Elisa Volonterio, anima dei progetti

Tra frequenze e frequentazioni

Incontri - A colloquio con Elisa Volonterio, ideatrice dell’originale progetto socio-culturale Frequenze,che si avvale anche del sostegno di Migros Ticino
/ 12.09.2022
di Simona Sala

Scendendo da nord, Chiasso, geograficamente, è l’ultimo paese della Svizzera ed è considerato quasi solo un luogo di transito. Ma non è sempre stato così: la cittadina di confine ha infatti al suo attivo anni di fermento, di scambi e commerci, di grande vivacità sociale e culturale, anche se oggi, al cospetto dei numerosi negozi e appartamenti sfitti (la percentuale dello sfitto nel Mendrisiotto è il doppio di quella ticinese e il quadruplo di quella elvetica) non sembrerebbe. È dunque quasi ovvio che le conseguenze di un tale stallo socio-economico si riverberino sulle fasce più vulnerabili della società come i giovani senza lavoro o gli stranieri.

Elisa Volonterio però ha deciso di non limitarsi a osservare quanto accadeva intorno a lei, ed è riuscita, con tenacia, creatività e originalità, a dare vita a una serie di progetti che con il tempo sono diventati imperdibile opportunità di crescita personale e sociale. Come recita il sito dedicato, «Frequenze è un’associazione che si occupa di promovimento economico e culturale a inclusione sociale, sostenuto in collaborazione con il Dipartimento della sanità e della socialità. Frequenze riqualifica il territorio attraverso operazioni culturali specifiche e servizi alla popolazione che considerano le particolarità del tessuto sociale ed economico della città e/o dei quartieri», ma per comprendere più a fondo competenze e traguardi, abbiamo incontrato Elisa Volonterio.

Come è nato il progetto Frequenze?
Frequenze è nato con la mia tesi di master: ho studiato management culturale alla SUPSI e mi sono occupata anche di cultura e salute. Lavorando a Chiasso mi ero resa conto dell’alto numero di persone che beneficiavano dell’assistenza sociale, degli spazi e dei commerci abbandonati, e quindi la prima idea è stata quella di inserire la cultura negli spazi sfitti al fine di offrire alle persone in assistenza uno spazio in cui ri-allenarsi al lavoro. Questo succedeva sei anni or sono, nel frattempo il Comune di Chiasso ci ha chiesto di occuparci anche di alcuni servizi che non riusciva a coprire; cercava per esempio un luogo coperto in cui gli studenti della scuola di commercio potessero pranzare. Ci siamo dunque attivati chiedendo ai proprietari degli spazi sfitti. Il Comune ci ha anche affidato il servizio della gestione degli orti comunali: abbiamo avviato una ristrutturazione cercando di riattivare socialmente delle persone che potevano avere interesse a questo tipo di attività. È poi iniziata una collaborazione con l’Ufficio di sostegno sociale e di reinserimento del DSS, con il Soccorso Operaio Svizzero, e da un anno lavoriamo anche con l’AI.

Quali altri progetti avete avviato?
Abbiamo delle piccole squadre che si muovono sul territorio. Abbiamo aperto una boutique di abiti di seconda mano in Via Vela 4, Repost, e un laboratorio, Frequenze Lab, in cui il Comune di Chiasso offre dei corsi di italiano ad esempio agli ucraini. Da qualche tempo siamo operativi anche nel Luganese con una lavanderia di quartiere (che impiega sei persone), La Pettegola di Via Adamini. I residenti del quartiere ci portano le loro cose da lavare e da stirare e, se lo desiderano, possono fermarsi per un caffè. L’intento è quello di creare un piccolo luogo aggregativo di quartiere. Qui a Chiasso facciamo molte attività con un gruppo di ragazzi tra i 18 e i 25 anni riunendoci in Corso San Gottardo 90, dove abbiamo uno spazio cucina e, grazie all’aiuto di Rosario, un cuoco a beneficio dell’AI, tre volte alla settimana prepariamo un pranzo.

Qual è l’utilità di questa attività?
Decidiamo cosa cucinare tenendo d’occhio il budget (e in questo Migros ci dà una mano) e l’alimentazione stessa, poiché purtroppo molti giovani, soprattutto se vivono da soli, mangiano quello che trovano oppure si affidano a costosi servizi di delivery. L’idea invece è di mangiare ciò che ci offre Migros, imparando a farcelo bastare, ma imparando anche a preparare una tavola, riordinare e pulire, e a gestire le scadenze dei prodotti.

E le idee come nascono?
A volte le idee vengono a me o agli utenti, altre volte si tratta di progetti già attivi in altre parti del mondo e che penso possano funzionare anche qui da noi.

