Questa è una storia molto lunga. Non soltanto perché inizia nell’ormai lontano 1853, anno della fondazione del primo «gabinetto di storia naturale» progenitore dell’attuale omonimo Museo cantonale. Ma anche e soprattutto perché questo museo aspetta da troppo tempo una sua casa definitiva. Una nuova sede che possa permettere alle diverse attività di questa istituzione di sbocciare definitivamente. Una svolta più volte ventilata, spesso auspicata ma mai concretizzata. E così oggi questo museo cantonale – in cui giace oltre mezzo milione di reperti naturalistici – è costretto a vivere negli spazi angusti del «palazzetto delle scienze», di fianco al Liceo 1 e alla Scuola media di Lugano.
«Sono stato nominato direttore di questo museo nel 1995 – ci dice Filippo Rampazzi – E già allora, 22 anni fa, si parlava di una nuova sede per i nostri spazi espositivi e per le nostre attività di ricerca e di documentazione. Tante promesse, tanti progetti ma alla fine non se ne è mai fatto nulla». E così oggi il museo è praticamente in una situazione che potremmo definire di «soffocamento costante», costretto a muoversi qua e là per cercare un po’ di ossigeno. «Molto spesso siamo obbligati a cercare spazi esterni se vogliamo organizzare mostre e esposizioni. – continua il direttore Rampazzi – Da una parte si tratta di un aspetto positivo, perché in questo modo siamo presenti in tutto il canton Ticino. D’altra parte però queste mostre diffuse sul territorio ci costano parecchia energia e sforzi importanti a livello finanziario». Un esempio su tutti, l’esposizione organizzata nel 2007 al Castelgrande di Bellinzona su «Ötzi, l’uomo venuto dal ghiaccio» e allestita in collaborazione con il Museo di Bolzano.
«Tutto questo va bene ma alla fine corriamo il rischio di perdere anche una parte delle nostra visibilità perché noi allestiamo le mostre ma i meriti a volte vanno ad altri: alle città che ci ospitano o ad altre istituzioni che ruotano attorno ad un evento di questo tipo».
Guardando alla sua storia questo museo era comunque nato sotto i migliori auspici, creato da una delle figure di maggior spicco dell’Ottocento ticinese: il politico e naturalista Luigi Lavizzari. Nato a Mendrisio nel 1814, questo figlio di un farmacista andò a studiare scienze naturali dapprima a Pisa e poi alla Sorbona di Parigi, fatto decisamente straordinario per quel periodo storico. Rientrato in Ticino intraprese la carriera politica, dapprima in Gran Consiglio e poi, per diverse legislature, in seno al Consiglio di Stato. Divenne poi professore di storia naturale e di chimica nell’allora unico liceo pubblico del canton Ticino, a Lugano. Proprio qui nel 1853 Lavizzari fondò l’embrione dell’attuale Museo di storia naturale, allora chiamato Gabinetto delle scienze, in cui confluì la sua collezione privata, con reperti naturalistici scovati e raccolti nelle sue innumerevoli escursioni lungo tutto il territorio del canton Ticino, affinché servissero per l’insegnamento delle materie scientifiche.
Alla sua morte le sue collezioni furono cedute dalla moglie allo Stato, per essere poi vendute alla società del Grand Hotel di Locarno. Solo 25 anni dopo esse confluirino nel Museo di archeologia e di storia naturale, fondato da Emilio Balli, un altro naturalista ticinese che visse a cavallo tra Ottocento e Novecento. «Morto il Balli tutto quanto ritornò a Lugano», ci dice Filippo Rampazzi. Segno già allora di come il canton Ticino si sarebbe poi diviso sulla gestione e l’organizzazione di questo museo, conteso di volta in volta tra le varie realtà regionali del nostro cantone. «Molti ne parlano, diversi lo vogliono, nessuno lo prende» aggiunge sorridendo Rampazzi, citando quello che negli anni è ormai diventato un ritornello tra i collaboratori del museo.
