La maggior parte degli uccelli acquatici selvatici che svernano da noi arriva da metà novembre a metà dicembre. La diminuzione dei casi di influenza aviaria negli uccelli acquatici selvatici dell’Europa è posta come dato di fatto dall’Ufficio federale di veterinaria e sicurezza alimentare (Usav). Malgrado ciò, gli esperti ricordano che la malattia non è scomparsa, anzi: «I rapporti aggiornati contengono segnali di allarme simili a quelli che hanno preceduto l’aumento dei casi di influenza aviaria negli uccelli selvatici in Svizzera nel 2016/2017 e nel 2020/2021».
Sulla base del concetto «prevenire è sempre meglio che curare», l’Usav agisce quindi tempestivamente in maniera preventiva: solo una preparazione adeguata permette di agire anticipatamente. Atteggiamento per nulla gratuito, suffragato dai recenti eventi di recrudescenza della malattia: «Dall’inizio dell’anno si sono verificati diversi casi di influenza aviaria ad alta patogenicità in aziende agricole e tra uccelli selvatici nell’Europa orientale e in Germania». Ma non solo: è fresca la notizia che riporta come anche nella vicina Penisola si sia riscontrato «un ceppo grave» di focolaio nel Lazio, dove un caso di influenza aviaria è stato accertato in un allevamento situato a Ostia Antica. Notizia che ha delimitato subito una zona di protezione per un raggio di tre chilometri, e misure straordinarie di sorveglianza nel raggio di dieci, insieme a un monitoraggio ad horam della situazione.
La reazione è stata immediata, si legge nella nota rilasciata dall’Assessorato alla Sanità della Regione Lazio: «A seguito dei regolari controlli relativamente all’insorgenza di una mortalità anomala nell’ambito di un allevamento avicolo non commerciale, in campioni di volatili è stato rilevato un caso di virus di influenza aviaria, confermata dal rapporto del Centro di referenza nazionale dell’Istituto Zooprofilattico». Anche stavolta, osserva il presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti: «È stato importantissimo intervenire immediatamente».
Dal canto suo, l’Usav giustifica la prevenzione stretta, spiegando la patologia della quale stiamo parlando: «L’influenza aviaria è causata dal virus dell’influenza A dei sottotipi H5 e H7, e si distingue fra quella ad alta o bassa patogenicità. In seguito a mutazioni, i virus a bassa patogenicità si possono trasformare in virus ad alta patogenicità (HPAI), ed essendo una zoonosi (ndr: anche detta epizoozia, malattia trasmissibile da animale a uomo) l’HPAI può colpire l’animale (anche i suini possono contrarlo) e soprattutto l’uomo».
Nell’animale la malattia viene descritta prendendo ad esempio il pollame: «Quello affetto da influenza aviaria ad alta patogenicità manifesta difficoltà di respirazione; nei polli la malattia causa un calo della produzione di uova e un’elevata mortalità». Nella sua manifestazione, si evidenziano pure i gusci delle uova più sottili o del tutto assenti, oltre a tumefazioni nella zona della testa e un atteggiamento sonnolente. La cosa che complica il tutto e favorisce il contagio è però data dal fatto che: «In genere, gli uccelli acquatici non presentano sintomi».
Ecco che la prevenzione assume in questo caso una valenza ancora più importante: in presenza di problemi non chiari, nell’effettivo con sintomatologia simile all’influenza aviaria ma senza sospetto urgente, come misura di prevenzione i veterinari o il servizio patologie possono effettuare un prelievo di campioni «per escludere un’infezione da tale virus. In tal caso, non devono essere presi provvedimenti di pulizia epizootica (art. 84 dell’Ordinanza sulle epizoozie)».
Tutt’altra faccenda si presenta con il contagio e con la diffusione dell’influenza aviaria che avviene attraverso le vie respiratorie, «mediante l’inalazione di goccioline contaminate di provenienza nasale, orale o oculare». La trasmissione, sottolinea sempre l’USAV, «può avvenire anche attraverso l’inalazione di polvere contaminata entrata in contatto con escrementi contenenti l’agente patogeno, e gli animali giovani sono i più ricettivi alla peste aviaria». Le misure di prevenzione per contrastare la diffusione di questa epizoozia in Svizzera passano attraverso le disposizioni da parte della Confederazione che può imporre una restrizione temporanea alla detenzione all’aperto del pollame.
Inoltre, l’Usav può avvalersi di decreti d’urgenza che regolano l’importazione di pollame e dei suoi derivati dai Paesi in cui è presente l’HPAI. Poiché non dobbiamo dimenticare l’alta contagiosità di questa epizoozia, ne risulta giustificato l’obbligo di notifica in caso di sospetto o comparsa. Mentre le misure di lotta adottabili possono giungere, se necessario, all’abbattimento di tutti i capi degli allevamenti colpiti e nella definizione di zone di protezione e sorveglianza, come abbiamo potuto constatare nel caso occorso alla regione Lazio.
Le persone che vivono in stretto contatto con i volatili affetti, come accade in molte regioni dell’Asia e in Africa settentrionale, sono maggiormente a rischio di contrarre questo virus i cui primi sintomi «appaiono in genere da due a quattordici giorni dopo il contagio e si manifestano con gravi disturbi di tipo influenzale».