Se il gioco è un problema

Donne giocatrici – Un saggio raccoglie studi internazionali, tra i quali uno condotto in Ticino, sul gioco d’azzardo problematico visto da una prospettiva femminile
/ 15.01.2018
di Roberta Nicolò

Esistono differenze tra uomini e donne nell’ambito del gioco d’azzardo problematico? Le donne hanno un diverso approccio al gioco rispetto agli uomini? A queste domande cerca di dare una risposta il saggio curato da Henrietta Bowden-Jones e Fulvia Prever, dal titolo Gambling Disorders in Women: An International Female Perspective on Treatment and Research, che offre appunto la prospettiva femminile sul tema del gioco d’azzardo. Il libro raccoglie studi internazionali di professioniste provenienti da ogni continente per mettere a sistema e sviluppare delle strategie d’intervento adatte alle donne.

«Le donne giocatrici hanno caratteristiche peculiari e nella maggior parte dei casi abbiamo notato che hanno maggiore difficoltà a chiedere aiuto ai servizi preposti – racconta Fulvia Prever – per le donne è più difficile fare outing e per potersi affidare hanno bisogno di un contesto meno connotato. All’interno della famiglia la donna ha un ruolo diverso da quello dell’uomo e, laddove si sviluppa una dipendenza, abbiamo notato che è perlopiù legata a problemi relazionali. Queste differenze sono uno dei motivi per i quali il numero di casistica riscontrato dagli studi classici, sviluppati all’interno dei servizi e dei percorsi presenti nella maggior parte dei paesi, evidenzia un basso numero di giocatrici problematiche rispetto al numero di uomini. La realtà è che le donne con problemi di gioco sono presenti nei vari paesi, ma spesso non rientrano nella casistica studiata: ecco perché servono degli studi di genere su questo tema. Un team di esperte al femminile favorisce la presa di contatto e garantisce un risultato migliore».

Le esperienze sviluppate in ambito di accompagnamento delle donne con problemi di gioco ha messo in evidenza questa necessità. Gruppi di ascolto con percorsi terapeutici che vadano in profondità e che comprendano una narrazione di sé, sono basilari per dare alle giocatrici il giusto contesto per poter chiedere aiuto. «Spesso – spiega la nostra interlocutrice – la donna non ha alle spalle il supporto necessario per affrontare il suo problema, le manca una rete famigliare capace di darle sostegno. In molti casi la storia delle giocatrici denota una situazione di disagio dato da violenza psicologica o fisica, da relazioni problematiche o dalla solitudine. La donna ricerca nel gioco una fuga. Uno sfogo. L’incidenza ha anche una connotazione fortemente legata alle tappe della vita: l’arrivo della menopausa, il pensionamento, la vedovanza o la sindrome del nido vuoto sono momenti delicati nella vita di una donna che possono metterla in una situazione di maggiore fragilità emotiva. Infatti la maggior parte delle donne con problemi di gioco ha un età che supera i cinquant’anni. Ecco perché nell’accompagnamento occorre lavorare molto sulle relazioni. C’è anche una sostanziale differenza nella tipologia di gioco scelto dalle donne rispetto agli uomini. Le prime prediligono giochi che hanno una funzione compensativa, sono giochi alienanti, mentre per l’uomo la ricerca di stimolo è una delle maggiori attrattive. Nella mia esperienza “sganciare” una donna che ha sviluppato una problematica di gioco è spesso più difficile».

Per la Svizzera il contributo a questo saggio arriva da uno studio ticinese condotto da Anna-Maria Sani del Gruppo Azzardo Ticino Prevenzione e dell’Istituto di Ricerca sul Gioco d’Azzardo. Lo studio ha evidenziato le particolarità e le differenze delle giocatrici fra chi richiede un supporto terapeutico specializzato e in particolare sull’uso fatto dalle donne dello strumento dell’esclusione volontaria. L’esclusione volontaria è un contratto stipulato tra il giocatore e la casa da gioco, in cui il giocatore si impegna a non accedere alla sala da gioco per un determinato periodo di tempo. L’obiettivo principale dell’esclusione volontaria è di impedire l’accesso fisico ai giochi in modo da permettere un autocontrollo sul proprio comportamento. La popolazione dello studio comprende 86 giocatrici che hanno richiesto e ottenuto una riammissione al gioco (dopo un periodo di esclusione) nei Casinò ticinesi di Mendrisio, Lugano e Locarno tra il 2007 e il 2014.

«Con questa analisi abbiamo potuto tracciare il profilo sociale delle donne giocatrici e comprendere l’efficacia dello strumento dell’esclusione volontaria per questa categoria – spiega Anna-Maria Sani – Abbiamo potuto constatare che, anche nel nostro paese, le fasce di età più presenti tra le donne sono quelle dai 41 ai 50 anni (38%) e dai 51 ai 60 anni (24%).Tra coloro che hanno fatto richiesta di esclusione volontaria il 49% è sposato, il 19% divorziato e il 15% celibe. Il 72% delle donne coinvolte nell’indagine ha figli e il 30% ha figli minorenni. Il gioco che viene prediletto dalle donne che frequentano i Casinò è quello delle slot machines, un gioco che non prevede abilità e che dà un risultato immediato. Durante i colloqui di riammissione è emerso che più della metà delle donne giocatrici utilizzava il gioco come mezzo di fuga dai problemi quotidiani esistenziali. Una tipologia simile è stata riscontrata nelle giocatrici che richiedevano un supporto terapeutico specializzato a Losanna. Un dato per noi importante è che la maggior parte di queste giocatrici richiedono l’esclusione volontaria per motivi preventivi. Vedono quindi questo come uno strumento utile a prevenire comportamenti potenzialmente problematici, mentre solo per una piccola percentuale si tratta di uno strumento di effettivo controllo su un problema già esistente. Un dato che dimostra che il programma di esclusione volontaria nei casinò ticinesi viene utilizzato in maniera importante anche da giocatori sociali. Sicuramente la buona informazione alla clientela sui programmi di esclusione da parte dei casinò svizzeri ha un ruolo importante per la prevenzione del gioco in Svizzera» conclude Sani.

Il testo cerca dunque di costruire una cultura di confronto e di integrazione, che trovi, anche attraverso le differenze socioculturali e antropologiche, una via per promuovere nuove indagini e strumenti di cura mirati rispetto ad un problema che la globalizzazione ha reso trasversale.