«È stata una giornata molto forte. Sin dalle prime ore del mattino ho girato le vie della città in bici e a piedi. Volevo documentare le diverse iniziative e le tante persone che manifestavano. È stato molto stimolante fotografare tanti momenti e situazioni differenti. In Svizzera non si vedono tutti i giorni manifestazioni così partecipate, cariche di emozioni, avvolte in una potente atmosfera, incredibilmente creativa, spiritosa e intelligente. Ci univa uno speciale spirito solidale che è rimasto nell’aria per molti mesi e ogni volta che guardo le nostre fotografie le emozioni forti riaffiorano».
Chi di noi non ricorda il 14 giugno del 2019, quel giorno di cui la fotografa zurighese Caroline Minjolle ci ha appena raccontato? Insieme alla fotografa bernese Yoshiko Kusano e alla fotografa losannese Francesca Palazzi è editrice del libro fotografico uscito in francese e in tedesco, Noi, fotografe al centro dello sciopero femminista, risultato del lavoro collettivo di 32 fotografe provenienti da tutta la Svizzera, Ticino incluso, grazie alla partecipazione della fotografa Sabine Cattaneo. Il volume è stato presentato a Berna, per l’occasione c’era anche la presidente della Confederazione Simonetta Sommaruga («che onore! La sua presenza ha significato molto per tutte noi. Ci ha dimostrato la validità del nostro impegno e della nostra iniziativa»).
Pure i media se ne sono accorti, la «NZZ am Sonntag» e il «Tages-Anzeiger» per citarne due – nei giorni scorsi ne hanno ampiamente dato conto. Secondo Francesca Palazzi «siamo in un momento in cui i giornali volevano parlare di altro che non del virus e gli abbiamo servito il tema su un vassoio d’argento. Ma l’interesse è dovuto anche alla qualità del progetto. La rilegatura, la sequenza delle fotografie, siamo state attente a curare i dettagli e questo si vede, si vede la forza messa da tutte noi nell’intento di restituire un ritratto completo della pluralità di sguardi, vissuti, identità e competenze». Il collettivo femminile nato su iniziativa di Yoshiko Kusano si è costituito e ha iniziato a lavorare insieme già prima dello sciopero. «Nei giorni precedenti la manifestazione abbiamo contattato le diverse redazioni giornalistiche della Svizzera romanda e della Svizzera tedesca informandole che il giorno dello sciopero tramite l’agenzia fotografica freshfocus.swiss avremmo fornito una ricca documentazione. Le invitavamo ad acquistare le nostre foto» racconta Francesca Palazzi. Così a fine giornata il collettivo ha messo a disposizione 5000 fotografie ma gli unici a pubblicarle sono state la «Woz» e il «Blick». «Nell’ottica di ciò che si stava rivendicando sarebbe stato bello se i media si fossero mostrati solidali» commenta Francesca Palazzi. Da qui l’idea del libro per mostrare «le donne viste dalle donne».
Caroline Minjolle, oggi principalmente attiva in ambito culturale con mandati da parte di varie istituzioni, un tempo era fotogiornalista a tempo pieno. Le sue foto venivano pubblicate su «Le Temps», «L’Hebdo» e altri. «Diverse testate per le quali lavoravo oggi non esistono neanche più e quelle rimaste non hanno più le risorse. Un tempo ti chiedevano le tue foto anche per le critiche musicali o per le recensioni degli spettacoli di danza, ora si dà per scontato che il materiale fotografico venga consegnato a costo zero insieme all’articolo o fornito dagli organizzatori dell’evento in questione».
Inoltre, storicamente quello del fotogiornalismo è sempre stato un settore maschile, lo è ancora? «Quale ambito non lo è?», risponde sarcastica Caroline Minjolle. In proposito c’è uno studio delle Università Stirling e Oxford in collaborazione con la World Press Photo Foundation che ha analizzato i dati di 545 donne fotogiornaliste provenienti da 71 paesi diversi dal quale si evincono diversi elementi: l’esistenza stessa del fotogiornalismo è a rischio, continua ad essere un settore a prevalenza maschile, economicamente è una professione sempre meno sostenibile nella quale le donne, pur vantando una migliore formazione, continuano ad essere meno presenti rispetto ai colleghi uomini e sono sottorappresentate. Il titolo dello studio pubblicato nel 2018 la dice lunga: La crisi di gender nel fotogiornalismo femminile: l’assenza dello sguardo femminile?
L’edizione di quest’anno dello Swiss Press Award è andata al fotografo Yves Leresche della rivista «L’Illustré» proprio con una foto sullo sciopero. Sarebbe andata diversamente se le foto del collettivo femminile fossero state pubblicate?
Sabine Cattaneo, classe 1986, luganese di origine, ha vissuto a Parigi dove le dimostrazioni sono all’ordine del giorno. Non in Svizzera, meno che mai in Ticino: «qui siamo più riservate, lontane dalle donne della Svizzera tedesca con i loro cartelli scioccanti». Tra le sue immagini c’è quella scattata durante il pranzo sulla piazza luganese del municipio. Mostra una bimba che tiene la mano di una donna e indossa una maglietta con la scritta The girls will change the world. «In questa foto c’è l’idea del passaggio di testimone alle giovani generazioni che mi auguro non debbano più manifestare per le stesse rivendicazioni».
Nel libro ogni fotografa racconta la sua storia. Alla zurighese Johanna Bosshart «sono rimaste impresse le tante donne con i loro bimbi sulle spalle». Sua mamma partecipò allo sciopero del 1991. Da nord a sud tutte in qualche modo sono rimaste colpite dai colori: «Basilea sembrava essere caduta in una latta di colore. C’era del viola ovunque».
Annette Boutillier da Berna racconta di un’intera giornata in giro per la città «cavalcavo un’onda di energia e solidarietà. Si percepiva tanta consapevolezza e spirito combattivo. Ho partecipato allo sciopero del 1991 ma questo è stato diverso, c’erano più persone, molti giovani, donne consapevoli con rivendicazioni chiare e trasparenti. Qualcosa si è mosso».
Quel qualcosa è ora immortalato nelle splendide immagini che parlano di noi, di quel giorno, della nostra forza e delle nostre rivendicazioni. E ci ricorda, all’indomani della crisi pandemica, che lo sciopero è tutti i giorni e lo sarà ancora per molti giorni a venire.
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