Soressa, lei come sta?

Scuola – Dopo due mesi si è conclusa l’esperienza della scuola a distanza. Diamo la parola agli allievi di una scuola media, che si sono espressi in un «Diario dal confinamento»
/ 08.06.2020
di Fabio Dozio

«Si ricorda quando le ho detto che avere le scuole chiuse è un INCUBO?????????????? Beh, non ho affatto cambiato idea. Pensavo che le cose potessero SOLO migliorare, ma qui ci sono sempre più casi, e idem anche in Italia, casi, casi e casi.
Ma d’altronde, come disse una volta Shakespeare (o qualcun altro, ma non è questo il punto): “Quando le cose vanno male, ci si conforta al pensiero che possano ancora peggiorare, e quando peggiorano, ci si conforta al pensiero che le cose, ora, possono solo migliorare”.
Ma in realtà a me sembra che “le cose” continuano a peggiorare, peggiorare e peggiorare. CHE PIZZA. Sa soressa, non ho neanche mai capito questo modo di dire: “CHE PIZZA”. Insomma, la pizza è buona, o almeno piace alla maggioranza della gente, ma questo modo di dire si usa per esprimere noia e (a volte) tristezza. Non si potrebbe dire tipo “che broccoli” o “che quella salsa strana che fa la nonna, che probabilmente ha pescato gli ingredienti dal frigo a occhi chiusi”? Ehi, questa suona bene (o perlomeno ha più senso del “che pizza”).
Boh. La gente è strana. Davvero, a volte (ok, va bene SPESSO) non la capisco.
Senta, probabilmente il coronavirus è “l’argomento del momento” o comunque se ne parla allo sfinimento. E io NON CE LA FACCIO PIÙ. Quindi, le va se cambiamo discorso? Lei come sta?».

Una scrittura originale, vivace e colorita di una ragazzina di prima media. È uno stralcio del «Diario dal confinamento» che una docente di italiano di una scuola media ticinese ha introdotto come momento di relazione con gli allievi durante la scuola a distanza.
È iniziato tutto il 16 marzo, un lunedì in cui le scuole del Canton Ticino sono rimaste chiuse, per rispettare il lockdown, meglio detto confinamento, conseguenza della pandemia di coronavirus che si stava diffondendo in modo subdolo fra la popolazione.
«Nel periodo d’insegnamento a distanza – scrive il DECS nelle Direttive inviate ai docenti a inizio aprile – i docenti/operatori devono avere contatti personali regolari di interazione diretta con ogni allievo/a (ad esempio tramite telefono, videochiamata, ecc.) e prestare attenzione particolare ai riscontri delle classi e dei/le singoli allievi/e, come pure alle situazioni di fragilità e rischio. È necessario avere un occhio di riguardo anche per gli allievi che si ha l’impressione fatichino a seguire la didattica a distanza».

«Questa cosa del coronavirus mi sta facendo impazzire. – scrive un ragazzo di terza media – Io non riesco a stare in casa tutto questo tempo, perciò ieri sono uscito con mia sorella a fare una passeggiata. È stato bellissimo stare un po’ di tempo nella natura e sentire i fischi degli uccelli. Mi sentivo molto meglio, anche molto contento perché non abbiamo parlato di quel maledetto coronavirus (…) In cima c’era un panorama bellissimo. Mi sembrava di essermi staccato da tutto il tema: coronavirus».

La scuola a distanza è stata organizzata facendo riferimento a due strumenti informatici: Teams, una piattaforma sviluppata da Microsoft che permette collegamenti video fra diversi interlocutori, e Moodle, la piattaforma didattica che il Centro di risorse didattiche e digitali del DECS utilizza per la scuola da casa, sulla quale gli allievi possono scrivere e confrontarsi con i docenti.
Qui nasce uno dei possibili intoppi della scuola a distanza. Le famiglie che hanno spazi e computer a sufficienza, nonché un genitore che possa seguire i figli, sono facilitate. Chi deve condividere un solo computer con fratelli o genitori e abita in spazi ristretti incontra una fatica maggiore. Il Dipartimento ha fornito il PC a chi non ne ha ma, ciò malgrado, la scuola a distanza è discriminante.

