Vita, animo e cuore, ma anche pensiero e sentimento sono alcuni dei significati della radice greca di Thymio, il nome di un piccolo robot nato in Svizzera dieci anni fa e che da allora porta la robotica nelle scuole, dapprima nel canton Vaud da dove arriva colui che ne è il padre, Francesco Mondada, e poi oltre i confini nazionali. Oggi, Mondada è direttore del Center for Learning Sciences del Politecnico di Losanna, è uno dei massimi esperti nel campo della robotica educativa, e ha condiviso con noi alcuni pensieri su questi dieci anni di vita di Thymio: «All’inizio era un semplice processore con due motorini, qualche sensore e una batteria, che montati su qualsiasi oggetto lo trasformavano in un robot capace di “sentire” ostacoli e muoversi, era come se quei semplici moduli elettronici dessero vita agli oggetti, da qui il nome del primo Thymio». Negli anni, il piccolo robotsi è evoluto e il consenso intorno al progetto è cresciuto molto: oggi ci sono circa 80mila Thymio sparsi per il mondo, in scuole di ogni ordine e grado, e sono arrivati anche riconoscimenti come il Polytechnik-Preis, appena assegnato a Mondada dalla Stiftung Polytechnische Gesellschaft di Francoforte, con il patrocinio del ministero tedesco dell’educazione; un importante premio che va a chi si è distinto nel campo della didattica delle scienze e della tecnologia operando in paesi come Germania, Austria e Svizzera. Quel piccolo robot ne ha fatta di strada. L’interesse di Mondada per la piccola robotica mobile nasce ai tempi del dottorato, quando capisce le possibilità e l’importanza di portare la robotica fuori dall’Università, nella scuola, vicino alle persone, per non farsi trovare impreparati e analfabeti di fronte alla rapida trasformazione digitale in atto.
La solidità di un simile progetto sta nella cura di ogni suo aspetto. Una grande attenzione, per esempio, è stata data al design di Thymio, apertamente in contrasto con certi stereotipi di genere legati al mondo dei robot. «Il nostro scopo è quello di educare – dice Mondada – non di rinforzare stereotipi; c’è stato un grande sforzo affinché Thymio avesse un aspetto neutro dal punto di vista del genere maschile o femminile e potesse andar bene per ogni età. E poi abbiamo voluto rendere visibile l’attività del robot: di solito, non è possibile percepire il funzionamento dei sensori perché non possiamo vedere nell’infrarosso o sentire ultrasuoni, e questo nasconde le funzionalità del robot, così abbiamo abbinato a ogni sensore una lucina che permette di capire quando il sensore si attiva, cioè quando il robot percepisce qualcosa». Sono tanti gli elementi che rendono innovativo e unico questo progetto, a cui hanno collaborato numerose istituzioni, dalla Scuola cantonale d’arte di Losanna al Politecnico di Zurigo, oltre a università francesi e italiane. Innovativo è, per esempio, il fatto che sia un progetto completamente open source, aperto non solo dal punto di vista del software, ma anche della meccanica, dell’elettronica e delle attività didattiche. «Si è come creato un ecosistema – spiega Mondada – con l’associazione no profit Mobsya che produce il robot e istituti universitari e non che si sono messi a creare parti di software o contenuti pedagogici. Sono stati pubblicati libri, corsi online, percorsi pedagogici in più lingue, formazioni per insegnanti e studi scientifici che ci hanno permesso di capire come la robotica e il pensiero computazionale, cioè la capacità di risolvere problemi utilizzando agenti digitali, possono entrare nelle scuole e con quali vantaggi per gli allievi. Addirittura, la Scuola d’arti e mestieri di Losanna ha inserito nella sua formazione una linea di produzione di Thymio per mostrare ai giovani come si fa un prodotto; e così oggi possiamo dire di aver portato in Svizzera, nel campo dell’educazione, ogni aspetto legato a Thymio, dall’ideazione alla produzione, dall’utilizzo alla riparazione».
Anche nella Svizzera italiana, grazie al lavoro di alcune associazioni e del Laboratorio media e MINT del Dipartimento formazione e apprendimento della SUPSI, che da anni collabora con il prof. Mondada, la robotica educativa sta entrando nelle scuole. I benefici sono tanti, e vanno ben oltre quello che si può immaginare: «Il robot è un oggetto digitale controllato da un computer, è un’interfaccia tra il mondo fisico e il mondo digitale, che permette ai bambini di risolvere problemi, sviluppando creatività, collaborazione, astrazione, tutti elementi del pensiero computazionale. Molti concetti del mondo digitale possono essere capiti a partire da giochi per i quali non serve avere uno schermo davanti, e Thymio permette di introdurre il digitale in un modo tangibile, fisico, creando ponti con il curriculum scolastico. Abbiamo cercato di portare agli insegnanti un digitale che non fosse troppo invadente, che fosse utile e permettesse di sviluppare il pensiero critico dei bambini». È evidente come la robotica educativa non serva solo a capire la tecnologia, ma ad affrontare gli impatti sociali della trasformazione digitale che stiamo vivendo: «Molti parlano del futuro, io parlo del presente. Ancora non abbiamo a che fare con robot umanoidi che sostituiscono l’uomo, però la robotica e l’intelligenza artificiale sono già entrate nelle nostre case, e spesso abbiamo idee e paure sbagliate. La società si sta trasformando e l’essere umano deve trovare il suo posto rispetto a queste tecnologie; per far questo serve una presa di coscienza. Con la robotica educativa cerchiamo d’introdurre tutto ciò anche nell’educazione dei bambini».
A proposito della comprensione degli impatti sociali di queste tecnologie e di certi tranelli e derive in cui possiamo incorrere, Mondada ci tiene a sottolineare un aspetto: «dobbiamo pensare al robot come a un attrezzo che non ha sentimenti o emozioni, il robot non è intelligente, segue un programma che guida il suo comportamento; questa distinzione deve far parte dell’educazione di tutti, a partire dai bambini, per usare al meglio la tecnologia senza diventarne vittima». Per un bambino è naturale interpretare certi comportamenti del robot come reazioni emotive, e se nel caso di Thymio l’aspetto del robot aiuta a non favorire questo atteggiamento, tutto diventa più complesso con robot dalle sembianze umane, che assumono il ruolo di allievo o di maestro: «Il fatto di avere un robot che appare come una persona o che ha una sua personalità può aiutare certi apprendimenti dal punto di vista della funzionalità. Il gioco tuttavia è molto delicato: stiamo utilizzando il legame che si può creare con il robot per insegnare qualcosa e progredire nell’apprendimento, ma col rischio che il robot non sia percepito più solo come una macchina». Trovare il corretto posizionamento dell’essere umano rispetto alla macchina è qualcosa di molto delicato, ma è un tema che oggi è necessario affrontare fin dai primi anni di scuola, affinché in un futuro che è già qui, i robot non occupino posti che non gli spettano.