Prima accennava a Migros: com’è entrata in questi progetti?
Da molti anni collaboro con Luca Corti (responsabile Comunicazione e cultura di Migros Ticino, ndr), che fino alla pandemia ci sosteneva economicamente con una piccola somma. Dopodiché questo contributo è stato sostituito con un supporto materiale. Abbiamo cominciato con la richiesta di un vecchio frigorifero per i nostri spazi: questo ci ha permesso di avere delle bibite fresche per le attività. Io però ci tenevo molto a insegnare ai ragazzi a mangiare bene, e Corso San Gottardo 90 è a due passi da Migros Boffalora, il nostro supermercato di fiducia. Abbiamo dunque ricevuto dal gerente Gazmend Sejdiu la proposta di passare in negozio tutte le sere alle 18.50 per ritirare l’invenduto che non può essere consegnato al Tavolino Magico, poiché di scadenza troppo prossima. Un’occasione fantastica per noi, che ci permette di cucinare quindici pasti tre volte alla settimana e di consumarli tutti insieme. A volte ci capita qualche prodotto svizzero tedesco, soprattutto di carne, che non conosciamo e in quel caso consultiamo le ricette e impariamo qualcosa di nuovo.

Il problema dei giovani che usufruiscono dell’assistenza è più accentuato a Chiasso che non altrove?
Non so se la situazione sia peggiore che altrove, ma so che ve n’è un numero sempre più elevato e che si fa molta fatica ad «agganciarli». Al momento, con gli addetti alla comunicazione sto studiando dei post per attirare i giovani attraverso Instagram. Spesso si tratta di figli di persone a loro volta in assistenza.

Le famiglie che ruolo hanno?
Le famiglie sono cambiate molto: se un tempo, quando le donne hanno ricominciato a lavorare, preparavano il pasto e lo lasciavano nel microonde per i figli, oggi molti genitori non cucinano più, e ognuno mangia quando e cosa vuole. Sono scomparsi molti di quei rituali che a mio avviso costituiscono una famiglia. Come Frequenze incontriamo sia genitori che durante i colloqui parlano al posto dei figli, sia genitori che quando i figli compiono 18 anni li buttano fuori di casa. Spesso ci viene detto che dovremmo essere solo datori di lavoro, ma non è possibile fare bene questo lavoro limitandosi agli aspetti professionali. Per me questi ragazzi non sono un numero, ma sono i miei ragazzi, i miei utenti. Sono storie umane.

Secondo lei il disagio sociale è generalmente aumentato?
Sì, decisamente. La maggior parte dei giovani in assistenza oggi soffre di disagi di natura psichiatrica. A questo proposito mi riallaccio a quanto appena detto: laddove la presenza di una famiglia è più forte, il rischio di un malessere psichiatrico cronico è a mio avviso più contenuto. Nel frattempo c’è stata anche la pandemia, e i giovani si sentono spesso inadeguati e non amati. Fanno fatica a essere accettati, soprattutto le ragazze per quanto riguarda il loro corpo. Molti giovani presentano segni di autolesionismo. Quando propongo loro delle attività penso spesso a come è stata la mia gioventù: anche se non credo di essere un esempio, so di avere avuto la fortuna di incontrare dei valori importanti nella prima fase della mia vita, e sono essi che mi hanno permesso di essere e diventare quella che sono oggi. Io penso sempre ai miei ragazzi, e il mio cruccio più grande è quello di proporgli qualcosa che gli faccia fare un’esperienza, che gli accenda una lucina, che faccia loro bene, magari permettendogli di individuare la propria strada. Vi sono molti ragazzi che non hanno avuto né stimoli né esempi, e in questo periodo stiamo salutando chi inizierà un apprendistato, magari già a 25 e 26 anni, ma con una fortissima motivazione. L’altro giorno un ragazzo mi ha ringraziato per il mio esempio… ecco, in quel momento ho sentito che avevo raggiunto il mio scopo.

In generale i riscontri sono buoni?
Ne ricevo di buoni, ma anche di pessimi: a volte i litigi con i ragazzi raggiungono l’intensità tipica dei litigi famigliari. Spesso i giovani non capiscono perché devono venire a camminare in montagna o perché li sprono a fare kajak a due. Se ad esempio organizziamo una gita a Milano, so già che la sera prima qualcuno mi chiamerà dicendo che non riesce a prendere il treno o a stare in mezzo alla gente. A quel punto gli educatori devono trovare la miglior strategia individuale per attraversare le paure. La paura di stare in mezzo alla gente sul treno o in stazione è la stessa paura che ad esempio si prova in sala pausa al lavoro, e il nostro obiettivo finale è di permettere a tutti di riuscire a stare nel mondo del lavoro serenamente.