Quando la malattia ci ruba la memoria

Disturbi neurodegenerativi – Un libro per raccontare storie di Alzheimer, tra chi ne soffre, i famigliari e i curanti
/ 01.11.2021
di Sara Rossi Guidicelli

Può colpire chiunque, con l’età è sempre più frequente, toccherà quasi alla metà di tutti noi, dopo i 90 anni, ma esistono anche forme giovanili. Parliamo di disturbi neurocognitivi maggiori, come Alzheimer, demenza senile e altre forme più rare.

L’associazione Alzheimer Ticino, che tra pochi mesi compie 30 anni di vita, ha sostenuto la pubblicazione di un libro sull’argomento che si legge come un libro di narrativa. L’autrice è la scrittrice Manuela Bonfanti Bozzini che ha raccolto storie di vita. Quando nel 2016 sua mamma si è ammalata di una forma rara di malattia neurodegenerativa, Manuela (che ha una formazione in metodologie autobiografiche) ha capito che la mamma stava per perdere grossi pezzi della sua memoria e così ha deciso di raccoglierne la storia. Questione di poche pagine, non un libro intero. Poi però ha pensato di provare a conservare altre storie di altre persone che iniziavano a dimenticarsene, come stava accadendo a sua madre.

Nel frattempo la situazione a casa diventava sempre più difficile a livello organizzativo e Manuela e i suoi fratelli si sono interrogati su quali fossero le cure e l’accompagnamento più adatti per starle meglio vicino.

Di bisogno in bisogno, la scrittrice ha agito e chiesto. Ha intervistato chi come lei si stava occupando di un parente stretto con l’Alzheimer, con il sostegno di alcune volontarie operanti nel settore. Si informava per la mamma e si rendeva conto che quelle strategie potevano servire anche ad altri. Scriveva e strutturava intanto un libro in tre parti: siamo arrivati alla fine a 55 interviste, trascritte con lingua viva, la lingua specifica di ognuno: nella prima parte ci sono le storie di vita di persone affette da malattia, una seconda parte raccoglie testimonianze dei loro parenti e l’ultima è dedicata al personale curante specializzato. «Sono molto d’accordo con quel proverbio che dice “Quando muore un uomo brucia una biblioteca”», spiega Manuela. «Ho studiato alla Libera Università dell’Autobiografia e parte del mio lavoro consiste proprio nel far raccontare alle persone la propria storia. Se penso a qualcuno che si trova confrontato con una diagnosi di perdita di memoria, mi chiedo: chi più di costui necessita di mettere su carta il proprio racconto? Non importa che sia completo né oggettivo. Al contrario, non può che essere incompleto e molto soggettivo: ognuno ha il diritto di ricordare e raccontare la propria vita come vuole. Ma in qualche modo bisogna fregarla, quella ladra di memorie».

La prima parte del volume ci ricorda che nonostante tutto si rimane sempre una persona. Per quanto la personalità muti e mutino la capacità di ragionare e di comunicare, quella che abbiamo davanti continua a essere una donna o un uomo e non solo un malato. Proprio per coerenza con questo assunto, l’autrice si occupa, nella seconda parte della sua ricerca, di provare a capire cosa possono fare i parenti che rimangono accanto a chi perde una parte così grande di se stesso. «So che è molto difficile; il cambiamento di vita è immenso. È complicato accorgersi e ammettere che sta succedendo qualcosa; è doloroso accettarlo e poi trovare le strategie per continuare a sostenere il proprio caro. A volte si può passare molto tempo anche a chiedersi: devo tenerlo a casa? Meglio portarlo in una struttura per anziani? Cosa penseranno di me se lo lascio alle cure di altri? Cosa vorrebbe lui? Cosa vorrei io? Cosa posso permettermi? A quali aiuti ho diritto?». Le donne, soprattutto. Ancora ci tiriamo dietro quell’idea che dovremmo riuscire a tenere insieme tutti i pezzi della famiglia, comunque vada. Pensiamo che dovremmo farlo e che dovremmo volerlo, altrimenti non siamo brave mogli, brave figlie, brave donne. «Se a un uomo succede di doversi occupare di moglie, figli o genitori o anche solo della casa, e non ce la fa, la gente è più indulgente, lo capisce. Magari gli dà anche una mano. Da una donna invece, ancora spesso, ci si aspetta che ce la faccia. Questo è il primo nemico contro cui combattere: l’idea di potercela (e dovercela) fare da sola». A questo d’altronde servono associazioni come Alzheimer Ticino, che ha sostenuto la pubblicazione di Ladra di memorie. Storie di Alzheimer e altre malattie neurocognitive.

