Quando si diventa «anziani»?

Salute - Al centro del progetto terapeutico nelle cure mediche geriatriche è la qualità di vita di ogni singolo, secondo le sue capacità
/ 15.03.2021
di Maria Grazia Buletti

Secondo le definizioni ad oggi adottate, è considerata anziana una persona che abbia compiuto il 65esimo anno di età. Una definizione che ha retto a lungo. Oggi dobbiamo ammettere però che lo spartiacque anagrafico è obsoleto e oramai società e medicina devono palesemente ammettere che l’anzianità è stata posticipata.

«Il concetto di senilità va aggiornato perché un 65enne di oggi ha la forma fisica e cognitiva di un 40-45enne di 30 anni or sono, e un 75enne quella di una persona che trent’anni fa aveva 55 anni», il dottor Fabiano Meroni è viceprimario di geriatria all’Ospedale Regionale di Lugano e spiega come ora l’asticella dell’età debba essere alzata a una soglia adattata alle attuali aspettative, soprattutto nei paesi con sviluppo avanzato come il nostro.

«Nel riferirci alla persona anziana, adesso parliamo di terza e quarta età», spiega, introducendo una nuova categoria che divide le persone con più di 65 anni tra chi appartiene alla terza età (condizionata da buone condizioni di salute, inserimento sociale e disponibilità di risorse) e chi alla quarta età (spesso caratterizzata da dipendenza da altri e decadimento fisico). Idealmente l’aggiornamento del concetto di anzianità porta a circa 75 anni l’età per definire una persona come anziana. «Bisogna poi fare un distinguo fra la persona anziana e il paziente geriatrico. Quest’ultimo è il più delle volte un anziano con patologie croniche e spesso con una “sindrome geriatrica”: disturbi di deambulazione, sindrome cognitiva più o meno grave, disturbi dell’umore, problemi che si acuiscono con l’età come incontinenza, poli-farmacoterapia (con effetti collaterali a cascata) e altri disturbi minori come la gestione del dolore cronico e i disturbi del sonno».

Meroni fa una chiara differenza tra il paziente geriatrico, con tutte le sue comorbidità, e la persona anziana che invece, quando arrivano i guai della vecchiaia, si trova semplicemente a gestire gli inevitabili e fisiologici cambiamenti: «Per continuare a stare bene non bisogna lasciarsi andare, mantenendosi mentalmente e fisicamente, coltivando interessi, accettando però i nuovi limiti fisiologici dell’età che avanza». È l’invito di un approccio alla vita con atteggiamento non giovanilistico («senza cercare inutilmente performance che cambiano con l’età»), bensì equilibrato: «Che renda più lieve il peso degli anni, senza pensare al senso di perdita per ciò che non è più come prima, perché nella persona che invecchia l’adeguamento delle risorse fronto-esecutive è naturale come lo è il regredire della pianificazione di un’azione, dell’elaborazione e della velocità del pensiero. Capacità che vengono un po’ meno a causa della diminuzione fisiologica dei neuroni».

In modo speculare, per farsi carico del paziente geriatrico (anziano con malattie croniche e comorbidità più o meno gravi) non risulta altresì rilevante stabilire soglie per l’anzianità: «Il geriatra e tutto il personale medico-sanitario devono chinarsi sul miglioramento della qualità e soprattutto sull’appropriatezza delle cure e dell’assistenza di questi pazienti». Qui si apre inevitabilmente lo spartiacque tra quel prima e quel poi che la pandemia da coronavirus ha provocato: «In generale, ci si ammala in primis perché si vive più a lungo e la diffusione di patologie croniche è quindi crescente, comprese quelle disabilitanti che si sono evidenziate in questa situazione di pandemia», spiega il dottor Meroni, che mette in relazione le sindromi tipiche dei pazienti geriatrici con, ad esempio, l’isolamento degli anziani indotto dalle misure di protezione da Covid-19.

«È innegabile che l’isolamento sia associato a una serie di circoli viziosi che con la pandemia si sono accentuati in modo importante: ho potuto osservare pazienti con problemi di mobilità ed equilibrio pregressi, che oggi si sono significativamente intensificati. Dal lockdown sono arrivati nuovi pazienti con una sospetta o evidente accelerazione dei deficit cognitivi, prima tamponati e compensati in qualche modo dalla rete sociale che poi è andata in frantumi».

Un esempio: «Riguardo alle demenze, la chiusura dei centri diurni terapeutici (su cui anche le famiglie potevano contare) ha portato a un isolamento di molti anziani poi visibilmente regrediti. Per questo, una menzione di merito va all’attivazione della presenza a domicilio laddove si sia potuta attuare». La perdita della routine quotidiana ha comportato un peggioramento della salute dell’anziano, trasformandolo in paziente geriatrico. Riflessioni che aprono l’importante capitolo delle cure dispensate ai pazienti geriatrici che hanno contratto il Covid-19, come pure la loro presa a carico e tutto ciò ad essa correlato.

A questo proposito il geriatra si pone alcune domande il cui presupposto risiede in uno dei quattro fondamentali principi di bioetica, affermando che «nel prestare servizio anche in una casa per anziani durante la pandemia, ho pensato a quanto sia importante applicare il principio di Non Maleficenza o primus non nocere: tutti noi dovremmo riuscire a preparare nel tempo l’anziano e i suoi parenti verso il rispetto della sua dignità, evitandogli ogni sofferenza che possa essere conseguente a un atto medico».

Egli ribadisce che non si tratta di valutare più preziosa la vita di un giovane o di un adulto («tutte le vite hanno lo stesso valore, a prescindere dall’anagrafe»), bensì di agire con la persona anziana in modo da curarla senza arrecare danno psicofisico. Quindi ci parla del confinamento ospedaliero di pazienti geriatrici con deficit cognitivi: «Essi sono tolti dal loro ambiente di casa di cura e ospedalizzati, con necessità a volte di sedazione farmacologica e conseguente sviluppo di una cascata di complicazioni (delirium, sindrome da immobilizzazione, eccetera) a ripercuotersi nell’immediato e più a lungo termine nei soggetti guariti da Covid-19 (incapacità di camminare per la perdita di tono muscolare, l’incapacità di nutrirsi dopo un lungo periodo di intubazione, e via elencando). Gli anziani più fragili hanno sicuramente una migliore prognosi e qualità di vita/cura se assistiti adeguatamente in casa per anziani, dove tutto è familiare e rassicurante, compresa la voce del sanitario che si occupa di loro».

Dinanzi alla persona anziana e fragile il geriatra e tutto il mondo sanitario devono davvero «riflettere sulla pertinenza di ogni atto medico», privilegiando le scelte che rispettino quel non nocere a favore di un accompagnamento che comprenda anche i famigliari: «Questa è la medicina, la geriatria del futuro, per le persone di una certa età, a prescindere da tutte le cure mediche che possiamo prodigare. Diamo perciò sempre importanza alla riflessione sulle priorità delle cure nelle persone anziane».