presenti nelle immediate vicinanze. Si tratta delle scalinate di accesso da Maggia, costruite con imponenti lastroni di sasso, della cappella della Pioda e del suggestivo ponte che permette di superare le gole della Valle del Salto, in prossimità del vigneto. La visita può rientrare in una bella gita a questa valle, un circuito che porta gli escursionisti dai 340 metri di Maggia su in alto, ai quasi mille metri dei primi maggenghi e monti che s’incontrano salendo.

Il Vigneto della Pioda svetta invece a 476 metri di altitudine ed è attualmente gestito da Robin Garzoli: «Si trova in una zona di difficile accesso, ma beneficia di un clima favorevole, ben ventilato, tanto che non dobbiamo effettuare alcun tipo di trattamento», racconta il viticoltore valmaggese. Alle difficoltà d’accesso (bisogna calcolare almeno una decina di minuti di cammino sul ripido sentiero che parte dal paese di Maggia) si contrappongono quindi le opportunità per produrre un vino esente da trattamenti fitosanitari, che Robin Garzoli vorrebbe in futuro vinificare separatamente creando una nuova etichetta: «Sì, il 2016 è stato il primo anno di vendemmia e abbiamo potuto raccogliere circa un quintale d’uva; per il futuro prevediamo una produzione di circa 5-6 quintali che ci permetterà d’ottenere circa 500 bottiglie».

Il suo lavoro, oltre a garantire la produzione di un’uva e di un vino dal sapore particolare, viste le condizioni e la storia dell’appezzamento, permette anche di mantenere vivo questo luogo e di ridare visibilità alla cappella, un monumento d’importanza cantonale con affreschi del XV secolo nella nicchia (attribuiti alla Bottega dei Seregnesi).

Il vigneto, in dialetto locale «Al ronch dala Pioda», costituisce una straordinaria testimonianza della civiltà contadina, capace di trovare anche in un luogo apparentemente così discosto il terreno adatto alla coltivazione della vite e quindi al proprio sostentamento. Il progetto ha permesso pure la valorizzazione paesaggistica e culturale della zona, validamente sostenuta da un’azienda agricola della Valmaggia che, oltre a contribuire a creare il progetto, si occupa ora della gestione del vigneto e del mantenimento delle strutture tradizionali. Negli interventi di recupero è stato importante il coinvolgimento della popolazione di Maggia e delle vicine frazioni, scesa in campo con diverse ore di volontariato a sostegno dell’impegno preso da Robin Garzoli.