Dove e quando
Un confine tra povertà e persecuzioni, Museo delle dogane, Cantine di Gandria, orari: ma-do 12.00-17.00, fino al 17 ottobre 2021, www.museodelledogane.admin.ch


Storie di spalloni, profughi e ramina

Mostre – Al Museo delle dogane un’esposizione racconta la storia del contrabbando sul confine italo-svizzero indagando in particolare il periodo della Seconda guerra mondiale
/ 19.07.2021
di Barbara Manzoni

Il 2020 è stato un anno fuori dall’ordinario. Tutti siamo stati confrontati con cambiamenti repentini che hanno rivoluzionato il nostro modo di lavorare, di vivere, di relazionarci con gli altri. In prima linea si sono trovati i sanitari ma anche altri settori hanno vissuto momenti che possiamo già fin d’ora definire storici, come le dogane e le guardie di confine. È da questa consapevolezza, spiega la responsabile del Museo delle dogane di Gandria Maria Moser, che è nata fin da subito l’idea di raccogliere e archiviare alcune testimonianze del momento più grave della pandemia di Covid-19, materiale organizzato in una mostra online intitolata proprio «Stra-Ordinario» (www.stra-ordinario.ch) e che ora ha anche una veste grafica in una sala del museo affacciato sul Ceresio. Chiudere i valichi doganali è un avvenimento che ha pochi precedenti in Svizzera. Dopo il 16 marzo 2020 l’Amministrazione federale delle dogane ha dovuto mettere in atto una serie di misure per garantire che solo le persone autorizzate entrassero in Svizzera: valichi secondari, strade e sentieri sono stati sbarrati, alle guardie di confine si è affiancato l’esercito. Una situazione che non poteva non evocare altri tempi, tempi in cui a fare paura non era un virus ma potenze straniere in guerra e soprattutto la Wehrmacht che occupava l’Italia. L’analogia nasce spontanea nella mente di chi visita la bella mostra attualmente in corso al Museo delle dogane e intitolata «Un confine tra povertà e persecuzioni. Contrabbandieri e profughi tra Italia e Svizzera durante la Seconda guerra mondiale».

L’esposizione, curata da Adriano Bazzocco con la collaborazione di Stefania Bianchi, occupa tre sale, le prime due dedicate alla storia del contrabbando, la terza invece racconta dei profughi che a Cantine di Gandria hanno cercato rifugio dalle persecuzioni. Dietro ai nomi che scorrono su una delle pareti della sala (ma che non rimarranno scolpiti come quelli sui muri della Sinagoga Pinkas di Praga) si nascondono vicende drammatiche, avventurose, dolorose, commoventi, non sempre purtroppo a lieto fine. Il registro dei profughi accolti e respinti al posto di confine di Cantine di Gandria è un documento prezioso, l’unico del genere conservato in Svizzera. Nell’elenco si contano in tutto 250 profughi accolti a Caprino (di cui 97 ebrei) e 173 respinti (di cui 53 ebrei, 71 disertori e 49 civili). Dei 53 ebrei respinti si sa che 21 sono stati poi accettati in altri posti di confine mentre 11 sono stati arrestati e deportati ad Auschwitz, da dove soltanto due faranno ritorno. Uno di loro è il medico torinese Leonardo De Benedetti che nel lager stringerà un’intensa amicizia con Primo Levi insieme al quale subito dopo la liberazione redigerà il primo rapporto sullo stato sanitario all’interno del campo. I due italiani riveleranno al mondo l’abominio di Auschwitz. Questa e altre storie si possono leggere al Museo delle dogane in una sala che non vuole certo analizzare la politica di asilo della Svizzera durante il secondo conflitto mondiale ma che, scrivono i curatori, ci invita a riflettere sull’asilo in genere e sulla Shoah in particolare.

Ma il confine in Ticino è stato molto altro e ben prima della seconda guerra mondiale. La stessa costruzione della famosa rete di confine ad opera delle autorità italiane risale agli anni 80 dell’800 ed era pensata, con i suoi campanelli, per contrastare il passaggio delle merci di contrabbando. La storia della «ramina» arriva da lontano e scorre nel nostro dna in modo a volte piuttosto inconsapevole. Nelle due sale dedicate al contrabbando viene raccontata ed egregiamente riassunta con l’aiuto anche dell’efficace allestimento. «Il confine con l’Italia è di gran lunga quello in cui in passato il contrabbando è stato esercitato con la maggiore intensità. Nella vicina penisola alcuni beni, come il tabacco, il caffè e lo zucchero, erano sottoposti a monopolio o gravati di ingenti tributi e pertanto molto cari. Il dislivello dei prezzi provocò intensi flussi di merci di contrabbando dalla Svizzera verso l’Italia. Per la Svizzera questi traffici non erano illegali perché danneggiavano soltanto il fisco italiano», questa è l’estrema sintesi di ciò che era un vero e proprio mondo, una tradizione di contrabbandieri e spalloni, con i loro «attrezzi» del mestiere, la loro minuziosa conoscenza del territorio, le loro fatiche e a volte la loro genialità (nel 1948 le guardie di finanza scoprirono addirittura un sommergibile artigianale nel Ceresio!). In alcuni casi nacquero vere e proprie figure leggendarie come quella di Clemente Malacrida soprannominato «il duca della montagna» spallone dell’alta Valle d’Intelvi attivo negli anni Trenta. 

La mostra pone poi l’accento sulla stagione più epica della storia del contrabbando: gli anni della Seconda guerra mondiale. Erano allora tantissimi gli uomini, le donne e addirittura i ragazzini dei villaggi italiani di confine che vedevano nel contrabbando l’unica opportunità per alleviare le loro precarie condizioni economiche. Sono gli «anni del riso», quando non mancarono episodi di violenza nei quali spalloni ma anche alcune guardie rimasero feriti o uccisi e si consumarono drammi famigliari come quello di Ovidio e Nives giovani sposi di Cabbio. Vicende da riscoprire sulle ormai placide rive del Ceresio.