Mauro Caccivio dirige il team per la qualità dei sistemi fotovoltaici presso Supsi
(B. Vogel)

Non tutti i PVB sono uguali

Consultando il costruttore di allora, la Arco Solar, e dopo diversi test, i ricercatori della Supsi hanno scoperto che il materiale incapsulante usato per i moduli del Tiso-10 è PVB. Con molta probabilità, per la produzione dei 288 moduli del Tiso-10, la ditta costruttrice impiegò PVB di tre diversi fornitori (A, B e C). Anche se la formulazione di base è sempre la stessa, dai risultati del recente studio della Supsi è emerso che le leggere differenze nella composizione chimica hanno influito in modo determinante sulla longevità dei moduli.

I moduli del fornitore di PVB del tipo «A» sono ancora in buone condizioni dopo 35 anni. La superficie è chiara e il calo di rendimento (degrado) è in media dello 0,2% all’anno, pertanto, dopo 35 anni, i moduli di questa famiglia presentano ancora una produttività media del 93% rispetto a quella inizialmente garantita. I moduli del fornitore «B» presentano alcune parti ingiallite, dovute a surriscaldamenti locali e raggi UV. Dopo 35 anni il rendimento si attesta in media al 76% del rendimento originario. La metà «migliore» di questi moduli presenta ancora un rendimento medio del 78,3% (degrado annuo dello 0,62%) raggiungendo quasi la percentuale di degrado garantita dal costruttore. I moduli del fornitore «C» – in totale 15 – presentano danni così gravi da renderli inutilizzabili. / BV 

Incapsulante: protezione e isolamento delle celle solari

Uno strato di materiale plastico garantisce alle celle solari in silicio e in altri materiali semiconduttori la massima produzione di energia elettrica il più a lungo possibile. Il materiale plastico scelto per la laminazione (processo con cui si «fonde» l’incapsulante e si elimina l’aria in eccesso) protegge la cella da eventuali danni dovuti a urti ed eventi atmosferici avversi come, ad esempio, la pioggia o la grandine. La laminazione impedisce il contatto delle celle con l’ossigeno e l’umidità, formando uno strato barriera contro la corrosione. Assicura inoltre l’isolamento elettrico delle celle verso l’esterno. Il materiale scelto deve avere caratteristiche di elevata trasparenza e resistenza ai raggi UV, proteggendo in tal modo le celle solari. Il materiale incapsulante deve essere inoltre compatibile con gli altri componenti dei moduli solari come la cella, il vetro frontale, il backsheet e i contatti. / BV


Quando i moduli solari invecchiano

Ricerca Supsi - La conoscenza dettagliata del processo di invecchiamento può fornire indicazioni preziose per i costruttori di nuovi impianti
/ 27.05.2019
di Benedikt Vogel*

Il fotovoltaico è una tecnologia per la produzione di energia elettrica relativamente giovane e molti impianti sono in funzione solo da pochi anni. Tuttavia, anche gli impianti solari invecchiano e riducono così in parte il proprio rendimento, non riuscendo più a soddisfare i requisiti vigenti in materia di sicurezza. La conoscenza dettagliata di questo processo di invecchiamento può fornire indicazioni preziose per i costruttori di nuovi impianti. Per questo motivo, un team di ricerca della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana di Canobbio (Supsi), ha studiato recentemente il primo impianto fotovoltaico collegato alla rete elettrica in Europa. Nonostante siano trascorsi ormai 35 anni dall’inaugurazione, una parte dei moduli solari continua a produrre energia elettrica in modo affidabile e regolare.

Chi acquista un impianto fotovoltaico si aspetta che possa durare per un lungo periodo: solo in questo modo saranno non solo ammortizzati i costi dell’investimento iniziale ma si realizzeranno anche le attese di rendimento con l’energia solare generata. I costruttori, generalmente, garantiscono per i pannelli fotovoltaici da 25 a 30 anni di vita con una produttività, al trentesimo anno, pari almeno all’80% di quella inizialmente garantita. Molti proprietari di impianti fotovoltaici installati nei primi anni 2000 dovranno ricordarsi presto dell’impegno assunto dal proprio fornitore in quanto i loro impianti raggiungeranno nei prossimi anni la vita utile garantita. Si capirà allora qual è l’effettivo decremento della produttività di un impianto fotovoltaico negli anni.

Un team di ricerca della Supsi ha studiato di recente il primo impianto fotovoltaico collegato alla rete elettrica in Europa 35 anni or sono

Non essendo ancora stata creata una base solida di conoscenze comprovate riguardo al comportamento degli impianti fotovoltaici in funzione da trenta e più anni, risultano ancora più importanti le esperienze acquisite con impianti che risalgono alla fase pionieristica dell’energia fotovoltaica. Uno di questi «pionieri» si trova in Ticino e più precisamente a Canobbio, a nord di Lugano, dove nel 1982 è stato collegato alla rete elettrica il primo impianto fotovoltaico d’Europa, soprannominato amichevolmente Tiso-10.

Tiso è l’acronimo di «Ticino solare», mentre il numero 10 rappresenta la potenza, a quei tempi straordinaria, di 10 kWp. Le celle solari di Tiso-10 sono realizzate in silicio monocristallino, un materiale semiconduttore che viene impiegato in prevalenza ancora oggi per la loro produzione. Con la differenza che lo strato semiconduttore non misura più 320 millesimi di millimetro di spessore ma solo la metà circa, con un risparmio di materiale e costi.

