Il Museo zoologico dell’Università di Zurigo sta affrontando un’enorme operazione di pulizia dei suoi circa 8mila uccelli e mammiferi imbalsamati per decontaminarli da arsenico e mercurio. È la notizia – apparsa sulla piattaforma Simpap, dove sono pubblicati gli appalti pubblici, e ripresa da diversi media – dell’Ateneo che cerca un «fornitore di decontaminazione» per rimuovere la polvere contaminata che negli anni si è depositata sugli animali impagliati. Un fatto che dà adito ad alcune riflessioni su questi esemplari della fauna imperanti nei musei e presenti anche nelle abitazioni private, soprattutto nei cantoni come il nostro a vocazione culturale per la conservazione di animali autoctoni provenienti dalla caccia, così come quelli trovati senza vita ai quali, soprattutto in passato, con l’imbalsamazione si soleva dare una nuova esistenza (vedi box).
Molte le domande: perché in passato si usavano questi veleni per la tassidermia? Che pericoli si correvano, e si corrono, per la salute dell’essere umano che viene a contatto con questi animali cosiddetti imbalsamati? La polvere depositata sulla loro superficie è davvero contaminata?
L’Ufficio federale della salute pubblica (Ufsp) conferma che in passato le proprietà biocide dell’arsenico erano sfruttate anche per l’imbalsamazione di animali: «Fino agli anni Ottanta il diarsenico triossido e altri biocidi venivano utilizzati per garantirne la protezione da insetti nocivi: si mescolavano, ad esempio, 40 gr di diarsenico triossido puro con 100 gr di acqua tiepida, soluzione applicata sul rovescio della pelliccia o della pelle d’uccello». Ad avvalorare quanto qui riassunto è anche il chimico industriale Paolo Moro, dello Studio di Tassidermia Moro di Como fondato dal padre Ezio nel 1957, che vanta una lunga esperienza nella tassidermia: «Fiino a quarant’anni fa, nella preparazione in pelle degli uccelli è stata usata una formulazione a base di sale di arsenico o arseniato di sodio: si mescolava in peso una parte di arseniato e tre parti di sapone di Marsiglia e si preparava una pomata con l’ausilio di alcol etilico: prodotto spalmato nei punti critici come base della coda, articolazioni, ali e zampe, per rendere l’animale imbalsamato inattaccabile da qualsiasi parassita».
In merito alla pericolosità, Moro osserva che, a suo parere e per la sua esperienza di chimico industriale, non sussistono elementi validi per ritenere un preparato inadeguato all’esposizione museale: «L’arseniato di sodio non è volatile; la percentuale presente nella pomata è esigua; il prodotto era pennellato all’interno della pelle, nelle parti più vulnerabili, quindi non esposto all’esterno. Infine, una volta inseriti nelle teche espositive, i preparati non vengono manipolati e tantomeno risulta possibile arrivare nel punto dove l’esemplare è stato trattato con questa pomata, se non a discapito della preparazione stessa che si rovinerebbe».
Sugli eventuali effetti nocivi, egli conclude: «Non esistono dati o prove di avvelenamenti causati da esposizione a esemplari così trattati, e posso aggiungere che mio padre (tassidermista pensionato ormai da 30 anni) ha sempre usato questo prodotto come tutti i tassidermisti, ovviamente con l’ausilio di guanti e protezioni». Egli conferma che dopo gli anni Ottanta la tassidermia moderna ha oramai sostituito l’arsenico con altre sostanze regolamentate dalle vigenti normative, mentre «l’arseniato di sodio è usato ancor oggi contro i parassiti in campo medico e negli allevamenti intensivi».
Troviamo riscontro all’Ufsp; lo studio sull’esposizione all’arsenico durante la manipolazione di animali imbalsamati indica la tossicità dei composti inorganici di questo elemento chimico: «Riguardo alla tossicità, un adulto di 60 Kg che ogni giorno ingerisce 18-480 microgrammi di arsenico corre un rischio accresciuto di contrarre un cancro dei polmoni, della pelle o della vescica. Perciò diverse organizzazioni considerano l’arsenico e i suoi composti come sostanze cancerose per l’uomo».
L’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (Ufas) ha pure calcolato con precise simulazioni che in un’unica presentazione di animali imbalsamati posti su un tavolo una persona potrebbe assorbire al massimo 0.22 microgrammi di arsenico: «Un valore di 40 volte inferiore alla quantità giornaliera della stessa sostanza che un adulto assume in media nutrendosi» (vedi articolo spalla).
Lecito interrogarsi sull’utilità di queste esposizioni nei musei e nelle case. Riflessioni a cui dà adito il curatore di animali imbalsamati della Federazione cacciatori ticinesi Eros Quadrelli, responsabile della collezione di 455 animali imbalsamati del sodalizio, posti in cinque grandi vetrine alle Scuole medie di Pregassona e a disposizione di tutti a scopo didattico: «La collezione è posta ermeticamente sotto vetro, anche per evitare che gli animali siano toccati e rovinati. Parlerei di “animali rinaturalizzati” utili da avere a disposizione a scopo didattico perché parecchi bambini non li hanno mai visti dal vero, malgrado siano autoctoni del territorio».
