Grotte-caverne orizzontali, pozzi-abissi verticali, fiumi e laghi sono gli aspetti più vistosi del carsismo sotterraneo, fenomeno che si concretizza grazie alla presenza di rocce calcaree.
Nel corso del tempo, che può durare da milioni di anni, tutti questi ambienti sono stati colonizzati da una ricca ed eterogenea fauna di insetti e altri invertebrati con una unica eccezione in Europa, dove vive nelle grotte della Slovenia un anfibio privo di occhi (Proteus coecus).
Il fattore fisico dominante in tutto questo mondo sotterraneo è la permanente assenza di luci, accompagnata da una notevole stabilità dell’aria, e la costante temperatura nel corso dell’anno: generalmente bassa da noi nelle regioni alpine e prealpine: da 3°C a 6°C. Da 16°C a 20°C nelle regioni tropicali.
La mancanza di luce ha comportato, nel corso di lunghissimi processi evolutivi, la progressiva perdita della vista, compensata con aumento delle facoltà tattili dell’animaletto coinvolto. La colorazione è il risultato di una ossidazione chimica non possibile in assenza di luce. Dunque, un vero coleottero cavernicolo nel nostro caso, è privo di occhi, ha zampe e antenne molto allungati, e di colore biancastro o gialliccio (depigmentato).
Sui Monti Lessini veronesi (Veneto, Italia), la Spluga della Preta si apre a 1480 metri slm, uno dei più profondi pozzi-abisso attualmente conosciuti a livello mondiale. Durante gli anni 1960-1963, e dopo una serie di perigliose esplorazioni e tentativi, grazie agli sforzi congiunti di diversi Gruppi Grotte italiani, venne raggiunta la profondità massima di -885 metri.
Lo speleologo torinese Marziano Di Maio (nessun rapporto con l’attuale uomo politico italiano) osservò a 510 metri di profondità «alcuni grandi formiconi gialli». Un esemplare venne raccolto e inviato in studio al professor Gian Maria Ghidini, entomologo specializzato dell’Università di Pavia. In realtà, non si trattava di una «formica» bensì del più grande e vistoso coleottero cavernicolo ultra-evoluto: un vero fossile vivente, dopo milioni di anni di incessante evoluzione nella vita sottoterra.
Battezzato dal professor Ghidini con il nome di Italaphaenops dimaioi in onore dello scopritore, il nome generico voleva richiamare le affinità morfologiche di aspetto dello straordinario insetto con gli Aphaenops conosciuti di alcune grotte dei Pirenei.
Negli anni successivi furono raccolti pochi altri esemplari anche in due pozzi-abisso prossimi alla Spluga della Preta. Italaphaenops dimaioi è uno straordinario coleottero cavernicolo, un gigante con i suoi quindici millimetri di lunghezza: con le antenne e le zampe interamente distese è in grado di esplorare un raggio di cinque centimetri di territorio.
È un accanito predatore di minuscoli gamberetti molto comuni nell’antro a varie profondità, e percorre incessantemente il reticolo di fessure che costituiscono il sistema carsico dei Monti Lessini veronesi. Il suo aspetto è quello di un tipico insetto cavernicolo ultra-specializzato alla vita sotterranea: ha un colore gialliccio, per mancanza di pigmenti (depigmentato), è privo di occhi, ha antenne e zampe molto allungate che esaltano le sue facoltà tattili, e poderose mandibole da efficiente predatore.
Secondo Casale & Vigna-Taglianti (1975), l’antenato di Italaphaenops doveva essere un progenitore vagante tra le foreste che ricoprivano i Monti Lessini allora emersi da un mare poco profondo, circa 35-40 milioni di anni or sono, nell’Eocene, la stessa epoca geologica di quando il Mare Baltico faceva galleggiare la famosa resina fossile Ambra, con i suoi preziosi reperti animali e vegetali giunti fino a noi. I «formiconi gialli» sono tuttora fonte di molti «perché? e quando?».
Bibliografia
A. Casale & A. Vigna Taglianti. Note su Italaphaenops dimaioi, Ghidini, 1964 (Coleoptera Carabidae). Bollettino Museo Civico Storia Naturale Verona (1975, 11-293-314)