Razzismo: non siamo immuni

Intervista - Secondo la presidente della Commissione federale contro il razzismo è importante monitorare e accrescere la consapevolezza
/ 06.07.2020
di Laura Di Corcia

Il razzismo, come l’invidia, riguarda sempre e solo gli altri? Se è vero che la situazione americana è un caso a sé, perché le tensioni etniche evidenziano delle fratture nella società che alle nostre latitudini per fortuna non esistono (o esistono in forma minore o in minima parte), è anche vero che una riflessione in casi come questo è d’obbligo ovunque. Ed è infatti stata affrontata anche in Svizzera, con ragionamenti sul linguaggio che, seppur inconsapevolmente, può raccontare una storia di razzismo da cui come società civile dovremmo volerci allontanare. Non dobbiamo nemmeno dimenticare che ad aprile i media hanno diffuso i dati di un rapporto piuttosto preoccupante, che rileva, per quanto riguarda il 2019, un aumento dei casi di razzismo rispetto agli anni precedenti. Ne abbiamo parlato con Alma Wiecken della Commissione federale contro il razzismo, che ha pubblicato il rapporto in questione in collaborazione con l’associazione humanrights.ch.

Signora Wiecken, un aumento dei casi di razzismo desta sempre delle preoccupazioni. Che risposte vi siete dati?
Siamo sempre molto prudenti nel fornire spiegazioni esaustive o indicative di una tendenza dimostrabile e il motivo è presto detto: possiamo basarci unicamente sui dati che raccogliamo. Quindi non possiamo dire con certezza che il razzismo in Svizzera sia cresciuto nel 2019 rispetto al 2018. Forse è interessante focalizzarsi non tanto sui numeri, ma operare una riflessione sulla tipologia. Ebbene, nell’anno passato le forme di discriminazione più frequenti sono state la disparità di trattamento e le ingiurie. Il dato relativo al 2019 e alla crescita dei casi segnalati rispetto al 2018 può anche essere letto in termini positivi: più persone, venute a conoscenza dell’attività dei nostri centri di consulenza, si sono rivolte agli sportelli per segnalare gli abusi subiti. Anche se, è bene sottolinearlo, ogni caso di razzismo è già di troppo, è positivo che le persone facciano un passo avanti nella consapevolezza.

Ho letto che molti casi di razzismo, che prima si svolgevano nel privato, sono arrivati nell’arena pubblica: vuol dire qualcosa?
Credo che, pur con la solita attenzione nel maneggiare dati, che, per forza di cosa, sono parziali, occorra mantenere alta la vigilanza e cercare di capire perché le persone potrebbero sentirsi meno frenate nell’esternare pubblicamente sentimenti e azioni xenofobe e a sfondo razzista. Il discorso pubblico, in questo, gioca un ruolo importante: se la gente percepisce che proferire una frase razzista in fondo vada bene, che non sia un comportamento da sanzionare, può essere stimolata a dire cose che prima avrebbe tenuto per sé. Per concludere, credo che sia troppo presto per parlare di un trend, ciò non toglie che abbiamo il dovere di monitorare molto bene la situazione.

Quali sono i gruppi etnici maggiormente colpiti da episodi di razzismo?
Con 132 segnalazioni il razzismo nei confronti di neri rimane la causa di discriminazione più frequente. Un ruolo importante in questa statistica lo gioca anche l’ostilità antimusulmana, che registra 55 segnalazioni. C’è anche un altro dato interessante e da non sottovalutare: molte vittime sono svizzere. Questo dimostra che avere il passaporto rossocrociato non protegge e che le origini percepite sono più importanti in un contesto di xenofobia.

Parliamo della situazione negli USA. Volevo sapere se tutto questo ha un impatto anche in Svizzera.
Certamente, basti pensare alle varie manifestazioni che si sono susseguite in tutta la Svizzera, da Basilea a Losanna, da Bienne a Bellinzona. Quello che è successo a George Floyd, per quanto assolutamente inaccettabile, sta portando ad una riflessione sul tema. Le persone si stanno interrogando e stanno scoprendo che anche in Svizzera esiste il razzismo, ovviamente non estremizzato come negli States, dove il fenomeno è acuito dalle profonde disuguaglianze sociali ed economiche che caratterizzano la società, non aiutata certamente da un presidente come Trump. In buona sostanza mi sembra positivo che alle nostre latitudini ci si interroghi sul fenomeno razziale e sulla discriminazione, che sono cose di casa anche qui.

Ammettere che il razzismo esiste, anche in Svizzera. Quindi uno dei problemi è proprio quello di non portare alla luce questa realtà, di nasconderla in qualche modo?

In effetti credo che ci sia molto razzismo inconsapevole. Anche le persone ben disposte, aperte all’altro e al diverso, sono attraversate da pregiudizi. Io stessa, ovviamente, ho alcuni pregiudizi con cui devo combattere. Ci sono degli automatismi da stanare e da affrontare apertamente. Le radici del razzismo contro le persone di colore, d’altra parte, affondano molto profondamente nella nostra società e nella nostra storia e vanno fatte risalire al colonialismo. E tutto questo riguarda anche la Svizzera, per quanto non sia mai stato un Paese apertamente colonialista. Quindi prima di mettere le mani avanti e dichiarare «Io non sono razzista», ragioniamo su quanto questa mentalità sia antica e difficile da sradicare. Solo così possiamo essere consapevoli di quale sia il nemico da combattere.

Cosa possiamo fare rendere la nostra società sempre meno razzista?
La prima cosa da dire è questa. Ogni singola persona conta. Ci vuole coraggio civile. Se vedete per strada o in qualsiasi posto, denunciate. Non ignorate. Esprimete il vostro dissenso. Dite che non accettate atti razzisti. È importante anche lavorare a livello delle istituzioni: per esempio, il lavoro sulla polizia è molto importante. Non sto certamente dicendo che tutti gli ufficiali di polizia siano in generale razzisti, questo no. Ma ci sono meccanismi quasi naturali che portano a esercitare un maggiore controllo sulle persone straniere che sui cittadini svizzeri, per esempio. Questa è discriminazione. Dobbiamo discuterne e trovare soluzioni in questo senso. Come non parlare, infine, della politica? Essa gioca un ruolo che è veramente determinante in questo contesto. Se il discorso politico è orientato contro le minoranze etniche, abbiamo un problema. Basta, appunto, guardare la situazione in America per capirlo. In Svizzera non siamo a quei livelli, ma ci sono partiti che purtroppo vanno in quella direzione. E se imbocchiamo quella strada, non ne uscirà nulla di buono.