«Ticino, terra di ciclisti» era lo slogan dei Campionati Mondiali del 2009 a Mendrisio; un prestito dal mondo della cultura. L’originale Ticino, terra d’artisti fu una felice intuizione del grafico Orio Galli, sul manifesto campeggiava la casa rotonda di Mario Botta sovrapposta con discrezione a un affresco medievale. Il Ticino, ancora oggi, è indiscutibilmente una Terra d’artisti. Lo è per il patrimonio secolare che si è tramandato nel tempo. Lo è per il fermento che anima chi, ancora oggi, s’incammina sulla via della creatività.
Terra di ciclisti, purtroppo, non lo è più, nonostante la pandemia abbia notevolmente contribuito a incrementare la vendita di biciclette. In verità, anche nel 2009 stava cessando di esserlo, se pensiamo al movimento di punta. Allora, in gruppo, avevamo due soli corridori professionisti: Rubens Bertogliati, e il ticinese di adozione Oliver Zaugg. Tutti gli altri erano oramai degli ex.
Da allora, nessun nostro ciclista è mai più approdato in una squadra del circuito World Tour. Ci sono, qua e là, delle sacche di resistenza, come ad esempio a Lugano e a Mendrisio, dove i rispettivi Velo Club hanno instaurato una piccola forma di collaborazione, per tentare di mantenere in sella i pochi giovani che abbracciano questa disciplina sportiva. Ai piedi del Monte Tamaro, una decina di anni fa, si sono invece convertiti alla Mountain Bike. Con successo. Il loro movimento è florido, e il loro atleta di punta, Filippo Colombo, fra i migliori al mondo, ha ricevuto pochi giorni fa il biglietto per i Giochi Olimpici di Tokio.
Come mai questo disamore nei confronti del ciclismo? Sarebbe forse più corretto parlare di atteggiamento bipolare: mi piace, lo seguo, ma non lo pratico. Credo ci siano due ragioni principali. Da un lato, allenarsi sulle nostre strade è diventato, se non impossibile, quanto meno molto difficile. Troppo traffico, troppi rischi, convivenza problematica con gli altri utenti, automobilisti, motociclisti, camionisti, pedoni. D’altro canto, la creazione di percorsi ciclabili protetti procede con una lentezza da far invidia al più placido dei bradipi.
Rispetto a molti altri cantoni siamo ancora al Medioevo. Bisogna riconoscere che il nostro territorio è angusto e che non sempre si trova il modo di ritagliare strisce di percorso in cui i ciclisti possano viaggiare in sicurezza. Tuttavia, a prescindere da queste difficoltà oggettive, va detto che la politica si sta muovendo a rilento, anche là dove sono stati stanziati crediti per la realizzazione di percorsi sicuri. La conseguenza di tutto ciò è che in Ticino si organizzano corse ciclistiche con il contagocce. Non è facile ottenere i permessi e individuare percorsi che non turbino eccessivamente il normale fluire del traffico.
È il gatto che si morde la coda. Non ci sono più corse poiché non ci sono più corridori, oppure il contrario? Entrambe le risposte non modificherebbero di una virgola l’assunto iniziale. Non siamo più una terra di ciclisti. Resiste tuttavia un baluardo, una sorta di irriducibile villaggio gallico, in cui Asterix e Obelix assumono le fattezze di Andrea Prati e di Elio Calcagni, rispettivamente Presidente e Presidente Onorario dell’Axion SWISS Bank Gran Premio Città di Lugano, andato in scena ieri con un «parterre» di tutto rispetto, fra campioni mondiali in carica, ex iridati, vincitori del Tour de Suisse e trionfatori di tappe nei tre Grandi Giri.
Viene da chiedere: «Chi ve lo fa fare?». Sento rimbalzare chiaramente la loro risposta: «La passione, l’amore per il ciclismo, l’auspicio che da questa corsa si possa ricavare qualche spicciolo per alimentare il lavoro che il nostro Club svolge con i giovani». Quest’anno non sarà così scontato. I due leader gallici hanno validi compagni di battaglia e generosi alleati, tuttavia Mister Covid ha intiepidito alcuni sostenitori. Inoltre, ha posto gli organizzatori di fronte a una serie di spese supplementari da inserire sotto la voce «sicurezza sanitaria».
Ciò nonostante, nel villaggio degli irriducibili, si guarda avanti, all’edizione del 2022, quando, con un anno di ritardo, verrà festeggiata la 75° edizione, con cinghiali allo spiedo in abbondanza e cervogia a fiumi. Dal Giubileo gli organizzatori si aspettano molto. Magari, di nuovo, un super vincitore, come in passato era accaduto con Sean Kelly e Paolo Bettini. Inoltre, si spera nella presenza dei migliori svizzeri (Hirschi, Küng, Mäder, Bissegger e Schmid), che ultimamente hanno riscoperto il gusto del successo.
Sì, perché, partendo dai modelli, da un autografo, un selfie, qualche giovane ticinese potrebbe trovare nuovi slanci e nuove motivazioni. Probabilmente non torneremo a essere una terra di ciclsiti. Ma tra i fasti di un tempo e il vuoto di oggi, una sana via di mezzo sarebbe più che gradita.