Il fiume, come ogni corso d’acqua, ruscello o torrente, è dinamico. «Panta rhei», «Tutto scorre». Non possiamo bagnarci due volte nello stesso fiume perché, nel frattempo, le sue acque sono mutate. Proprio per questa sua variabilità e imprevedibilità il fiume ha fatto e ancor oggi fa paura. Così, non pochi corsi d’acqua sono stati «corretti», termine a dire il vero non proprio felice dato che il fiume non è «sbagliato», ma semmai naturale, spontaneo. Interventi anche parecchio invasivi hanno raddrizzato il corso dei fiumi, hanno stretto l’alveo entro alti argini, l’energia è stata sfruttata in mille modi, le acque sono state trattenute da imponenti dighe.
Queste grandi opere, realizzate in un’epoca nella quale la natura, più che da ammirare e proteggere era temuta, da dominare e sfruttare, erano giustificate. Hanno fatto guadagnare terreni all’agricoltura, alle costruzioni e alle vie di comunicazione e contenuto piene e allagamenti. Ma talvolta si è esagerato e interi corsi d’acqua sono stati costretti dentro tubi di cemento, alvei artificiali, perfino sotterrati o prosciugati. Negli stretti alvei, l’acqua aumenta di velocità e, non avendo più sfogo, si libera creando talora danni maggiori di quelli d’un tempo, quando scorreva senza costrizioni. In non pochi fiumi si riversano scarti industriali, liquami, fertilizzanti e pesticidi: fra i segni più visibili ecco l’aumento di alghe e le morie di pesci. La situazione non è dappertutto ugualmente preoccupante e ci sono ancora corsi d’acqua naturali e puliti. Ma tutto questo ha condotto a una riconsiderazione dell’ambiente dei corsi d’acqua e modificato i nostri comportamenti nei suoi confronti.
Il fiume non è solo acqua. Anzi. Il fiume, quando scorre liberamente, è ambiente di vita, habitat di molte creature, piante e animali, prezioso elemento di biodiversità. Dei fiumi si riscoprono i pregi naturali, la dinamicità, la bellezza selvaggia; alcuni tratti sono stati «rinaturati» e non pochi progetti di rivitalizzazione dei corsi d’acqua sono in corso, con lo scopo di ridare al fiume la sua naturalezza, migliorandone la qualità, senza per questo compromettere in alcun modo la nostra sicurezza, che rimane prioritaria. Sulla qualità dei nostri corsi d’acqua vigilano i competenti uffici cantonali.
Inoltre, c’è anche la possibilità per tutti, singoli o scuole, di approfondire il tema dei corsi d’acqua e contribuire, con proprie valutazioni basate su protocolli scientifici, alla loro conoscenza. Un esempio è offerto da Globe, il programma internazionale di educazione ambientale. Il corso d’acqua viene analizzato in un lavoro sul campo con tre modalità: gli aspetti morfologici come elemento del paesaggio e la qualità delle sue acque attraverso la presenza di determinati bioindicatori e mediante semplici analisi chimico-fisiche.
I risultati delle osservazioni si possono in seguito inviare a una banca dati nazionale. Mentre l’analisi chimico-fisica riflette una situazione puntuale, momentanea, come un improvviso inquinamento, gli altri due metodi consentono una valutazione più a lungo termine. La valutazione «ecomorfologica» è semplice e si basa su un protocollo di dieci caratteristiche. Ad ognuna è assegnato un punteggio da 1, molto naturale, a 3, per nulla naturale. Ecco un paio di esempi.
Se il corso del fiume è serpeggiante, con meandri naturali (ciò che ne aumenta la biodiversità), si assegnerà un punto. Se ci sono alcune correzioni, si daranno due punti, un corso d’acqua completamente diritto e incanalato riceverà tre punti. Analogamente si valuteranno la larghezza, le rive, la vegetazione, la percorribilità per i pesci. Il metodo è abbastanza oggettivo.
