«L’aneurisma (dal greco: dilatazione) è un rigonfiamento localmente circoscritto di un’arteria, che si può manifestare in qualsiasi vaso arterioso del nostro organismo sebbene l’80% dei casi riguardi l’aorta addominale che ne risulta quindi la più colpita». A parlare è il dottor Alessandro Robaldo, caposervizio di Chirurgia del Centro Vascolare Ticino EOC, che indica i dati di prevalenza di questa patologia che può non lasciare scampo se non diagnosticata per tempo, monitorata e presa adeguatamente a carico, ragione per la quale negli USA si è meritata l’appellativo di silent killer.
«La Svizzera conta 6 casi ogni 100mila persone all’anno e nei Paesi occidentali il rapporto fra maschi e femmine è di 4 a 1: le donne in età fertile risultano più protette dagli ormoni». L’80% delle volte è una dilatazione che non dà sintomi, il cui riscontro è dato da una diagnosi occasionale durante accertamenti per altre patologie come, ad esempio, la lombalgia o dolori a livello toracico. La sua rottura inaspettata è il pericolo maggiore: «La rottura interessa 2,5 casi ogni 100mila persone, in soggetti maschi di età uguale o superiore ai 65 anni, con differenza fra fumatori e non fumatori dell’ordine di 8 a 1».
Infine: «L’incidenza della mortalità ospedaliera in Svizzera nel 2022 indica 2,6 casi su 100mila donne e 19,7 casi su 100mila uomini». Una malattia temutissima che potrebbe però essere prevenuta con successo per mezzo di uno screening mirato già in uso in alcuni Paesi. In Ticino, ad esempio: «Nel 2017 noi abbiamo sensibilizzato medici di famiglia e popolazione con specifico target di età, invitandola a sottoporsi a una semplice ecografia addominale di controllo. Consapevoli che nella prevenzione della rottura dell’aneurisma qualche minuto può salvare la vita, abbiamo invitato 1734 persone a partecipare a questi esami diagnostici preventivi e nel 4,2% dei casi l’aneurisma è stato diagnosticato».
Lo specialista dimostra l’importanza assoluta della diagnosi preventiva di questa dilatazione che può essere presa seriamente a carico prima di una rottura improvvisa: «Parliamo di aneurisma nei pazienti tra 60 e 80 anni la cui aorta presenta una dilatazione superiore ai tre centimetri (diametro dell’aorta addominale del 50% maggiore rispetto a quello del vaso nativo). Inoltre, l’ecografia ne evidenzia la forma, fusiforme o sacciforme: importante informazione perché nel secondo caso indica un rischio di rottura superiore, a prescindere dalle dimensioni».
Presa a carico e prognosi differiscono di parecchio tra il trattamento elettivo (se lo screening indica per tempo la presenza dell’aneurisma) e quello del paziente che giunge in emergenza con una rottura dell’aneurisma in corso: «Il trattamento in elezione comporta una mortalità inferiore del 3-6%. Mentre le persone con rottura dell’aneurisma addominale che riescono a giungere in ospedale sono meno del 40% dei casi che si manifestano sul territorio». Dati inopinabili che dimostrano l’importanza assoluta della prevenzione, senza la quale l’aneurisma può rompersi improvvisamente causando il decesso di quel 60% di persone che non riesce nemmeno a giungere all’ospedale: «Nel 40% circa di quelli che raggiungono l’ospedale la mortalità in urgenza è nettamente più alta rispetto alla mortalità in elezione, in un rapporto di 30-40% su 3-6%».
Una prevenzione che può essere attuata sia a livello primario sia secondario: «Quella primaria agisce sui fattori di rischio con l’obiettivo di evitare malattie come diabete, ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, ed escludendo tutto ciò che è modificabile come fumo, vita sedentaria, obesità e stress». Di altrettanta importanza la prevenzione secondaria: «Oltre agli aspetti citati, non dimentichiamo quello farmacologico con cui possiamo evitare le recidive. Inoltre, la presa a carico di pazienti con malattie cardiovascolari deve essere ancora più accurata, così come dobbiamo essere coscienti che, guarito un aneurisma, in genere se ne possono formare altri in altre sedi. Ad esempio, i pazienti con aneurisma dell’aorta addominale potrebbero in futuro svilupparne a livello delle arterie poplitee (ndr: della gamba). Da qui l’importanza della prevenzione con controlli ecodoppler a queste arterie».
Nella presa a carico del paziente che giunge con la rottura dell’aneurisma, in condizioni già estremamente critiche, i minuti fanno la differenza: «Il sanguinamento dell’aorta è interno e massiccio e, per aumentare la possibilità di sopravvivenza con un’adeguata presa a carico, i pazienti sono convogliati immediatamente a Lugano, dove questa patologia e i suoi trattamenti sono centralizzati e affrontati con eccellenza da un’équipe interdisciplinare di chirurghi vascolari, anestesisti, interventisti e angiologi». Due le possibili procedure, discusse e valutate in modo individualizzato per ciascun paziente. «L’intervento chirurgico “aperto” consiste letteralmente nel rimuovere e sostituire la lesione con una protesi sintetica attraverso un taglio nell’addome, mentre la seconda possibilità riguarda l’esclusione dell’aneurisma dalla circolazione del sangue mediante una “endoprotesi” inserita dalle arterie degli inguini». Questa seconda possibilità è illustrata dalla dottoressa Maria Antonella Ruffino, caposervizio di Radiologia interventistica del Centro Vascolare Ticino EOC che ne evidenzia pure qualche limite: «La procedura endovascolare non è sempre praticabile a causa dell’anatomia del paziente: il vaso attraverso cui viene inserito il dispositivo può talvolta essere troppo stretto o tortuoso, mentre l’endoprotesi tradizionale richiede comunque uno spazio di aorta sana tra le arterie renali e l’aneurisma per poter aderire e sigillare l’aorta».
Benefici e qualche limite di questa tecnica sono così riassunti: «I criteri di mininvasività hanno consentito di operare con basso impatto chirurgico pazienti affetti da molteplici problematiche di salute in particolare cardiache, per i quali un intervento tradizionale sarebbe stato ad alto rischio. Ideali i pazienti sopra i 70-75 anni che non richiedono un follow up lungo, mentre per quelli di 40-50 anni viene considerato l’intervento chirurgico i cui controlli sono meno assidui. D’altra parte, il trattamento endovascolare richiede controlli post operatori più ravvicinati, secondo l’evoluzione, per valutare eventuali complicanze che possono essere più frequenti». Complicanze che nella maggior parte dei casi, rassicura la dottoressa Ruffino, «sono individuali e ritenute meritevoli di un ulteriore trattamento endovascolare».
La valutazione di ogni caso, ribadiscono gli specialisti, è presa in regime interdisciplinare e individualizzata alla realtà di ogni paziente.