Ridimensionare o morire?

Sport - Con o senza Covid, il professionismo è confrontato con inquietanti problemi finanziari. Come uscirne?
/ 26.10.2020
di Giancarlo Dionisio

Credo che non ci sia un’unica ricetta garantita. Lascio agli economisti il compito di studiare le varie strategie atte a ridurre il debito contratto dal mondo dello sport professionistico in questi ultimi anni. Mi sento tuttavia di affermare che una possibile via d’uscita sia il ridimensionamento. 

Una famiglia che fatica ad arrivare al 25 del mese, si aggrappa a due semplicissimi principi: aumentare le entrate e diminuire le uscite. Impresa non facile, per il primo principio, allarmante per il secondo quando il bilancio è già ridotto all’osso. 

Vogliamo considerare lo sport come una grande e ricchissima famiglia? Che cosa può fare per incrementare le entrate? Vendere di più, e meglio, i suoi prodotti? Ma come può un fruitore medio spendere sempre più denaro per un bene non primario? Creare nuovi eventi, come ad esempio la Nations League, giunta nel 2019 a intasare un calendario sempre più compresso? Idem, come sopra. Il proliferare di eventi costringe ad aprire portafogli sempre più vuoti. Sedurre un numero sempre più importante di sponsor di alta gamma? Perché no? Sarebbe una via percorribile, ma di questi tempi, con gli stadi semivuoti, e soprattutto con ben altri problemi da risolvere, non sono molte le grandi imprese che avrebbero i mezzi per avventurarsi nel mondo dello sport. 

Non è un caso che nella caccia ai diritti televisivi per le prossime edizioni della Champions League si sia lanciata anche Amazon. Il colosso della vendita online è stato uno dei grandi beneficiari dell’effetto Covid. E non è un caso che dalla corsa alle immagini si sia defilata la RAI, che non ha inoltrato nessuna offerta. In Italia, sindacati e Comitato di redazione hanno gridato allo scandalo. A me ha ricordato la rinuncia della SRG-SSR all’acquisto dei diritti di diffusione dei Mondiali di calcio del 2002 in Corea e Giappone. L’Agenzia che li deteneva aveva sparato molto alto, e l’allora Direttore Generale della TV Svizzera, Armin Walpen, dopo un’estenuante negoziato, aveva chiuso la porta dicendo: «Teneteveli!». Ricordo che a suo tempo non mi ero scandalizzato. Anzi! E non mi scandalizzo per la scelta fatta dai dirigenti di Saxa Rubra. La considero un segnale di senso di responsabilità. A mio modo di vedere ci sono delle priorità di cui un’emittente pubblica deve tener conto. 

Nonostante l’esplosione dei costi e l’inevitabile riduzione delle entrate, lo sport pare non avere intenzione di ridimensionarsi. A fine 2018, a titolo di esempio, le venti società della serie A italiana avevano accumulato 2,5 miliardi di debiti. E durante l’estate, le varie trattative del calciomercato non sono state condotte al ribasso. Decine di big, e non solo, hanno cambiato casacca con le consuete cifre da capogiro. Come se nulla di anomalo fosse accaduto da febbraio a oggi. Come se da domani un tocco di bacchetta magica riportasse tutta alla «normalità». 

Ridimensionare sarebbe la parola d’ordine: ridurre i salari dei campioni, il costo dei biglietti allo stadio, la cifra che le TV devono sborsare per poter diffondere gli eventi sportivi. Operazioni tutt’altro che facili. Più la posta in gioco è alta, meno si è disposti a fare delle rinunce. Da noi, in un contesto finanziario medio-basso, numerose società sportive hanno negoziato con i loro dipendenti riduzioni di salario di varia entità. 

In Italia, c’è stata rispondenza da parte di quasi tutti i club. Ad esempio, a Roma, sponda giallorossa, giocatori e staff hanno accettato di non percepire il salario di marzo, con l’eventualità di fare altrettanto da aprile a giugno qualora l’attività agonistica non fosse ripartita. A Barcellona si è optato per una decurtazione media del 30%, ma Leo Messi, the Star, è passato da 71 a 21 milioni. Chapeau, anche se non si può certo affermare che ora si ritrovi in una situazione di estrema indigenza. Queste operazioni hanno consentito alla società blugranata di risparmiare circa 200 milioni di Euro. 

Insomma, c’è margine. Un margine che comporterebbe, per i fenomenali protagonisti delle eroiche gesta domenicali, il passaggio dalla villa di 12 stanze, con palestra, zona Wellness, piscina interna/esterna, a un modesto attico da 250 metri quadrati. Con vista mare, qualora fossero a Genova o a Napoli. Oppure dai 336mila euro di una Ferrari 812 GTS, ai circa 110 di una sobria Porsche Carrera 911 Coupé. In fondo si tratterebbe di piccole rinunce, che non dovrebbero ledere l’immagine pubblica di chi le fa. 

Altra sfida è quella che tutto il sistema dovrebbe affrontare. Quella della riduzione della complessità. Anno dopo anno si è insinuata nel mondo dello sport, tutta una serie di categorie, procuratori, intermediari, agenzie, che hanno reso lo sport più complesso, e soprattutto più caro. Se per salvare il pianeta si va predicando, fra l’altro, la filosofia del «chilometro zero», dal produttore al consumatore, per salvare lo sport dalla bancarotta, perché non pensare a un sistema più sobrio, più snello, e meno caro?