Le cifre di questa istituzione scientifica parlano comunque di una storia di successo, basti dire che il museo è visitato da trecento classi scolastiche all’anno, per un totale di seimila allievi. «Anche volendo non possiamo fare di più, proprio a causa degli spazi limitati – sottolinea il direttor Rampazzi – L’interesse comunque è molto alto. Quando annunciamo le nostre iniziative per le scuole i posti a disposizione vanno a ruba, nel giro di 24 ore siamo già al tutto esaurito». E di successo è anche, in particolare, l’attività di ricerca del museo, per esempio nelle campagne di scavo sui giacimenti fossiliferi del Monte San Giorgio (dichiarati dall’UNESCO patrimonio mondiale dell’Umanità) o per le molte ricerche sulla biodiversità del cantone, che hanno fatto di questa istituzione l’antenna per il sud delle Alpi dei Centri svizzeri di studio e monitoraggio della flora e della fauna. Ciò è di assoluta rilevanza per un cantone come il Ticino che non possiede una facoltà accademica nel campo delle scienze naturali.
Il Museo si è progressivamente affermato anche nelle prestazioni a terzi, attraverso la realizzazione di numerose strutture didattiche e turistiche dislocate sull’intero territorio cantonale. 18 i dipendenti fissi del museo cantonale, non tutti a tempo pieno. Un numero che sale a 30 se si contano i collaboratori esterni o su mandato, comprese le persone che partecipano a programmi occupazionali o che svolgono il servizio civile, senza contare i dottorandi e i diplomandi. A livello finanziario il museo pesa sui conti cantonali per un totale, tra spese e ricavi, di circa 2 milioni e 300mila franchi, questa la cifra per il 2015. E questo al netto di alcune misure di risparmio.
«Per quanto ci riguarda negli ultimi anni i tagli maggiori hanno interessato soprattutto l’ambito della ricerca e della divulgazione, con una riduzione dei crediti attorno al 30%. Nel 2017 è previsto però un aumento dei fondi a disposizione» ci dice il direttor Rampazzi. E il 2017 dovrebbe anche essere l’anno della grande scelta, per definire la nuova ubicazione della nuova sede del museo, dopo il concorso lanciato dal Cantone e a cui hanno partecipato ben sei località ticinesi. «Siamo una sposa o una preda ambita – fa notare il direttore – E di questo non posso che essere contento. Il museo è conosciuto e ha una buona reputazione, per questo molte regioni lo vedono anche come una sorta di volano turistico e economico».
Siamo comunque alla casella di partenza di un nuovo lungo percorso che coinvolgerà anche il Gran Consiglio e quindi il mondo politico ticinese, dopo che gli ultimi vent’anni sono di fatto trascorsi senza portar frutto, soprattutto a causa dell’assenza di una chiara volontà politica a sostegno delle scienze naturali. Un vuoto decisionale a cui vanno aggiunte le tradizionali e sterili rivalità tra una regione e l’altra del canton Ticino.
«Io continuo ad essere fiducioso, nel senso che qualcosa succederà, fosse solo per le contingenze legate allo stabile in cui ci troviamo. Da qui noi, in un modo o nell’altro, dobbiamo andare via», sottolinea Filippo Rampazzi, facendo riferimento al possibile futuro del «palazzetto delle scienze», forse destinato a soddisfare le esigenze di spazio di liceo e scuola media. «Tra dieci anni andrò in pensione, spero che mi inviteranno all’inaugurazione del nuovo museo», conclude il direttore, facendo un po’ amaramente anche notare che troppo spesso in Ticino per portare in porto un progetto «ci vuole una generazione».
E chissà cosa potrebbe pensare Luigi Lavizzari di quello che è stato il percorso della sua creatura, lui che pensando alle montagne del canton Ticino scrisse: «quivi lo spirito esulta e si corrobora, quivi tace l’ira nemica, né giungono le onde di una volubile politica». Già la volubile politica... tocca a lei ora dare una sede e un futuro sostenibili a questo museo.