Leggendo il libro, si ricevono così, in modo più o meno esplicito, molti consigli, strategie di sopravvivenza; uno degli ingredienti più importanti per affrontare la malattia sembra essere la pazienza; ma anche l’accettazione della nuova situazione (delle continue nuove situazioni a mano a mano che la malattia progredisce); e la capacità di chiedere aiuto. Una delle persone intervistate parla del delicato equilibrio tra assecondare il malato e dirgli la verità: quando tuo marito (o tua madre, padre, nonna, moglie) comincia a chiamarti mamma e si convince che lo sei, è inutile cercare di farlo ragionare. Non serve sbattere in faccia la realtà né sgridare né contraddire. Questo vale per qualsiasi «nuova credenza» egli si metta in mente. Però non è neanche giusto mentire. Meglio assecondare e poi, delicatamente, cercare di andare verso qualcosa di reale.

La comunicazione si sposta su un altro piano: fuori dalla logica, dalla cronologia, e a un certo punto anche fuori dal linguaggio delle parole. Anche se all’inizio sembra solo una condanna, questo può tuttavia anche darci un’opportunità. Coccolare, guardarsi negli occhi, toccarsi. Cercare di capirsi, nonostante tutto. Magari non si parla più di «cosa hai mangiato a pranzo» ma piuttosto «dei giochi che facevi da piccolo». L’importante diventa passare un bel momento insieme, qui e ora, senza cercare di fare qualcosa che lasci un ricordo. «La maggior parte dei problemi nascono da noi, da come noi ci relazioniamo con una persona che soffre di malattie neurocognitive maggiori. Quindi dobbiamo operare un cambiamento dentro noi stessi e provare a trovare il modo di stare insieme».

E così si arriva alla terza parte, quella più professionale. Attraverso le parole di altre 20 voci, tra infermiere, assistenti di cura, medici, badanti, Ladra di memorie offre riflessioni, metodi e esempi di cura. Ripercorre gli ultimi quarant’anni di studi e accorgimenti che nel Canton Ticino hanno portato a un cambiamento fondamentale: da quando si chiamava un po’ tutto arteriosclerosi e si eseguivano soprattutto terapie farmacologiche fino alla rivoluzione degli ultimi venti anni, a livello di strutture, di formazione del personale e soprattutto a livello metodologico. Una delle intervistate racconta che a un corso di specializzazione le è stato proposto un esercizio in cui le avevano bendato gli occhi e poi le avevano messo in faccia all’improvviso una lavette bagnata e poi un cucchiaino in bocca. Ecco: in quel momento aveva capito come può essere sgradevole la sensazione del corpo violato, del gesto sgarbato.

Un’altra presa di coscienza: una volta una persona affetta da Alzheimer ha detto che stentava a riconoscere le operatrici perché le sembravano tutte uguali, con quella divisa dello stesso colore; allora alla casa anziani di Acquarossa hanno pensato di indossare ognuna un colore diverso e di colpo sono«diventate anche loro umane». La «arancionina» racconta che da quel momento gli ospiti riuscivano a distinguerle molto meglio e la relazione ne beneficiava.

Alla fine, chiediamo a Manuela Bonfanti Bozzini che cosa le rimane, cosa resta di più da un lavoro così lungo e approfondito: «Tanta ammirazione, per tutti quelli che si impegnano. Gratitudine, per chi mi ha offerto un pezzetto di sé. E qualche auspicio: che le case per anziani continuino a essere posti di vita, che possano aumentare sia il personale sia la formazione, perché sono essenziali. E perché a livello mondiale oggi ci sono 50 milioni di persone che convivono con una forma di demenza e questa cifra è destinata a crescere fino a 152 milioni nel 2050. Infine, credo di aver capito che non si sa mai cosa si vorrebbe dopo. Forse adesso potrei dire che voglio vivere solo se sono sana e mentalmente integra. Ma credo che se capiterà anche a me di ammalarmi di Alzheimer o simili, vorrei solo avere delle persone che mi stiano vicine con la convinzione che la mia vita vale comunque la pena di essere vissuta, fino all’ultimo».

Ladra di memorie sarà presentato allo Spazio Aperto in via Geretta 9a, a Bellinzona, il 10 novembre alle 17.00. Dopo quella data, il libro sarà disponibile nelle librerie o presso Alzheimer Ticino. Tutti i proventi delle vendite andranno all’associazione.