Ore 23 di venerdì 23 settembre, notte della «Rsi senza filtri». Escono dallo schermo Lorenzo Mammone e Maurizio Canetta (a quest’ultimo i microfoni scippano un «bravo» e il primo meritatamente incassa). Tecnicamente la trasmissione è riuscita. Ed è vero: tutti bravi. Tanto che si è indotti a trascurare, nel senso di «non far notare», alcune cose un po’ storte. Ad esempio che il pubblico avrebbe dovuto essere non solo presente, ma anche partecipante. Invece in studio si sapeva in anticipo chi era l’eletto da invitare a parlare e quindi anche dove sarebbe andato a parare con la critica.
Cose normali di tutte le TV, si dirà; ma intanto il «senza filtri» va un po’ a farsi benedire. Anzi, va a dare ragione a Giancarlo Dillena che sul «Corriere del Ticino» ha spiegato perché un ente pubblico alla fine si vede obbligato a organizzare dibattiti e confronti senza filtri: non tanto per rispondere alle critiche, ma piuttosto per giustificare «una logica corporativa votata innanzitutto all’autoconservazione e all’estensione della propria influenza». Obiezione: in studio giungevano anche le telefonate in diretta e c’erano, sottotitolati, gli interventi via internet. Anche questo è vero. Però alle 23.08 sul sito Rsi dei commenti inoltrati dai comuni mortali che pagano la Billag (e usano i nuovi media) è comparsa la scritta «Commenti conclusi! Non potete più inviare commenti», preceduta da un lucchetto nemmeno tanto piccolo. Come dire: «I filtri sono tornati».
E allora? Allora occorre adeguarsi, limitarsi alle impressioni e seguire la formula di Achille Campanile, imparata a memoria negli anni Sessanta, quando si iniziava a guardare alla Rsi con occhio critico visto che anche da noi si palesava questo dilemma (o equivoco?) che ancora regge tutto lo scibile radiotelevisivo: a) tutti parlano male della TV; però, b) tutti si dispererebbero se la TV venisse a mancare o non fosse più distribuita.
Dopo mezzo secolo la formula di Campanile attesta che lo iato, la frattura che divide la Rsi e i suoi utenti, resiste: nonostante il ricorso ai «senza filtri» e la rincorsa alla trasparenza, le critiche all’ente restano e anzi si attorcigliano. Le difficoltà di giudizio degli utenti sono palpabili, lo conferma il mucchio di commenti raccolti via internet in circa 3 ore, con pro e contro riuniti «pesano» 12’000 parole, compresi nomi o pseudonimi. Non tanti e moltissimi si ripetono, tanto che è tristemente inutile ripercorrerli alla ricerca di qualche genuina novità. Uno solo è roba da primato mondiale: proponeva un prelievo Billag a tutti i frontalieri visto che ascoltano la radio o guardano la TV quando sono sulle nostre strade o al lavoro in Ticino! Primato mondiale a parte, è evidente che la frattura fra utenti e creatori è e resterà insanabile ancora a lungo. Il perché lo spiegava lo stesso Campanile con un distinguo: «La gente parla male non della TV, ma dei programmi televisivi», chiede miglioramenti, critica il cattivo uso. Perché allora, oltre ad abbattere filtri, non ci si preoccupa di risolvere il dilemma (l’equivoco?) di fondo? Forse perché per farlo, ognuno deve prima far pace con sé stesso…
Torniamo al lucchetto apparso alle 23.08 sul sito della Rsi. Quel lucchetto fa scendere una stupida ombra di sfiducia e diffidenza su un’operazione studiata per ridare valore e credibilità al mantra basato sulla più elementare delle regole: se si sbaglia bisogna ammetterlo e correggersi. L’ombra alimenta però il dubbio che davanti a telecamere e microfoni si sia davvero celebrato solo un sofisticato esercizio di autoconservazione, tant’è che ci si è… dimenticati di toccare qualche «concetto più alto». È infatti abbastanza sorprendente che in due ore di dialogo tutti abbiano sorvolato sulla qualità, preferendo il botta e risposta su telecronisti, frontalieri e posti di lavoro, persino sui soldi con domande sfacciate e imbarazzanti (e quanto costa questo, e perché non si risparmia di là, e quanto intasca Canetta…).
Per riparare sarebbe bastato allargare il discorso del rosario quotidiano delle repliche e chiedersi se le ore e ore di documentari, giochi e spettacoli vari, ripetuti «ad libitum», sono ancora produzione propria e servizio pubblico… Oppure, tanto per consolidare l’importanza della qualità, sarebbe stato interessante spostare il discorso anche su certi retaggi partitici che zavorrano e avvelenano le strutture dell’ente, magari prospettando la necessità di una riforma simile a quella della BBC (tipo: via tutti i membri della Corsi, pochi posti assegnati ai partiti e maggioranza eletta dai dipendenti). Evidentemente in fatto di radio-TV non siamo inglesi…