Terre arse

Reportage Pantanal: l’agonia di un ecosistema unico al mondo
/ 23.11.2020
di Sabrina Belloni

Su una superficie di oltre 170mila kmq (pari a quattro volte la Svizzera) i proprietari terrieri appiccano il fuoco per liberare immense aree della savana brasiliana dalla vegetazione naturale, ottenere terreni fertili da sfruttare con coltivazioni intensive prevalentemente di soia (utilizzata nella produzione di mangimi per gli animali da allevamento) e rinverdire i pascoli dove sono allevati oltre cinque milioni di capi di bestiame.

Quest’anno, decine di migliaia di ettari di aree naturali sono scomparse avvolte da un fumo denso, acre. Gli incendi sono divampati senza possibilità di controllo su un territorio arido come una polveriera. L’aria divenuta irrespirabile e il calore radiante hanno annichilito centinaia di migliaia di animali selvatici, che sono rimasti intrappolati in cortine di fiamme e fumo, arsi vivi senza possibilità di fuga.

L’ossigeno brucia, alimentando gli incendi, e l’anidride carbonica si espande. Non potendo essere catturata dagli organismi viventi (né da quel che resta della relativamente vicina foresta amazzonica, né dal fitoplancton negli oceani), l’anidride carbonica si diffonde nell’atmosfera, incrementando l’effetto serra e accelerando il cambiamento climatico del pianeta. Un circolo vizioso su cui le scelte dell’uomo influiscono in modo determinante.

L’enorme superficie del Pantanal è uno degli ambienti più incontaminati e meno esplorati del Sud America, un universo di rara bellezza, sospeso tra terra e acqua, che ospita una delle maggiori concentrazioni di fauna selvatica al mondo: 102 specie di mammiferi, 650 specie di uccelli, 270 di pesci, 177 specie di rettili e 40 di anfibi. Si stima che 30 milioni di caimani convivano con giaguari, formichieri, anaconde, capibara, scimmie, lontre giganti, piraña, ara giacinto ed altre centinaia di specie. La sua superficie si estende per il 70% in territorio brasiliano negli stati di Mato Grosso e Mato Grosso do Sul, il 20% in Bolivia e 10% in Paraguay, nella parte superiore del bacino del fiume omonimo. Questa è una delle zone a più alta biodiversità mondiale. Dal 2000 Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, ha però un limite: oltre il 90% dei territori sono di proprietà privata, il che ne mette a rischio la integrità e unicità biologica.

Come indicato dal nome stesso, il Pantanal è una piana alluvionale immensa, dove sorgenti, fiumi, paludi ed acquitrini si susseguono senza interruzione alcuna nella stagione delle piogge, generando la più grande zona umida tropicale del pianeta. Essi regolano il ciclo dell’acqua piovana da cui dipende la vita, purificano l’acqua e aiutano a prevenire inondazioni e siccità. La zona umida si colma d’acqua durante la stagione delle piogge e si svuota durante quella secca: un ritmo alternato che evoca un cuore che batte, una regione che palpita al ritmo della natura.

È un palese controsenso che il fuoco devasti una immensa piana alluvionale in modo talmente disastroso. L’acqua è un formidabile agente di spegnimento ed è il più comune ed economico materiale naturale estinguente, tanto che i vigili del fuoco utilizzano prevalentemente l’acqua per domare gli incendi di legname, di carta, di bosco, di sterpaglie e via elencando. Ma questo eccezionale elemento non è stato sufficiente a preservare il Pantanal, soprattutto nelle ultime due stagioni estive.

Sulla base dei dati pubblicati dal-l’INPE (Istituto nazionale per le ricerche spaziali brasiliano; vedi nota n. 1), da inizio anno a metà settembre 2020 sono stati registrati 141’578 incendi, il 12% in più rispetto a quelli segnalati nell’anno 2019 (125’714) e quasi il doppio di quelli divampati nel 2018 (82’247). Negli anni scorsi, le fiamme sono state contenute dal mosaico d’acqua del territorio, ma l’estrema siccità di quest’anno ha ridotto la portata delle barriere naturali, e la deforestazione ha colmato i fiumi di legname e residui boschivi, trasformandoli in fattori di propagazione degli incendi.

Sebbene l’influenza del cambiamento climatico sull’attuale siccità non sia stata ancora scientificamente provata, i ricercatori ritengono che l’estrema aridità nella regione possa essere stata innescata dalle maggiori temperature registrate negli oceani del Nord Atlantico e Nord Pacifico. I dati raccolti dal 1. gennaio al 18 ottobre e riferiti al solo Pantanal brasiliano, elaborati da LASA (Laboratorio di applicazioni satellitari ambientali, Dipartimento di meteorologia, Istituto di geoscienze, Università federale di Rio de Janeiro; vedi nota n. 2), indicano che le superfici arse nel 2020 (oltre 4mila milioni di ettari) sono più che raddoppiate rispetto al 2019 (oltre 1700 milioni di ettari), con valori mensili del +253% a marzo, +314% a luglio e +293% a ottobre.

I rilevamenti satellitari hanno dimostrato che il numero degli incendi ha iniziato ad aumentare a fine luglio, ed è esploso ad agosto e settembre quando si è raggiunto il 72% dei focolai dei primi nove mesi dell’anno. Il fumo degli incendi che hanno devastato l’Amazzonia e il Pantanal si è esteso per oltre 4mila chilometri e ha raggiunto almeno cinque paesi confinanti, Perù, Bolivia, Paraguay, Argentina e Uruguay. I vigili del fuoco sono stati affiancati dai volontari, sia da rancheros (preoccupati per le mandrie) sia da professionisti del turismo locale, i quali si sono trovati ad affrontare una battaglia persa in partenza. Hanno scavato trincee e barriere antincendio per fermare le fiamme, ma inutilmente: il vento alimentava il fuoco, rendendolo incontenibile. La densità di fumo nell’aria e il calore impedivano all’acqua trasportata dai canadair di raggiungere il suolo, lasciando mano libera alla potenza catastrofica del fuoco, che ha decretato la morte di milioni di animali.

I ricercatori temono che fenomeni di portata così devastante possano alterare permanentemente il bioma del Pantanal, che potrebbe non essere più in grado di sostenere la diversità delle piante e della fauna selvatica attuali, soprattutto nello Stato del Mato Grosso dove le fiamme hanno interessato anche le riserve e i parchi naturali.

Molti animali non sono riusciti a sfuggire alle fiamme o si sono trovati isolati in regioni senza possibilità di alimentarsi. Tra le tante specie protette spicca la onçapintada, un giaguaro striato considerato il maggior felino delle Americhe e l’arara azzurra, l’ara giacinto, il più grande pappagallo al mondo, capace di percorrere grandi distanze grazie ad una apertura alare che può arrivare fino a 140 centimetri.

Note

1. Professoressa Luciana Gatti, una ricercatrice del Brazil’s National Institute for Space Research (INPE).

2. Professor Carlos Nobre, un ricercatore dell’Università di Sao Paulo, Institute for Advanced Studies.