Da alcuni giorni, sul sito web dell’Ambrì-Piotta gira un video che ha quali interpreti il Direttore Sportivo, Paolo Duca, e l’allenatore Luca Cereda. Entrambi, con tanto di caschetto da minatore in testa, al centro della nuova pista in fase di completamento, lanciano un appello al popolo biancoblu: «L’Ambrì mi appartiene» è il titolo di una campagna di raccolta fondi. Obiettivo dell’operazione: emettere 6775 nuove azioni nominative. L’esatto numero dei posti a disposizione del pubblico nella nuova struttura. Le stesse quattro cifre del codice di avviamento postale della piccola frazione leventinese.
Potrebbe essere interpretata come una normale operazione di azionariato, dettata da una legittima ambizione di crescita. In realtà è un preoccupante campanello d’allarme. La pandemia sta colpendo duramente le casse sociali. Dopo una brevissima fase in cui, grazie ad alcuni interventi strutturali, i club avevano potuto giocare davanti a due terzi del potenziale pubblico, da mesi si è passati a una situazione di chiusura totale. Una chiusura che perdura, e della quale non si intravede la revoca.
Per il buon sonno del presidente del CDA, Filippo Lombardi, e dei suoi colleghi di Comitato, coloro che hanno preteso il rimborso dei costi dell’abbonamento si contano sulle dita di una o due mani. Mancano però gli introiti dei biglietti alla cassa, e quelli delle voci, gastronomia, ristorazione, hospitality, e merchandising. Non poco, per una società sportiva storicamente confrontata con ristrettezze economiche, e che in passato aveva già dovuto ricorrere al prezioso sostegno finanziario dei suoi tifosi.
Nell’hockey moderno, non è più possibile restare competitivi solo con i Celio, Muttoni, Panzera, Fransioli, Zamberlani, Gagliardi e via dicendo. Pur attingendo, nel limite del possibile, alle risorse del settore giovanile, anche l’Ambrì Piotta è costretto a ricorrere al mercato nazionale e internazionale, ingaggiando un cospicuo numero di giocatori che accettano l’affascinante sfida proposta da questa sorta di «villaggio di Asterix», ma che non lo fanno certo per pochi franchi e una tazza di latte.
A inizio stagione, gli atleti hanno concordato con la Direzione una riduzione dei salari superiori agli 84mila franchi. Bravi, chapeau! Ma va detto che non sono salari multimilionari. Con la liquidità racimolata grazie ai tagli, i grandi club calcistici possono rischiare anche degli investimenti speculativi. L’Ambrì Piotta può solo fare salti mortali, e tentare di garantire perlomeno la gestione corrente. Nel video in questione, Paolo Duca si appella all’unicità del fenomeno Ambrì-Piotta, costantemente nella massima categoria, nonostante rappresenti una piccola realtà di montagna. È un miracolo, figlio della tradizione combattiva della gente contadina e montanara.
Dal canto suo, Luca Cereda parla di «Grande famiglia biancoblù» e auspica che sempre più – soprattutto in questa delicata fase epocale in cui l’entusiasmo per l’arrivo del nuovo stadio si sovrappone alla preoccupazione per i danni provocati dalla pandemia – i tifosi si sentano co-proprietari della squadra, mediante l’acquisto delle nuove azioni. Nella nuova casa, dice il tecnico biancoblù, devono poter essere salvaguardati i nostri valori forti, da trasmettere alle generazioni future. Valori come la passione e l’orgoglio di appartenere a questa famiglia.
Auguriamo ovviamente al Club di raggiungere gli obiettivi che gli consentirebbero di rimanere nel mondo del grande hockey. Siamo altresì consapevoli che quanto sta accadendo al club leventinese, vale anche per le altre società della National League. L’unica discriminante sta nel fatto che, rispetto a quasi tutte le altre, l’Ambrì Piotta si porta dietro delle difficoltà, tipiche di una realtà periferica, colmabili, forse, solo con l’arrivo di uno sceicco che si innamori di questo miracolo sportivo e accetti di sostenerlo e finanziarlo. Ma sceicchi, emiri e principi azzurri compaiono soprattutto nelle favole, quindi, anche se quella del club biancoblù è una bellissima favola, è assolutamente necessario trovare delle soluzioni alternative.
Se dovesse perdurare questa situazione, probabilmente neanche questa indispensabile azione di ricapitalizzazione potrebbe bastare. Urgono, anche per le altre società sportive, misure che diano un segnale e lascino intravedere il ritorno alla normalizzazione. Ad esempio, il progressivo e prudente ritorno del pubblico in tribuna, in tempi relativamente brevi. Ne va della sopravvivenza di una parte della storia dello sport, che è fatta di passione, abbracci, gioie, sofferenze, litigi e canti. Una storia che è anche la nostra, a Lugano, come ad Ambrì, Davos, Langnau, e ovunque. Per le autorità, politiche e sanitarie, si tratterà di valutare rischi e benefici, e di prendere delle decisioni. Magari anche moderatamente coraggiose.
Sarebbe infatti tristissimo, fra uno, due o tre anni, essere chiamati a redigere necrologi, e a celebrare esequie. I seggiolini della Corner Arena e della Gotthard Arena, come quelli di tutte le altre piste, vanno occupati. Ci attendono nuove sfide tra Lugano Seagulls e Ambrì Piotta Farmers. E se i nomi non vi piacciono… nessun problema. L’importante è vedere da vicino le maglie, il sudore, i volti e i colori, e sentire dal vivo il rumore del puck e gli inni delle curve.