Stringere legami di amicizia che durano una vita, prendersi cura gli uni degli altri, sperimentare forme di libertà e di organizzazione della quotidianità in ambito comunitario, non da ultimo divertirsi. Dove avviene tutto ciò? In colonia e in particolare nelle colonie residenziali, caratterizzate dalla possibilità per i giovani di condividere tra loro e con gli adulti (monitori e personale) ogni momento della giornata per più settimane. Una forma di svago ed educazione attiva che affonda le proprie radici in un lontano passato, come dimostra il centenario festeggiato quest’anno dalle Colonie dei Sindacati, identificate con la storica sede di Rodi. Ripercorriamo l’evoluzione di questa istituzione, adeguatasi alle esigenze dei tempi pur conservando intatto lo spirito comunitario, con un protagonista della sua storia avendola vissuta per ben settant’anni in un crescendo di responsabilità. Giancarlo Nava ci ha raccontato momenti forti e aneddoti della vita di colonia a La Filanda di Mendrisio, dove ha offerto la sua testimonianza anche un ex monitore presente per caso.
«Il ricordo più bello risale ai tempi del Ginnasio – esordisce con simpatia Giancarlo Nava – quando siamo stati noi compagni di scuola a volerci iscrivere assieme alla colonia. Abbiamo formato fin dal viaggio in treno un piccolo gruppo rimasto unito anche in camera e molto propositivo sulle attività da svolgere. Sentivamo la colonia nostra, la gestivamo. Anche i rapporti con gli altri partecipanti e i monitori erano importanti. Ieri come oggi i partecipanti confermano che fra i valori aggiunti della colonia spiccano le relazioni. L’amicizia del nostro gruppo è rimasta tale per tutta la vita». Giancarlo Nava, poi diventato docente, direttore di scuola elementare e di scuola media, ha vissuto le colonie di Rodi fin da bambino, assumendo negli anni successivi i vari incarichi legati alla loro gestione. Prosegue nel suo racconto: «La prima esperienza risale al 1952 quando avevo sette anni. Come partecipante e monitore ho vissuto le estati in cui il piccolo villaggio di Rodi si trasformava grazie all’arrivo di centinaia di giovani. Alcuni anni le cinque case hanno ospitato su più turni quasi 500 bambini e adolescenti ai quali vanno aggiunti un centinaio di adulti di cui la metà monitori. Un’estate ho persino dormito in un locale di fianco all’ufficio postale, perché le case erano tutte occupate. Dopo i 15 anni sono diventato monitore, proseguendo come capo casa, direttore e infine presidente dell’associazione, carica che ho lasciato l’anno scorso passando il testimone a Ilario Lodi, responsabile regionale di Pro Juventute per la Svizzera italiana».
Le Colonie dei Sindacati della Camera del Lavoro sono attive da un secolo, siccome la prima colonia estiva destinata ai figli degli iscritti al Sindacato venne organizzata nel 1923 ad Astano. Seguì nel 1930 la prima esperienza a Rodi-Fiesso, poi per alcuni anni i soggiorni si svolsero ancora in Leventina ma a Varenzo. Il ritorno a Rodi nella Casa gialla e nella Casa rosa costituì il preludio alla nascita di un vero e proprio villaggio con cinque case. «L’esperienza di vita comunitaria era molto intensa – prosegue il nostro interlocutore – fino a giungere a istituire figure quali il sindaco e il segretario. Fra il personale c’erano inoltre figure oggi scomparse, ad esempio l’infermiera che curava i bambini malati. Una volta il morbillo ne aveva colpito decine; tutti erano tornati a casa guariti alla fine del turno». Questa fase costituisce sicuramente uno dei momenti forti delle Colonie dei Sindacati. Precisa al riguardo l’intervistato: «Parallelamente alla crescita numerica dei partecipanti, vi è stato un importante sviluppo dei contenuti che ha trasformato il soggiorno da sanitario (incentrato sul benessere fisico) in pedagogico. La pedagogia attiva incoraggia bambine e bambini a organizzare le giornate, a esprimere i propri desideri in merito, a svolgere ruoli che favoriscono la crescita. È stata introdotta sotto l’impulso formativo dei Cemea (Centri d’esercitazione ai metodi dell’educazione attiva) il cui primo stage si è svolto a Rodi nel 1955».
