Si fa presto a dire «per caso»

Un fenomeno casuale non è prevedibile, non è però vero che ogni fenomeno imprevedibile sia casuale
/ 14.09.2020
di Massimo Negrotti

Quando usiamo la parola «caso», l’espressione «per caso» o altre simili, ci capiamo benissimo ma, costretti a definire compiutamente il loro senso, corriamo il rischio di cadere in un grosso equivoco. In effetti, la maggior parte di noi pensa che un fenomeno «casuale» sia sostanzialmente un fenomeno imprevedibile. In realtà, se un fenomeno casuale non è sicuramente prevedibile non è vero che ogni fenomeno imprevedibile sia casuale. Trovarci su un ascensore che si blocca è, per noi, un fastidioso evento casuale ma il guasto, imprevedibile, è sicuramente dovuto a qualche difetto o rottura determinata da cause perfettamente ricostruibili nel momento in cui l’ascensore sarà esaminato dai tecnici. Il corsivo con cui ho scritto il termine «determinata» ha un senso preciso perché richiama il determinismo ossia una categoria fisica e filosofica secondo la quale, nel mondo naturale, nulla avviene per caso bensì secondo rigorosi rapporti di causa ed effetto. L’avvento della fisica quantistica ha posto in crisi il determinismo, secondo il quale sarebbe sufficiente conoscere lo stato iniziale di un sistema per prevedere la sua evoluzione in ogni dettaglio, e ha introdotto, a partire da Werner Heisenberg, l’indeterminismo, secondo il quale, sul piano dei fenomeni micro-fisici, nulla è possibile stabilire se non in termini probabilistici e, dunque, riservando al caso un ruolo decisivo. 

Lasciando ai fisici e ai filosofi il dibattito, tuttora aperto, è però importante ricordare che, in fisica, è stato proposto il concetto di «casualità intrinseca» per ipotizzare che il probabilismo possa non dipendere solo dalla nostra incapacità a descrivere compiutamente gli stati iniziali, bensì dall’attitudine intrinsecamente casuale delle particelle nella loro dinamica.

Tornando sul piano degli eventi umani, lontano dal mondo micro-fisico, determinismo e probabilismo si prestano comunque a considerazioni di varia natura, tutte quante curiose e interessanti. Partiamo dal riadattamento di una esemplificazione, dovuta ad Aristotele. Poniamo che, all’insaputa l’uno dell’altro, Mario si diriga al mercato per acquistare il pesce e l’amico Giulio faccia altrettanto per acquistare insalata. Poniamo inoltre che Giulio debba restituire a Mario una piccola cifra avuta in prestito. Al mercato, Mario incontra Giulio che potrà così saldare il debito. Chiunque dirà che l’evento è avvenuto «per caso» e, infatti, né Mario né Giulio l’avevano preordinato. Eppure i due eventi – l’andata al mercato dei due amici – sono eventi deterministici poiché nessuno dei due ha detto a se stesso «probabilmente andrò al mercato» in quanto la loro decisione è stata perfettamente programmata e attuata. Dunque, siamo di fronte ad un fenomeno che definiamo casuale – l’incontro – originato dall’incrocio di due eventi deterministici. Come si esce da questa contraddizione? Immaginiamo allora che Antonio, un amico di Mario e Giulio e che sapeva del piccolo debito, abbia visto dalla finestra di casa sua il cammino dei due amici verso il mercato, e abbia così potuto prevedere l’incontro e il saldo del debito.

In questa circostanza, l’informazione sulle condizioni iniziali avrebbe consentito la previsione senza bisogno di mobilitare il caso. La conclusione è che la vicenda di Mario e Giulio, come qualsiasi altra nella vita quotidiana, può essere analizzata a vari livelli: quello di Mario e Giulio che comprensibilmente citeranno il caso, e quello, reale o potenziale, di chiunque avesse avuto fin dall’inizio informazione precisa su ciò che stava accadendo. La vera casualità, allora, sussisterebbe solo se un fenomeno fosse imprevedibile ad ogni possibile livello di osservazione e dunque di informazione, reale o potenziale. Naturalmente ciò non è fattibile da parte dell’uomo poiché, per farlo, dovremmo avere accesso ad una quantità pressoché illimitata di rilevamenti. 

Tuttavia qui torna ad essere utile la casualità intrinseca delle particelle. Come abbiamo detto, si tratta di un fenomeno naturale microscopico ma alcuni si chiedono se esso non implichi qualcosa anche sul piano dei fenomeni macroscopici, dato che il confine fra il micro e il macro non è sicuramente drastico. Si può pensare, insomma, che il caso giochi un ruolo rilevante al livello micro ponendo in essere condizioni iniziali sulla base delle quali, poi, un sistema evolva secondo le regole della fisica classica, ossia deterministiche, come già proposto da Jacques Monod.

Quello che accade nel nostro cervello quando ci viene un’idea originale, potrebbe dipendere da eventi casuali al livello più elementare dei nostri neuroni, capaci di innescare una cascata di fenomeni deterministici che alla fine portano ad una manifestazione cosciente e comunicabile. In fondo, si tratterebbe di mutamenti governati da una logica simile a quella descritta persuasivamente dall’evoluzionismo darwiniano.

Tutto questo, come si vede, ci porta assai lontano dal riferimento generico con cui ci misuriamo quotidianamente e nel quale l’impiego del termine «caso» indica semplicemente la nostra impossibilità di seguire passo a passo ciò che accade, come per il gioco del lotto, per eventi inattesi o magari per i moti browniani (moti disordinato di particelle in un fluido, osservabili al microscopio). Il problema affascinante che pone il trattamento del concetto in questione consiste nell’accertare, almeno teoricamente, fino a che punto sia pensabile un modello entro il quale il caso intrinseco e la dinamica deterministica non siano alternativi ma collaborino incessantemente, assegnando al primo il ruolo input e alla seconda quello di output.

Se così fosse, avrebbe ragione il matematico Ivar Ekeland quando sostiene che il caso sembra essere «il dato fondamentale, il messaggio ultimo della natura». Se ciò fosse vero, e sembra proprio esserlo, allora almeno una delle espressioni quotidiane che adottiamo acriticamente meriterebbe di essere posta al centro di una seria discussione. In effetti, quando diciamo «il caso ha voluto che…» potremmo alludere ad una entità davvero reale, un motore sempre attivo che vuole, decide e muta le condizioni di qualsiasi sistema di variabili entro cui ci troviamo.