Nei primi anni del fotovoltaico i moduli erano più piccoli e costituiti da un numero inferiore di celle. Nel complesso si sono mantenuti in buone condizioni. Almeno, è questa l’impressione che si ha passando oggi da Canobbio: qualche tempo fa Tiso-10 è stato smontato dal tetto dell’Aula Magna della Supsi. L’impianto fotovoltaico è stato rinnovato più volte nel corso della sua lunga vita, con la sostituzione di cavi e inverter. Ma i 288 moduli sono ancora quelli originali: ora sono accatastati sulla terrazza della mensa e brillano sotto il sole mentre gli studenti pranzano all’interno. Alcuni pannelli sono ancora di colore bianco, altri sono rivestiti di una patina marrone. Il foglio plastico di protezione sul retro (backsheet) è danneggiato qua e là.

I moduli fotovoltaici si sarebbero meritati in realtà un posto al museo, ma dovranno attendere ancora un po’. Negli ultimi due anni sono stati al centro di un progetto scientifico che ha visto un team di ricercatori della Supsi e dell’ETH Losanna, con il supporto dell’Ufficio federale dell’energia, impegnati nello studio dello stato dei pannelli. Il risultato principale è notevole: quasi tre quinti (58%) dei 288 moduli fotovoltaici presentano ancora, dopo 35 anni di funzionamento, un rendimento pari o superiore all’80% della potenza iniziale di 35,4 Watt. In altri termini, ben oltre la metà dei moduli soddisfano le garanzie rilasciate oggi dai costruttori nonostante la loro età avanzata.

Questa scoperta vale anche per i moduli prodotti al giorno d’oggi? Mauro Caccivio, responsabile del progetto di ricerca, riflette sulla domanda, quindi scuote la testa e risponde: «Non è possibile fare un confronto diretto tra ieri e oggi. I materiali utilizzati per incapsulamento e backsheet nella produzione dei moduli nonché i concetti per la scatola di giunzione, detta anche junction box, incluso il tipo di diodo, sono cambiati radicalmente nel corso dei decenni, anche per ridurre i costi di produzione», così Mauro Caccivio, che dirige il team Supsi per la qualità dei sistemi fotovoltaici. «Tuttavia, i materiali sono decisivi per la durata dei moduli. Proprio questo è un risultato centrale del nostro studio».

Per conferire una lunga durata alle celle solari si applica un film protettivo in plastica trasparente (incapsulante). Generalmente, i costruttori dei moduli fotovoltaici tradizionali in silicio utilizzano oggi etilene vinil acetato (EVA) come materiale incapsulante delle celle. Questo materiale, anallergico e atossico, utilizzato anche come materia prima per i sandali colorati, ha una buona lavorabilità e il processo termico sottovuoto, chiamato laminazione, ha un costo contenuto. Ma l’EVA non è senza rivali.

Come, ad esempio, nella costruzione di moduli fotovoltaici particolarmente adatti per soluzioni integrate negli edifici (building integrated photovoltaics/Bipv). In questo caso si ricorre spesso al polivinilbutirrale (o PVB) come materiale incapsulante. Il PVB è un materiale plastico che si trova in altri prodotti d’uso quotidiano: è impiegato, ad esempio, come strato intermedio nella produzione del vetro stratificato di sicurezza usato nei parabrezza. In generale il suo utilizzo nei moduli fotovoltaici è ancora relativamente limitato ma, con l’avvento dei moduli bi-facciali, che sfruttano la luce da ambo i lati, e la conseguente diffusione di moduli che hanno un altro vetro al posto del backsheet bianco, la possibilità di usare moduli vetro+vetro con PVB invece di EVA potrebbe riprendere vigore.

Da qui il collegamento con il progetto di ricerca della Supsi menzionato sopra: i moduli del Tiso-10 sono stati infatti costruiti nei primi anni Ottanta con materiale incapsulante PVB e precisamente con tre diversi tipi e composizioni di questo materiale. I risultati della ricerca indicano che la vita utile varia notevolmente in base alla composizione (cfr. riquadro: «Non tutti i PVB sono uguali»). «I risultati della nostra ricerca confermano che nel caso di uno dei tre tipi di PVB si tratta di un materiale particolarmente adatto per la produzione di moduli a lunga durata che devono resistere agli agenti atmosferici», dichiara Mauro Caccivio, ricercatore della Supsi. «Individuare l’esatta composizione chimica del tipo di PVB resistente alle intemperie consentirà ai laboratori di ricerca sui materiali di sviluppare un incapsulante in grado di garantire una lunga vita ai moduli solari».

Che ne sarà di Tiso-10? Cosa succederà ai moduli che sono accatastati sulla terrazza della mensa a Canobbio? I ricercatori della Supsi hanno deciso di rimetterli in funzione per produrre energia elettrica. Non tutti i moduli, solo quelli che si sono mantenuti in condizioni particolarmente buone, saranno utilizzati per la costruzione di un impianto destinato al nuovo campus di Mendrisio dove la Supsi si trasferirà nel corso del 2019. I moduli «antichi», che nel frattempo avranno raggiunto la ragguardevole età di 35 anni, potranno così tornare a produrre energia elettrica dal sole. Prossimo traguardo: 40 anni. 

* Su incarico dell’Ufficio federale dell’energia (UFE).

Informazioni
• Il rapporto finale relativo al progetto Tiso 35+ è disponibile all’indirizzo: https://www.aramis.admin.ch/Default.aspx?DocumentID=49977
• Per maggior dettagli sul progetto è possibile contattare il Dr. Stefan Oberholzer (stefan.oberholzer@bfe.admin.ch), responsabile del programma di ricerca Fotovoltaico dell’UFE.
• Altri articoli specialistici su progetti di ricerca, progetti pilota, di dimostrazione e faro in materia di Fotovoltaico sono disponibili all’indirizzo: www.bfe.admin.ch/ec-PV.