La Federazione li espone anche in ambienti naturali per mostrare la nostra fauna, con una collezione itinerante di circa altri 70 animali imbalsamati: «Si tratta per lo più di donazioni private, incrementata da altri acquisti». Sulla pericolosità dei soggetti impagliati prima degli anni Ottanta, Quadrelli esprime qualche considerazione: «Ogni prodotto chimico, se inalato o ingerito, potrebbe provocare danni: dipende dalla frequenza e dalle dosi. Pensiamo a tutti gli spray in commercio, volatili e dannosi per la salute, e alla pericolosità della naftalina che si metteva negli armadi contro le tarme, e al vapore aromatico della benzina quando si fa il pieno».
Egli ricorda che gli animali in questione sono maneggiati saltuariamente solo dagli addetti ai lavori, con le dovute precauzioni, e visibili unicamente nelle vetrine. Eppure, già nel 2017 la città di Winterthur ha deciso di togliere le esposizioni di animali imbalsamati nelle scuole: «Potrebbero contenere arsenico». Sebbene nel canton Zurigo la presentazione di animali impagliati nelle scuole sia autorizzata a precise condizioni (conservazione all’interno delle vetrine dalle quali possono essere estratte solo in presenza di insegnanti), la città di Winterthur le elimina (in modo soggettivo e senza dati a suffragio), ritenendo «insufficienti le misure che autorizzano a tenerle».
Il tema dell’arsenico come sostanza usata dal tassidermista fino a quarant’anni or sono pare essere una «non notizia», dato che se ne parlava già da anni. Lo conferma Nicola Zambelli del Museo di storia naturale di Lugano: «Dal 2019 esistono documenti e newsletter che già ne parlano senza allarmismi perché tutto dipende sempre dalle quantità, peraltro testate» (vedi dati e articolo a destra). In aggiunta, esprime l’importanza di avere questi animali al Museo: «Il nostro compito è testimoniare la presenza delle specie che ci sono da noi; ne abbiamo un numero maggiore di quelle esposte, che peraltro sono chiuse in vetrine che riproducono l’habitat degli animali e non possono essere toccati, se non dagli addetti ai lavori».
Zambelli smorza dunque gli allarmismi: «L’attività di decontaminazione del museo di Zurigo era probabilmente già programmata da tempo a scopo precauzionale e di manutenzione, e oggi viene semplicemente attuata». Confermando l’assenza di allarmismo alle nostre latitudini, conclude: «Non possiamo negare la presenza di arsenico in questi preparati antecedenti gli anni Ottanta, ma bisogna relativizzarla, compatibilmente alla sua reale portata».
Arsenico: medicina e veleno al tempo stesso
«Nell’Antichità alcuni composti a base di arsenico erano usati come pittura, prodotti per depilazione o farmaci per curare malattie polmonari. Acqua di lavanda e arsenito di potassio erano un rimedio per febbre, emicrania, malaria e asma, mentre poi il diarsenico triossido era usato per compiere avvelenamenti mortali. Nel 1840 per oltre il 90 per cento degli omicidi per avvelenamento documentati veniva utilizzato l’arsenico di cui non era possibile riscontrare chimicamente la presenza».
L’Ufficio federale della sanità pubblica traccia così la storia di «medicina e veleno» dell’arsenico, e sostiene che oggi la popolazione è esposta all’arsenico soprattutto attraverso l’alimentazione: «Nel caso delle derrate alimentari di origine terrestre, sono soprattutto i composti inorganici a causare problemi, dato che l’arsenico entra nella catena alimentare mediante l’acqua e i terreni contaminati».
Nel 2017 l’Ufficio federale della sicurezza alimentare e veterinaria e l’Ue ne hanno fissato i tenori massimi per riso e altri prodotti a base di riso. D’altra parte, fino agli anni Ottanta le proprietà biocide dell’arsenico erano note anche per l’imbalsamazione di animali: sostanze contenenti mercurio e triossido di arsenico garantivano la protezione da insetti nocivi.
«L’interesse per questo tema è oggi legato più che altro all’adattamento delle regolamentazioni in relazione alla sicurezza sul lavoro di chi manipola quotidianamente questi animali imbalsamati. Bisogna però relativizzarne la pericolosità in relazione alle concentrazioni presenti», è la premessa della specialista in farmacologia clinica e tossicologia Francesca Bedussi, capoclinica all’Istituto di Scienze Farmacologiche dell’Ente ospedaliero cantonale.
Per quanto attiene ai pericoli per la salute, «nelle scuole gli animali sono custoditi in apposite vetrine e i ragazzi non vengono a contatto; i pochi presenti nelle case, appesi e non facilmente raggiungibili, non dovrebbero rappresentare un problema, e non sono rimaneggiati quotidianamente». Rassicuranti le indicazioni sulla base delle misure effettuate: «I quantitativi di polvere liberata si situano 20-50 volte sotto il valore MAK (ndr: concentrazione ammissibile massima sul posto di lavoro di una sostanza – gas, vapore, materia in sospensione) da cui non ci si può aspettare alcun danno alla salute, anche se si è esposti per un massimo di 8 ore al giorno o 40 ore alla settimana), rispettivamente le quantità misurate di arsenico o mercurio nella polvere sono risultate inferiori al limite di rilevazione del metodo analitico».