Il futuro degli spazi verdi cittadini passa dalla rete. Non tanto in senso virtuale, ma piuttosto applicando il medesimo principio all’ambiente. Collegare le zone di svago pubbliche significa assicurare continuità dal punto di vista ecologico e della loro fruizione. Il primo è basilare per la loro stessa esistenza, la seconda in radicale trasformazione con un uso che varia sull’arco temporale anche di una singola giornata. Verde e acqua sono gli elementi principali della natura assimilata alla realtà urbana con l’obiettivo di assicurare benessere alla comunità. