«Vivere in Svizzera e poter cominciare qui ogni giornata è un dono. Quando saluto mio figlio davanti a scuola il mattino e io ho la mia giornata davanti mi dico: ecco, è un dono».
Jamileh Amini si racconta. È nata e cresciuta in Afghanistan, vive in Ticino dal 2011 con la sua giovane famiglia. «I miei genitori vivono in Iran, dove la situazione è molto difficile per il popolo iraniano e per le donne come vediamo in questi giorni. Le condizioni sono drammatiche anche per gli afghani in Iran che ultimamente vengono rimandati nel loro Paese in modo disumano».
Amini ha fondato un anno fa, nel dicembre del 2021, l’Associazione comunità afghana in Ticino (ACAT), che vuole essere «da una parte una risposta alla forte preoccupazione dei suoi membri per la situazione dei famigliari e degli amici rimasti in patria, dall’altra una struttura che possa promuovere attività di integrazione per i suoi membri e di conoscenza della cultura afghana nella società ospitante». «Le storie dei miei compaesani si assomigliano. – continua Jamileh – L’obiettivo di chi lascia il Paese è partire senza una destinazione particolare, prima in Iran, poi in Turchia, dalla Turchia via mare fino in Grecia, poi i Paesi balcanici dove di solito si incontrano i passatori che portano in Italia. È un viaggio pieno di pericoli che nei casi peggiori dura più di tre anni, e tanti profughi giocano con le loro vite. Quando si lascia l’Afghanistan si pensa solo a salvarsi, a scappare».
«Sono una delle fondatrici e animatrici dell’associazione afghana. Sono molto contenta che ce l’abbiamo fatta, che siamo riusciti a mettere in piedi questa comunità. C’è la partecipazione volontaria della nostra gente quando organizziamo eventi. È importante che ognuno di noi faccia qualcosa per la comunità. È nato tutto durante l’estate dell’anno scorso, quando è crollato il governo e gli Stati Uniti hanno abbandonato il Paese tradendo il popolo afghano. Fra di noi c’era tanta rabbia e tanta tristezza pensando a chi è rimasto dove c’è fame e tanta violenza. Vogliamo aiutare chi è rimasto in Afghanistan ma anche far conoscere la ricchezza e la bellezza del nostro Paese. Grazie all’associazione siamo riusciti finora a sostenere circa 800 persone, raccogliendo fondi e organizzando eventi. Abbiamo ricevuto anche tanti sostegni in Ticino, dove la nostra comunità, conta circa 6/700 persone».
La ACAT è intervenuta anche per promuovere una biblioteca. «Abbiamo aiutato a livello economico per sostenere la realizzazione di una biblioteca fornita di circa 2500 libri per ricordare l’attentato a Kabul del 30 settembre contro la scuola Kaaj. – ci dice Jamileh Amini – Leggere è importante, ti apre la mente, fa crescere, soprattutto in Afghanistan dove non c’è un diritto allo studio».
Jamileh Amini lavora come mediatrice interculturale e traduttrice: cosa significa integrazione? «Dalla mia esperienza posso dire che l’integrazione deve venire dalle due parti, da chi arriva e da chi accoglie. Da parte della nostra comunità c’è voglia di integrarsi, è gente giovane con tanta voglia di imparare e crescere ed essere utile alla società. Tanti della nostra comunità si sentono emarginati, hanno l’impressione di non contare molto. Bisogna che anche la popolazione ticinese sia disponibile e, per esempio, sostenga i progetti della nostra associazione. Bisogna avvicinarsi dalle due parti e cercare di apprezzare le culture di ognuno, anche se diverse, perché la diversità è una ricchezza. Per i nostri giovani conta molto il primo approccio, il confronto con la scuola, il rapporto con i docenti. La maggior parte di loro non sono istruiti, quindi il primo contatto è importante. Bisogna dare loro la speranza per il futuro e sostenerli, perché con il tempo potrebbe crescere la negatività e il pessimismo».
La situazione dei rifugiati in Svizzera è cambiata radicalmente con la guerra in Ucraina. Nel mese di settembre 2022, – precisa la Segreteria di Stato della migrazione (SEM) – sono state registrate in Svizzera 2681 domande d’asilo, ossia 635 in più del mese precedente (+31%). Rispetto a settembre 2021, il numero di domande è aumentato di 1138 unità. I principali Paesi di provenienza sono stati l’Afghanistan e la Turchia. Sempre nel mese di settembre, lo statuto di protezione S è stato concesso a 2877 profughi provenienti dall’Ucraina.