Da allora altre iniziative di campi estivi residenziali sono giunte all’attenzione delle famiglie. Colonie comunali, regionali, a tema ecc. Così a Rodi i partecipanti sono calati e si è rinunciato a Igea Marina. L’apprezzata colonia in Emilia-Romagna ci viene però ricordata da Daniele Fumagalli, monitore a metà anni Sessanta. Riconoscendo Giancarlo Nava durante l’intervista e sentendolo raccontare, si aggancia alla conversazione facendo emergere altri due elementi essenziali delle Colonie dei Sindacati. «La nostra colonia – ricorda Fumagalli – era all’avanguardia rispetto a quella italiana presente in loco, perché ogni monitore si occupava di un numero limitato di bambini: una decina noi, una trentina loro. Di conseguenza i nostri godevano di maggiore attenzione accompagnata da un più ampio margine di libertà. Impegnarsi come monitore era una scelta motivata dal piacere e dal desiderio di maturare esperienza».
«Quest’ultimo aspetto – sottolinea Giancarlo Nava – è rilevante ancora oggi. In particolare per gli studenti del DFA (Dipartimento formazione e apprendimento) la pratica residenziale risulta sempre essere un grande arricchimento». I partecipanti sono però diminuiti e i turni ridotti da quattro a due settimane. A che punto sono quindi le colonie? In occasione del centenario l’associazione Colonie dei Sindacati, oltre a festeggiare la ricorrenza con diversi eventi fra cui un intero week-end a Rodi, si interroga sulla loro funzione e sul loro futuro. Il nuovo presidente Ilario Lodi – che come Nava ha vissuto nelle colonie un percorso di vita assumendo man mano compiti di maggiore responsabilità – si riallaccia alla prima occasione di riflessione, rappresentata dalla conferenza organizzata a Mendrisio lo scorso 9 marzo. «Nel corso dell’incontro sono emersi tre punti chiave: l’evoluzione del concetto di residenziale in relazione alle colonie, i tempi lunghi dell’educazione e le nuove emergenze. La colonia come esperienza legata alla cittadinanza in un contesto collettivo è sempre valida ma bisogna chiedersi come proseguire considerando la complessità crescente della società globalizzata e il deficit di collettività che si riscontra nei ragazzi. In secondo luogo è necessario valutare a quale tipo di bisogni si può rispondere nelle due settimane di colonia che dal punto di vista educativo costituiscono un tempo limitato. Infine si tratta di capire quale posto affidare nelle colonie a temi come le nuove tecnologie e il rapporto sempre più astratto con il denaro».
Da rilevare che le colonie residenziali sono sempre più affiancate da proposte di colonie diurne. Per i nostri interlocutori entrambe sono importanti, ma con ruoli complementari. Il confronto sarà pertanto al centro di un altro evento del calendario dei festeggiamenti e più precisamente un workshop previsto in giugno nel Bellinzonese. I cento anni delle Colonie dei Sindacati toccheranno quindi tutto il Ticino – anche attraverso una mostra itinerante basata su supporti fotografici, video e multimediali – durante l’intero arco dell’anno. Per la mostra chi dispone di materiale è invitato a metterlo a disposizione tramite la segreteria (tel. 091 8263577).
Coloro che, come Giancarlo Nava e Ilario Lodi, hanno compiuto un percorso di crescita all’interno delle colonie, hanno potuto sperimentare di persona i benefici di un ambiente che favorisce lo sviluppo di capacità relazionali e la pratica quotidiana di valori fondamentali, dal rispetto alla fiducia, dalla tolleranza alla condivisione. La colonia è un microcosmo nel quale esercitarsi come cittadini, portando poi nei rispettivi ambienti di vita le buone pratiche assimilate. Il concetto di comunità è ribadito anche nel progetto di revisione della Legge sul promovimento e il coordinamento delle colonie di vacanza, progetto di cui è terminata da poco la consultazione. Il messaggio è rivolto anche ai genitori, affinché siano consapevoli che una simile esperienza migliora l’autonomia e l’autostima dei loro figli.