Ogni linguaggio è definito come un insieme non casuale di segni (che chiamiamo «codice») conosciuto da tutti i membri di una comunità. Ciascun segno ha sempre il medesimo significato (o una sua sfumatura pure comunemente nota) e viene dunque interpretato da tutti gli individui in modo identico. Ciò ci permette di intenderci quando parliamo, ad esempio. Quando vogliamo farci capire da persone che parlano un’altra lingua rispetto alla nostra, non ci resta che imparare la loro lingua (o loro la nostra) e sopperire alle eventuali lacune attraverso un linguaggio non verbale che potrebbe essere, ad esempio, aiutarci attraverso la gestualità, la mimica facciale o il linguaggio corporeo in senso lato.
Per comunicare dobbiamo intenderci e per intenderci dobbiamo comunicare su uno stesso piano, con simili o identici codici. Lo stesso meccanismo si consuma fra le altre specie animali. Per analogia, anche i cavalli, dunque, hanno un loro linguaggio che utilizzano per comunicare con i loro simili. Comprenderlo, per noi umani, significa avere le fondamenta per creare un rapporto il più empatico possibile fra uomo e cavallo.
La domesticazione del cavallo da parte dell’uomo è antica di millenni. Malgrado ciò, ancora oggi lo studio approfondito dei codici comunicativi di questi magnifici animali è sempre in grande evoluzione, e sempre più risposte soddisfano le domande su cosa significa quando il cavallo muove la coda, sulle ragioni che impongono di spazzolarla sempre con cura, su cosa voglia comunicarci con il movimento rapido delle sue orecchie, su cosa ci possiamo aspettare quando arrotonda la groppa o quando si erige sulle gambe posteriori rampando e dimostrando tutta la sua potenza. Per non parlare dei differenti nitriti, sbruffi, soffi e gridi acuti che certamente sono compresi nel suo codice comunicativo che da sempre vogliamo codificare per poterci rapportare in modo bilaterale.
«In quanto animali sociali, i cavalli vivono in gruppi e, attraverso la comunicazione, stabiliscono la gerarchia di dominanza fra gli individui», così esordisce la veterinaria Sara Maffi, dell’Università degli Studi di Milano, facendo riferimento alla sua tesi di laurea in Scienze e tecnologie delle produzioni animali. Specializzata in interazione uomo-animale, la dottoressa parte dall’osservazione del codice comunicativo interspecifico tra i cavalli stessi, per poi estenderlo al significato con cui il loro linguaggio para-verbale vuole «dire» qualcosa pure a noi esseri umani.
«Quando due cavalli estranei, separati per lungo tempo, si incontrano, si salutano avvicinando i musi reciprocamente, narice contro narice. Inoltre, possono emettere segnali vocali». Rituali tramite i quali essi si identificano e si presentano, un po’ come se noi ci incontrassimo a un evento pubblico e ci presentassimo: «Sono Pinco Pallino, piacere di conoscerla».
Più ci si addentra nel racconto della ricerca di Sara Maffi, più si viene rapiti dagli esempi pratici che riporta, e più ci pare di imparare per davvero la lingua equina. Scopriamo che i cavalli comunicano tramite segnali acustici, chimici, tattili e visivi. Questi ultimi sono i più importanti e chiari e riguardano le orecchie: «Se sono puntate in avanti, in genere il cavallo è attento, interessato e curioso. Può però pure essere preoccupato per qualcosa e focalizzare l’origine del suo problema con la posizione dei padiglioni auricolari. Se sono divaricate agli angoli della testa, può essere che stia semplicemente dormendo. Se le orecchie sono leggermente all’indietro, il cavallo potrebbe esprimere rabbia e quando vengono abbassate ben aderenti alla testa, allora esso è molto aggressivo».
I vari segnali facciali e le diverse posizioni di tutto il corpo assumono in generale una grande importanza nel cavallo; spesso sono segni impercettibili come il dilatarsi delle froge e la tensione del muso. Perciò anche lo sguardo può essere tagliente: «Le espressioni dei loro occhi sono molto significative: in particolare, diversi sguardi sono usati dagli stalloni per valorizzarsi tra i membri del gruppo». E veniamo ai cosiddetti segni posturali, definiti come forme comunicative molto evidenti che ci aiutano a interpretarne l’umore: «Un collo teso, con orecchie appiattite e testa inclinata di lato è chiaro segno di minaccia. Quando un cavallo si prepara a scalciare, invece, arrotonda leggermente la schiena e alza uno solo o entrambi gli arti posteriori».
Oggi sappiamo che la tendenza a scalciare è soprattutto prerogativa della giumenta, mentre i maschi in genere aggrediscono frontalmente mostrando i denti e mordendo, rampando o impennandosi. La dottoressa Maffi analizza e dà una spiegazione a tutta la gamma di linguaggi messi in opera dal cavallo, passando anche per i segnali chimici («Flehmen, ossia arricciano il labbro superiore per identificare odori sociali o la presenza di feromoni») che sappiamo essere prodotti ed eliminati attraverso secrezioni cutanee, saliva ed espirazione, oltre che con le vie tipiche di urina e feci.
Poi abbiamo i «rituali di intimidazione» e gli strilli equini, che assumono importanza quando il cavallo deve comunicare da lontano: «Quelli più rilevanti sono nitriti, brontolio, grida, sbruffi, gemiti, ruggiti e strilli». Tutti assumono uno o più significati dati dalla circostanza: «Un saluto fiducioso sarà dato attraverso un nitrito più o meno forte, una minaccia di aggressione verrà espressa attraverso un grido acuto e così via».
In questo modo giungiamo alla certezza che la coda del cavallo è pure un mezzo comunicativo assai importante. Quando la agita vuole dirci che qualcosa lo infastidisce e può essere pure il preludio a un eventuale calcio. La coda è di fatto un vero e proprio strumento che permette al cavallo di scacciare insetti, di esprimere il suo diniego e protegge pure i suoi organi genitali dallo sporco. Quest’ultima funzione implica una grande pulizia da parte dell’uomo, non solo dei crini, ma pure della radice della coda (la parte carnosa del tronco), per evitargli di soffrire di fastidiosi pruriti. Quindi il cavallo ha una coda non solo per vanità, ma che gli serve per difendersi e per comunicare. Anche con l’essere umano. Sta quindi a noi imparare a interpretarne il linguaggio.