Quel momento in cui, mangiando, il cibo ci «va di traverso» è quanto di più fastidioso e sgradevole ci possa capitare. Almeno una volta ci siamo passati praticamente tutti e ricordiamo di aver provato quella terribile sensazione, spesso associata al senso di soffocamento, di non riuscire a respirare a tal punto che questa situazione a certe persone ha causato veri e propri attacchi di panico.
Esistono poi alcune categorie di persone più a rischio per quanto riguarda il non riuscire a deglutire a dovere liquidi o cibo solido. Fra queste, bambini e anziani sono proprio quei soggetti che meritano particolare attenzione.
In realtà, la difficoltà a deglutire (disfagia) colpisce a ogni età e può essere causata da problemi occasionali (ad esempio una masticazione scorretta) o dipendere da alcune patologie che richiedono trattamenti specifici. Alla Clinica Hildebrand – Centro di riabilitazione di Brissago – ne parliamo con il capo reparto di logopedia Yuri Gallo e col capo clinica e specialista in pneumologia Giovanni Mazzucchelli che così riassume gli obiettivi della presa a carico di pazienti con una diagnosi di questo tipo: «La cura della disfagia mira al recupero della deglutizione e della funzione respiratoria, con lo scopo di migliorare la qualità di vita del paziente».
Questi disturbi «sono innanzitutto un problema frequente nelle persone che hanno subito un danno cerebrale, e si possono manifestare con movimenti involontari della muscolatura faringea, un controllo ridotto o ritardato della lingua o il singhiozzo incontrollato». Non si limita solo a questo tipo di pazienti: «La disfagia si può evidenziare anche nelle persone con una malattia neurodegenerativa, in presenza di un evento cerebrovascolare (come un ictus), nei pazienti che hanno subito un intervento nel tratto orale-faringeo o esofageo (asportazione di un tumore), in quelli a lungo degenti nelle Cure intensive e assistiti dalla respirazione artificiale o tracheotomizzati (a causa della cannula)».
Il logopedista Yuri Gallo mette in guardia: «Un disturbo della deglutizione può costituire un rischio elevato per la salute e una limitazione più o meno grave della qualità di vita: inevitabilmente possono sorgere problemi riguardanti l’alimentazione, l’assunzione di cibo, la gestione di una cannula tracheale e le idonee procedure terapeutiche». Egli ricorda che durante il giorno deglutiamo in media due volte al minuto (di notte una volta). Ciò giustifica l’importanza del deglutire: «Un atto spontaneo che mette in moto una serie di muscoli in perfetta coordinazione ed equilibrio, e funziona a fasi: preparazione del cibo, masticazione, spinta del cibo nell’esofago (cibo e liquidi non scendono per gravità ma per movimento peristaltico) che giunge al bivio fra vie respiratorie e vie digestive dove viene convogliato».
Se qualcosa «va storto» e il tutto va verso i polmoni «si attivano i campanelli d’allarme come tosse, spesso violenta, che è il sintomo principale in quanto automatismo difensivo. Talvolta la disfagia è accompagnata da dolore locale, soffocamento durante la deglutizione, rigurgito, vomito, sensazione di corpo estraneo nella gola, ansia, dolore retrosternale e peggioramenti successivi come la polmonite».
Attenzione però pure alle persone per cui questa disfunzione sarebbe insospettabile: «Spesso sono gli anziani: potrebbero presentare segni o sintomi anche non molto evidenti tra i quali una riduzione di peso, autonome modifiche alla consistenza dei cibi (necessità di pasta ben cotta), qualche linea di febbre non giustificata (anche qualche lineetta) e un leggero gorgoglio udibile all’orecchio attento».
Gallo suggerisce una valutazione clinica preventiva anche per questi, perché è importante diagnosticare e curare la loro disfagia, sebbene non particolarmente evidente: «Uno screening orientato a valutare lo stato cognitivo, la postura e altri parametri può permettere di guidare i curanti verso approfondimenti ed esami ancora più approfonditi». Ce ne parla il dottor Mazzucchelli: «Con una corretta anamnesi, e al manifestarsi di un’importante disfagia, ci si orienta verso un esame diagnostico (TAC, RMI) a dipendenza del quadro clinico; mentre di grande importanza sono gli esami endoscopici la cui scelta compete al medico o all’équipe curante».
Ad ogni modo, per le persone a domicilio, nel caso in cui si sospettasse una lieve disfagia, il consiglio dei due specialisti è quello di indirizzarsi al proprio medico curante che a sua volta valuterà la visita di un otorino o di un foniatra. Questo a causa dei rischi – come spiega il medico – «legati soprattutto all’impegno delle vie aeree con conseguenze talora gravi di soffocamento». Mentre il logopedista ricorda che «bisogna inoltre contrastare la malnutrizione che la disfagia può comportare, ed eventuali infezioni bronco-polmonari o delle vie aeree alte».
Mazzucchelli indica che la presa a carico di questi pazienti varia considerevolmente in base alla gravità della patologia stessa: «Se parliamo di tumori del cavo orale, faringeo, laringeo o dell’esofago, la cura sarà mirata a risolvere queste patologie e potrà anche essere chirurgica, radiante o chemioterapica (in multidisciplinarietà o meno), e comunque porrà talora problemi di recupero il cui percorso sarà seguito dall’équipe di logopedia e da fisioterapisti specializzati».
Dal canto suo, il logopedista parla delle cure nella disfagia funzionale e motoria: «Si cercherà di migliorare la funzione con terapie riabilitative ad hoc: attività multidisciplinare neuro riabilitativa e di logopedia con rieducazione graduale della deglutizione, del linguaggio, della parola e della voce. Questo, modificando ad esempio consistenza e frequenza dei pasti, con l’uso di diete specifiche e personalizzate, finché i pazienti riescano a raggiungere una “nuova normalità” del nutrirsi per bocca, subordinata comunque alla nuova condizione dopo l’evento che, fra le altre cose, ha causato la disfagia».
Di fatto, bisogna considerare quella che egli definisce: «una nuova normalità dopo una malattia, in cui bisogna considerare un residuo di problematiche e menomazione». Un percorso, ricorda, non privo di difficoltà: «Anche l’assunzione di liquidi e delle pastiglie necessarie alle terapie può rappresentare un problema di deglutizione che siamo chiamati a valutare e a risolvere al meglio».
Importante è la sintonia del paziente coi curanti: «Ci accordiamo, spiegandogli la sua nuova normalità e portandolo al risultato con lui concordato lungo il percorso di recupero. Qualcosa è cambiato, magari non potrà più mangiare la pastina in brodo, ma quando è arrivato da noi forse aveva un sondino e non si alimentava affatto in modo naturale». È comunque appurato che «gli esercizi della terapia della deglutizione sono efficaci ed è difficile che il paziente non risponda alla terapia che, alla dimissione dalla Clinica, lo porterà verso un nuovo equilibrio impossibile da raggiungere senza la riabilitazione: una condizione molto migliore rispetto al punto di partenza».