Polveri sottili, insidia per il cervello

Prime ricerche scientifiche comprovano gli effetti nefasti dell’esposizione ai PM10 e PM2.5
/ 08.05.2017
di Sergio Sciancalepore

Quest’anno, tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio, in Ticino ha tirato davvero una brutta aria. Non è stata la prima volta e non sarà l’ultima. L’inquinamento atmosferico da polveri sottili (il cosiddetto PM10) ha fatto registrare valori ben al di sopra di quelli fissati dalla normativa federale in materia, con picchi giornalieri di 90-100 microgrammi per metro cubo d’aria a Chiasso e a Mendrisio, condizione favorita dallo scarso rimescolamento dell’aria e dalla prolungata assenza di precipitazioni. (Ndr: se n’è parlato sul numero di «Azione» del 27 marzo 2017).

Sono numerose le ricerche condotte in tutto il mondo – per la Svizzera, lo studio Sapaldia – che hanno descritto gli effetti sull’apparato respiratorio e cardiovascolare da esposizione prolungata alle polveri sottili: si è potuto dimostrare che il PM10 è un importante fattore di rischio per l’asma, la bronchite cronica, i tumori polmonari, le malattie cardiovascolari come l’infarto e l’ictus. Il PM10, inoltre, «nasconde» in sé un ulteriore fattore di rischio per la salute, il PM2.5, composto da particelle più piccole e insidiose: si stima che il PM10 sia costituito per il 65-85 per cento da particelle di PM2.5. Per avere un’idea delle dimensioni di queste polveri, se una particella di PM (dall’inglese Particulate Matter) 10 è dieci volte più sottile di un capello, una di PM2.5 lo è trenta volte e le dimensioni fanno la differenza: il PM10 arriva (con l’aria che respiriamo) fino ai bronchi, il PM2.5 penetra fino agli alveoli polmonari, quelle minuscole sacche dove avviene lo scambio di ossigeno e anidride carbonica tra aria e sangue.

Gli esperti hanno cominciato a chiedersi se i danni da PM – già di per sé preoccupanti – per la salute di cuore e polmoni si estendano anche ad altre parti dell’organismo, per esempio al sistema nervoso: le ricerche in tal senso sono ancora poche, ma negli ultimi anni hanno subito un’accelerazione e i primi, sia pur parziali risultati, sono molto significativi.

Una di queste ricerche è stata pubblicata all’inizio dell’anno (il testo, in inglese, è disponibile liberamente tramite il link doi:10.1038/tp.2016.280) ed è stata condotta da una decina di università degli Stati Uniti: lo scopo, sapere se la esposizione prolungata al PM2.5 aumenta il rischio di sviluppare varie forme di decadimento cognitivo come le demenze, in particolare la malattia di Alzheimer. Sono state osservate 3600 donne tra i 65 e i 75 anni d’età, residenti in zone urbane con livelli diversi di PM2.5 per il periodo 1999-2010, al termine del quale le donne sono state sottoposte a test di valutazione delle capacità mentali.

Per le donne esposte ai valori più elevati di PM2.5 (tra 14 e 22 microgrammi per metro cubo d’aria) è stato riscontrato un notevole aumento (+81 per cento) del rischio di sviluppare un declino cognitivo generale e un aumento ancor maggiore (+91 per cento) di quello di sviluppare la malattia di Alzheimer, rispetto alle donne residenti in aree con concentrazioni minori di PM2.5. I ricercatori hanno però cercato prove ulteriori per validare tali risultati e si sono chiesti: cosa succede nel cervello di topi che respirano la stessa aria?

Sono state riprodotte le stesse variabili composizioni dell’aria respirata dalle donne e le hanno somministrate per 15 settimane ai topi, in laboratorio. I risultati sono sovrapponibili a quelli dell’esperimento umano, infatti i cervelli dei topi presentano le tipiche caratteristiche dei cervelli di malati di Alzheimer, cioè l’accumulo di una sostanza anomala (la beta-amiloide) che si ritiene essere la causa – o una delle cause – della degenerazione del cervello. Naturalmente, i cervelli più danneggiati risultano essere quelli dei topi esposti alle concentrazioni più elevate di PM2.5.

Una conferma del potenziale neurotossico del PM2.5, viene da uno studio condotto dall’università della California del Sud (il testo, in inglese, è disponibile liberamente tramite il seguente link). In questo caso si è studiato l’effetto del PM2.5 sulla quantità di sostanza bianca contenuta nel cervello: la sostanza bianca è formata, in gran parte, dall’insieme delle fibre nervose che collegano le varie parti dell’organo. 1400 donne di età superiore ai 65 anni, esposte nel periodo dal 1999 al 2006 all’aria delle rispettive zone di residenza, sono state sottoposte al controllo della struttura del cervello tramite la risonanza magnetica: usando precise tecniche di analisi, i ricercatori hanno misurato il volume della sostanza bianca cerebrale.

Nelle donne esposte alle concentrazioni più elevate di PM2.5 (da 14 a 22 microgrammi per metro cubo d’aria) la perdita di sostanza bianca è stata in media pari a circa 21 grammi rispetto alle donne con esposizione più bassa (PM2.5 da 6 a 10): si stima che una perdita di questa entità corrisponda a un ulteriore invecchiamento cerebrale (oltre a quello naturale) provocato dal PM2.5 dell’ordine di alcuni anni. Stranamente, la materia grigia del cervello – costituita dalle cellule nervose – non ha subito danni.

Come si è detto, gli effetti neurotossici del PM2.5 richiedono ulteriori studi anche per capire esattamente il meccanismo (più probabilmente, i meccanismi) di tale azione lesiva. In ogni caso, i dati provenienti da questi e altri studi indicano che i valori di esposizione al PM e in particolare al PM2.5 vanno tenuti il più possibile bassi, molto bassi, soprattutto quelli ai quali siamo esposti più a lungo, quelli medi annuali. L’Agenzia USA per la protezione dell’ambiente (EPA) indica un limite massimo medio annuale di 12 microgrammi per metro cubo, mentre l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) raccomanda un valore più basso, cioè 10.

In Svizzera, l’Ordinanza federale contro l’inquinamento (OIAt) fissa un limite di 20: secondo i dati dell’Osservatorio Ambientale della Svizzera italiana nel 2015 la media annua in Ticino è stata di 23, in crescita rispetto ai valori dei tre anni precedenti. È vero che l’inquinamento da PM è in calo da parecchi anni, tuttavia si deve puntare su valori più bassi, come suggerito dalla Commissione federale per l’igiene dell’aria, specie per il PM2.5: infatti, come dimostrano i due studi citati, i danni sono già evidenti con concentrazioni tra 10 e 12 microgrammi per metro cubo.