In Svizzera i disturbi psichici sono considerati malattie frequenti e in evoluzione. I dati del Rapporto dell’Osservatorio svizzero della salute (2015) indicano che quasi il 17 per cento della popolazione ne soffre: una persona su sei, che si traduce in circa sette miliardi di costi generati nell’ambito sanitario.
«La donna tende a manifestare il proprio malessere attraverso disturbi ansioso-depressivi e disturbi legati all’alimentazione, mentre l’uomo tende a riprodurre atteggiamenti legati alle dipendenze, come ad esempio alcolismo, gioco d’azzardo, suicidio e disturbi della personalità», è la premessa della psicologa e psicoterapeuta FSP Nadine Maetzler, con la quale abbiamo approfondito il delicatissimo tema del saper chiedere un sostegno adeguato, donna o uomo che siamo, quando ci troviamo in difficoltà.
Per meglio comprendere l’ambito di queste patologie dobbiamo risalire innanzitutto al cosiddetto modello bio-psico-sociale: «Consideriamo la malattia come risultato multifattoriale di differenti dimensioni interdipendenti e possiamo distinguervi una componente biologica che ne indica una predisposizione, una componente psicologica che ha a che fare con il carattere, le emozioni, l’autostima, le proprie risorse e attitudini, l’abilità intellettiva, e infine abbiamo una componente sociale che ha a che vedere con la famiglia, il lavoro, la scuola, le relazioni e i contatti sociali».
La specialista evidenzia in tal modo i tanti fattori interattivi che si muovono in un «processo molto dinamico» e fanno in modo che una persona potrebbe sviluppare una malattia piuttosto di un’altra. Le differenze fra i generi stanno sempre alla radice: «Per l’uomo il concetto di salute passa attraverso la mancanza di malattia, mentre per la donna essere sana significa vivere in un benessere psicofisico: avere buoni contatti, relazioni e sentirsi emotivamente stabile». La nostra interlocutrice focalizza in tal modo la diversità di manifestazione di un disagio psichico fra uomo e donna: «Dunque, l’uomo vede la malattia come una perdita di autonomia, di competenze e di indipendenza. Ciò fa sì che la sua manifestazione viri verso i disturbi distruttivi, l’alcol, il suicidio».
È per questo che nell’uomo viene meno la ricerca di aiuto: «Chiedere di essere sostenuto significherebbe perdere quell’aspetto funzionale che egli, per cultura, deve avere; pensiamo ad esempio come viene definito un uomo e ci viene in mente performante, competitivo, decisionale, ha uno scopo, si sa imporre e via dicendo. Nel momento in cui egli si trova in difficoltà, tutti questi begli attributi vanno stemperandosi e si ritrova in un mondo difficile da sopportare, anche e perché non riesce ad esprimere una richiesta di aiuto».
Altro discorso per l’universo femminile: «La donna tende ad esprimere il proprio disagio e prova a chiedere aiuto». Qui si parte dal presupposto che per la donna il fatto di stare bene, di sentirsi a proprio agio è vissuto come una quotidianità: «Il necessario benessere psicofisico femminile non è legato a un obiettivo, all’essere adeguata e performante come nell’uomo, ma passa attraverso un discorso di relazioni». Ecco spiegato il motivo che la spinge a chiedere aiuto e ad essere più espressiva: «Ne risulta una condivisione dei propri problemi e, non tenendosi tutto dentro, avrà l’opportunità di essere accompagnata e supportata».
Insomma, uomo e donna in difficoltà psicologica prendono strade differenti. Due pesi e due misure, per spiegare i quali, bisogna ritornare al modello bio-psico-sociale: «Non sappiamo perché questo capiti, ma sappiamo che siamo dinanzi a fattori di rischio e fattori protettivi cui uomo e donna danno una differente interpretazione. Ad esempio, per l’universo maschile, il fatto di avere una compagna è dunque un fattore protettivo, con la conseguenza che una separazione o un divorzio risultino un vero fattore di rischio per l’uomo più che per la donna». D’altra parte: «I fattori protettivi per la donna passano attraverso contatti sociali e figure di riferimento che, se mancanti, la fanno sentire abbandonata a sé stessa con il rischio di cadere in depressione».
Uscire dall’impasse e attivarsi per andare in controtendenza è possibile e il Consiglio federale, con la Strategia sanità 2020, mette in atto misure efficaci per prevenire e promuovere la salute: «Pensiamo alle Campagne di prevenzione legate al suicidio, alla depressione, come pure quelle legate all’ambiente di lavoro». Con queste azioni Confederazione e Cantoni si assumono il compito lungimirante di verificare a lungo termine i riscontri positivi delle azioni di prevenzione intraprese nei vari ambiti, ma è pure certo che il punto focale passa attraverso la responsabilizzazione dell’individuo, uomo o donna che sia: «Spesso piccoli gesti gratuiti, qualche sorriso, sforzandosi a vivere con meno astio, meno rimuginii, abbassando tutti quei fattori di rischio psicosociali, sono piccoli contributi individuali che si ripercuotono positivamente sul benessere della collettività».
Una «rivoluzione intellettuale» che dovrebbe portare l’uomo verso una maggiore richiesta di aiuto: «Non è un caso che sul territorio vi sia una maggiore disponibilità di presa a carico nell’ambito femminile: pensiamo agli sportelli e ai consultori che si fanno carico del sesso femminile piuttosto che di quello maschile».
Nadine Maetzler avverte comunque uno spiraglio in controtendenza: «Dal mio piccolo osservatorio posso affermare che ragazzi e giovani uomini cominciano a rivolgersi a noi per provare ad affrontare alcuni problemi». Questa tendenza ad andare verso la ricerca di un aiuto anche da parte maschile può essere spiegata con il fatto che, oggi, tutti i giovani svizzeri, almeno una volta nella loro vita, vedono la figura dello psicologo nella visita di reclutamento militare: «Questo è un fattore che fa ben sperare per una maggiore capacità nella ricerca di aiuto per essere presi a carico, anche per gli uomini».
In buona sostanza, la psicologa è consapevole del fatto che questo inizio di rivoluzione intellettuale non annienterà la sostanziale differenza fra uomo e donna: «Il gender ci viene comunque dato, il ruolo sessuale è quello individuale socio-culturale: la donna ha specifici compiti e comportamenti e l’uomo ne ha di differenti».
Questa maggiore apertura, unitamente alle Campagne di prevenzione e alla disponibilità all’ascolto, anche maschile, sono però un buon auspicio perché la tendenza all’aumento delle malattie psicosociali possa invertirsi. La strada passa dunque anche attraverso la capacità di saper chiedere aiuto.