«Questa settimana non è molto differente dalla precedente. – scrive un’allieva di terza nel diario che viene inviato alla docente di italiano – Ho preso un po’ più di confidenza con Moodle e, per chiarire i dubbi, uso le email, che avevo dimenticato da tempo, per lo scarso utilizzo che ne facevo. Negli ultimi giorni ho messo bene in ordine la mia stanza, e riesco ad aiutare i miei genitori un po’ di più. Avendoli entrambi a casa mi rendo conto di quanto sia complicato creare un clima calmo in casa. Mio fratello è quello più agitato di tutti. Sembra non capire che deve contribuire anche lui, se non vogliamo impazzire in questo mese a casa. Stiamo tutti cercando di aiutarci, anche se è difficile. Quest’esperienza del COVID-19 ci insegna che la nostra vita può cambiare da un momento all’altro, sorprendendoci. E se non siamo pronti finiamo nel panico, o nel menefreghismo, nell’ignoranza del non sapere come stanno le cose».

Il Coronavirus ha stravolto la vita degli studenti, soprattutto quelli della scuola dell’obbligo, e anche di qualche genitore. Per i più grandi, che frequentano le scuole superiori e le università, studiare da casa è più facile, a volte perfino più fruttuoso. La maturità federale, volendo, si può conseguire anche da privatista, senza passare dai licei.
La scuola dell’obbligo deve invece garantire e stimolare le relazioni tra i ragazzi e tra studenti e docenti. Il filosofo italiano Massimo Cacciari ha promosso un appello a favore della scuola in presenza, della scuola viva, sottoscritto da molti intellettuali: «la scuola non vuol dire meccanico apprendimento di nozioni, non coincide con lo smanettamento di una tastiera, con la sudditanza a motori di ricerca. Vuol dire anzitutto socialità, in senso orizzontale (fra allievi) e verticale (con i docenti), dinamiche di formazione onnilaterale, crescita intellettuale e morale, maturazione di una coscienza civile e politica».

«Una delle uniche cose positive del coronavirus è che, costringendo la gente a rimanere a casa, quasi nessuno si sposta più, né con l’auto, né con i mezzi pubblici e questo comporta una netta diminuzione dell’inquinamento in tutto il mondo. L’aria diventa quindi più respirabile. – scrive uno studente di quarta media – Io passo le mie giornate in isolamento facendo i compiti e gli esercizi caricati su Moodle, leggendo, mangiando, ascoltando musica, guardando film e dormendo. Quando è bel tempo e c’è il sole esco in giardino a prendere una boccata d’aria, altrimenti resto tappato in casa. Durante il giorno chiamo i miei zii e i miei nonni annoiati raccomandandogli ripetutamente di non uscire di casa.
Penso che la scuola a distanza utilizzando la piattaforma Moodle sia un buon metodo di lavoro, in queste situazioni, dove non si può né uscire né vedere nessuno al di fuori delle mura di casa, ed è molto funzionale, a meno di qualche problema tecnico, per esempio l’assenza della connessione wifi. Secondo me la cosa che funziona meno nella scuola a distanza sono le lezioni virtuali, che mi sembrano meno efficaci delle lezioni in classe, soprattutto se bisogna affrontare dei nuovi argomenti, sono più difficili da capire. Invece è molto funzionale nel caso degli esercizi, perché dopo averli fatti si possono rimandare al docente sempre tramite Moodle. Però spero che questa situazione riguardante il coronavirus finisca presto e che si possa ritornare alle normali abitudini».

Lunedì 11 maggio sono riprese le normali abitudini, o quasi. Infatti le scuole sono state riaperte e studenti e professori sono tornati alle loro attività nelle aule, anche se a ritmi ridotti e con classi dimezzate, per rispettare le norme di sicurezza antivirus. I ragazzi hanno ritrovato il piacere delle relazioni e degli incontri. La scuola che convive con il Coronavirus è diversa, con meno ore di lezione, più lavoro da casa, e senza la pressione dei test. Chissà, forse una scuola più leggera ed essenziale può essere migliore, anche perché ci sono meno allievi per classe.