Che cos’è la giustizia riparativa? Come agisce? Il Dipartimento di Diritto, Economia e Culture dell’Università degli Studi dell’Insubria ha inaugurato nella sede di Como il primo corso di perfezionamento in giustizia riparativa e mediazione umanistica, che verrà avviato il prossimo ottobre. Per l’occasione abbiamo avvicinato la Direttrice scientifica del corso, la docente di diritto Grazia Mannozzi, che ci ha permesso di fare un viaggio in un nuovo paradigma, una rivoluzione silenziosa che sta prendendo sempre più piede a livello internazionale. Il tentativo di una risposta costruttiva a qualcosa di distruttivo.
Iniziamo a mettere le coordinate temporali del fenomeno. Dottoressa Mannozzi, da quanto tempo si parla di questo tema? E come ha cambiato l’approccio ai temi della giustizia?
Almeno dalla metà degli anni Settanta. Negli anni è maturato un modo nuovo e una sensibilità profondamente rinnovata verso il tema dei conflitti. Si tratta, in pratica, di una sorta di ripersonalizzazione della dimensione della giustizia, in quanto il reato sempre di meno viene letto come la pura violazione di una norma giuridica e sempre di più è accostato a una violazione dei diritti dell’uomo.
Cosa cambia, nel concreto?
Prima i conflitti originati da un reato avevano una sola modalità di gestione, quella penalistica. Essa si basa sull’assunto della ritorsione, della vendetta, del rendere male al male. La vendetta è anche una cosa sensata quando questa viene assunta dallo Stato, perché dà delle risposte che tutelano le vittime. Allontanare, isolare l’autore del reato significa creare immediatamente condizioni di sicurezza per i cittadini, condizioni che però non di rado vengono smentite nel breve o nel lungo termine; spesso il carcere non restituisce alla società un soggetto capace di convivenza pacifica e reimmette nel circuito sociale potenziali criminali. La giustizia riparativa, dal canto suo, insegna che ai conflitti si può guardare in modo diverso, cercando risposte costruttive a eventi distruttivi. Il reato è per definizione un evento distruttivo, ma non per questo la sanzione deve essere tale. La sanzione distruttiva, per esempio, non restituisce niente alle vittime.
Ma che cos’è quindi la giustizia riparativa?
Posso iniziare dicendo quello che la giustizia non è. Non è una giustizia buona o buonista. Non promuove il perdono o necessariamente la riconciliazione. La giustizia riparativa è una buona forma di giustizia che ha come primo obiettivo prendersi cura della sofferenza, dell’umiliazione, della solitudine e dei bisogni risarcitori delle vittime. Se la giustizia penale si occupa dell’autore del reato, la giustizia riparativa si occupa prevalentemente delle vittime.
Facciamo un esempio: una persona perde un caro per mano di una terza persona. Che si fa?
Questo è un esempio un po’ estremo e difficile, perché la perdita è irreparabile. È vero però che la giustizia riparativa può lavorare su questo, perché può consentire alle vittime di ottenere qualcosa che ha un valore infinitamente maggiore di un risarcimento. Ovvero un valore simbolico, di riconoscimento dell’esperienza di vittimizzazione. Fino a oggi siamo abituati a monetizzare qualsiasi conflitto, ma la logica del risarcimento pecuniario, che pure ha un senso perché si va a risarcire sia il danno materiale che quello morale, ha un grosso limite. Dà un prezzo a qualcosa che un prezzo non ce l’ha. Secondo la lezione di Kant ci sono cose che hanno un prezzo e cose che hanno una dignità. Alcuni tipi di perdite non sono economicamente apprezzabili perché la loro dignità non è monetizzabile. La giustizia riparativa offre delle soluzioni perché dona alle vittime uno spazio di ascolto e di incontro, eventualmente anche con l’autore del reato. Una dinamica dialogica che consente alle vittime di avvicinarsi ad una verità importante per loro, che spesso non coincide con la verità processuale.
Un incontro e un dialogo che non mi immagino semplicissimi.
È difficilissimo per le vittime incontrare l’autore ed è ancora più difficile per l’autore incontrare le vittime, ma ci sono molte persone che invece chiedono questo incontro, perché per esempio possono fare all’autore del reato nello spazio protetto della mediazione tutta una serie di domande che normalmente non sono consentite in ambito processuale, in quanto irrilevanti per l’accertamento della colpevolezza. E invece a volte le vittime hanno bisogno di quelle risposte, per poter voltare pagina, per ripartire da quella esperienza ma collocandola in uno spazio e in un tempo che consente di andare avanti.
Non sempre questo incontro è possibile, perché alcuni delitti sono particolarmente efferati e violenti. Come agisce la giustizia riparativa in questi casi?
Offrendo uno spazio protetto di ascolto, dove le persone possono narrare la loro esperienza di vittimizzazione senza essere giudicate. Che non è poco, perché la prima sensazione che hanno le vittime è quella di una profonda solitudine, nel contesto di una vicenda processuale incerta, dove è possibile che non venga fuori la verità o che emerga una verità lontana da quella veramente vissuta dalle persone. Avere uno spazio di dialogo significa poter dare un volto a un male anonimo e sentirsi riconosciuti nella propria identità di vittime.
Presto diremo addio al diritto penale?
Nel momento in cui siamo è impossibile rinunciarvi. Intanto perché il diritto penale offre, prima ancora che un sistema di sanzioni, un sistema di precetti. Le principali norme incriminatrici si coagulano attorno ai precetti biblici: non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso. Il delitto penale riflette una tavola di valori che costituiscono le condizioni minime della convivenza pacifica. Per poter mediare un conflitto, per poter costruire un gesto di riparazione, bisogna avere come orizzonte quello del precetto, delle regole. Quello che può essere modificato è il tipo di risposta. Ci sono dei percorsi di giustizia riparativa, per esempio nel diritto penale minorile in Italia, che consentono di rinunciare alla pretesa punitiva, perché il soggetto ha posto in essere una serie di condotte riparatorie o antagonistiche dell’offesa che sono di per sé sufficienti per la vittima. Percorsi di giustizia riparativa possono essere attivati nella fase processuale o in fase di esecuzione delle sanzioni: in quel caso vanno proprio in parallelo con il sistema penale. C’è un altro elemento che impedisce di pensare alla giustizia riparativa come paradigma alternativo rispetto al diritto penale: la volontarietà di questi percorsi. Nessuna vittima e nessun autore può essere obbligato a un percorso di giustizia riparativa: non funzionerebbe.