Ma qual è la situazione dei profughi afghani oggi in Ticino? «Credo che la situazione di molti afghani residenti in Ticino sia leggermente migliorata nell’ultimo anno. – ci spiega Mario Amato, direttore di Soccorso operaio svizzero (SOS Ticino) – Mi riferisco soprattutto al loro statuto. Per diversi anni molti di loro si trovavano in una sorta di limbo. La loro domanda d’asilo era stata respinta da tempo ma, per motivi legati soprattutto alla mancanza di un documento di viaggio, l’esecuzione dell’allontanamento verso il loro Paese d’origine non era stata realizzata. Vi erano quindi diversi cittadini afghani che non avevano più alcuno statuto legale di residenza. Quanto avvenuto nell’agosto del 2021 ha però permesso di rimettere in discussione una prassi e una giurisprudenza consolidate da tempo che distinguevano Province sicure e Province meno sicure, per quanto concerne l’esecuzione dell’allontanamento verso l’Afghanistan. La presa di potere da parte dei talebani ha permesso al Consultorio giuridico di SOS Ticino di avviare delle procedure di riesame, tendenti a dimostrare che nessuna provincia dell’Afghanistan è sicura. In questo modo diversi cittadini afghani hanno potuto quindi beneficiare dell’ammissione provvisoria (permesso F) e in molti casi questo ha consentito loro di poter avere un impiego. Resta chiaramente forte la preoccupazione per i famigliari rimasti in Afghanistan e rispetto ai quali si riesce a fare davvero ben poco».
La presidente della comunità afghana conferma l’incremento di rifugiati. «Stanno arrivando ancora molti profughi, soprattutto giovani. Tutto quello che sta accadendo in Afghanistan passa sotto silenzio. I giovani devono andarsene, devono salvarsi, lì non hanno futuro. Mi fa star male sentire cosa hanno vissuto questi ragazzi di 15 anni che hanno dovuto lasciare tutto, la famiglia, l’affetto genitoriale e la loro cultura. Hanno visto e vissuto già da piccoli tante cose brutte, forse troppe. Quando arrivano in Svizzera si sentono al sicuro ma hanno una forte preoccupazione per i loro famigliari rimasti a casa. La comunità internazionale dovrebbe intervenire in Afghanistan. Si tratta di salvare un Paese: se va avanti così, con l’inverno sarà un disastro. Siamo di fronte a una catastrofe umanitaria. Non ci sono aiuti concreti, non c’è cibo, non c’è sicurezza, non c’è lavoro».
Sono almeno 3,9 milioni i bambini afghani gravemente malnutriti e 19,7 milioni le persone, quasi la metà della popolazione afghana, che hanno sofferto di fame acuta dall’inizio dell’anno. I dati forniti dal Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (WFP) parlano di livelli di crisi e grave insicurezza alimentare in tutte le 34 province del Paese. L’organizzazione, in risposta a questa crisi umanitaria, ha fornito, dall’inizio dello scorso ottobre, cibo specifico per la prevenzione della malnutrizione a 7’400 donne e bambini. Allo stesso tempo, più di 98’000 donne e bambini sono stati curati per casi di malnutrizione acuta. Per svolgere questo lavoro il WFP sta attualmente supportando 2’205 centri sanitari.
Non è possibile immaginare una reazione della popolazione nei confronti dei talebani al potere? «Protestare in Afghanistan è difficile. I talebani reagiscono con bastonate e con i kalashnikov, sparano, non usano i lacrimogeni. D’altra parte passa tutto sotto silenzio, anche se le donne sono scese in piazza a rivendicare i loro diritti al grido di pane, lavoro e libertà. Però le donne sono isolate, non hanno mezzi, non possono comunicare, non sono istruite e sono confrontate con un regime violento che opprime il popolo. Sono più di 400 giorni che le scuole sono chiuse per le donne. È l’unico Paese al mondo in cui le ragazze non possono andare a scuola e non hanno diritti. È una vergogna per la comunità internazionale».
Dopo l’agosto dell’anno scorso c’è più facilità a far ottenere l’asilo ai profughi afghani? «Non direi. – afferma sconsolato Mario Amato – Oggi, rispetto al passato, è più probabile ottenere un’ammissione provvisoria, ovvero lo statuto che viene concesso quando l’allontanamento verso il Paese d’origine non è possibile, ammissibile o ragionevolmente esigibile. Ma il riconoscimento della qualità di rifugiato e la concessione dell’asilo è limitato a coloro che riescono a comprovare o rendere verosimile l’esposizione a pregiudizi seri: per esempio funzionari del precedente governo, giornalisti, collaboratori di ONG straniere, ecc.».
Come vede il suo futuro la presidente della Comunità afghana? «In Ticino mi trovo bene, all’inizio non è stato facile: lontano dal tuo Paese e dai tuoi affetti più cari, a volte puoi anche sentirti persa. Ma ora posso guardare al futuro qui, anche se c’è sempre il sogno di poter tornare. Al Festival dei diritti umani, a Lugano, ho letto un mio testo sul futuro: la finestra futura è fatta di pace, inclusione e umanità. Guardo uno stormo di uccelli migratori volare su di noi e non posso non ripensare al viaggio che mi ha portato sino a qui, superando frontiere, vincendo paure. Penso all’umanità futura come quello stormo di uccelli che volano liberi, liberi di spostarsi senza preoccupazione di varcare frontiere, per dare risposta al loro bisogno di vivere in un posto migliore. Liberi di scegliere dove nidificare».