Il fiume Cassarate, ben noto esempio di rinaturazione presso la foce a Lugano, ha ricevuto il seguente punteggio: 1,5 per il tratto rinaturato e 2,5 nella parte arginata. Sorprendente e anche molto appassionante – i più piccoli ne restano letteralmente affascinati – è la bioindicazione, la valutazione della qualità delle acque attraverso la presenza o assenza di alcuni animaletti, «bioindicatori» più o meno sensibili, i cosiddetti macroinvertebrati o Macrozoobenthos, cioè grandi animali viventi sul fondo. Non si pensi a gamberi di fiume, aragoste o granchi. Qui, il termine «macro», grande, vuol dire più grande di un paio di millimetri, dunque visibile a occhio nudo, per distinguerli da protozoi o batteri, rintracciabili solo con l’aiuto di un microscopio e oggetto di altro tipo d’indagine.
Questi macroinvertebrati hanno abitudini davvero singolari e, ciò che più conta, sono più o meno esigenti. Alcuni vivono solo in acque pulite, fredde e ben ossigenate, altri si trovano a loro agio fra liquami e fognature. Certi sono insetti, altri crostacei, altri ancora sono vermi. Ecco quattro esempi, tutti insetti, individuabili allo stato larvale in acqua. Se ne possono trovare sotto i sassi, cui si aggrappano per non lasciarsi trascinare dalla corrente, altri fra la ghiaia, altri nel fango del fondo. Quelli dai gusti più «difficili», garanzia di acque pulite, sono le larve dei plecotteri, che vogliono acque fresche e ben ossigenate. I pescatori conoscono bene queste e altre larve e piccoli animaletti dei fiumi perché, in quanto predati da pesci come la trota, sono usati come esche.
I pescatori «alla mosca», una pesca che si potrebbe definire «artistica», fabbricano esche artificiali che imitano le larve alla perfezione. Un poco meno «difficili» ma pur sempre esigenti, sono le larve di tricotteri. Queste sono davvero curiose: molte di loro si fabbricano, per aumentare la stabilità, veri e propri «astucci», dove la fantasia pare non aver limiti: sono fatti con sassolini, con frammenti vegetali, da cui i loro nomi popolari di portasassi o portalegna, e perfino con minuscole conchiglie. Seguono, in ordine di esigenza, le larve degli efemerotteri, così chiamati per la loro brevissima vita adulta, immaginale. Trascorrono la maggior parte della vita come larva acquatica per poi trasformarsi in insetto adulto, riprodursi e morire in pochissimo tempo, anche un solo giorno. Le loro «danze nuziali» possono davvero essere impressionanti: a milioni volteggiano sull’acqua o nelle vicinanze. Il grande Linneo, naturalista svedese del Settecento, così li aveva descritti, in latino non senza una certa eleganza poetica. «Larvae natant in aquis, volatiles factae brevissimo fruuntur gaudio, uno saepe eodemque die nuptias, puerperia et exequia celebrantes», cioè: «le larve nuotano nell’acqua; divenute alate, esse godono di una felicità molto breve, celebrando spesso in un solo e stesso giorno nozze, parto e funerale».
Per finire, ecco le larve meno esigenti, che vivono benissimo fra liquami e acque luride: sono i cosiddetti «vermi a coda di topo», in realtà grosse – fino a due centimetri – larve pingui e grigiastre, decisamente bruttine che, per respirare in acque prive di ossigeno, sono munite di un sifone – un tubo respiratorio – telescopico, più lungo di loro. Dopo la metamorfosi, diventano insetti volanti, eristaline del gruppo dei sirfidi, mosche note per il loro volo a scatti, somiglianti a vespe o api. Ottimi impollinatori, si nutriranno di nettare e polline. Una vita davvero singolare: nascono nelle fogne per morire fra i fiori.
Informazioni
www.globe-swiss.ch
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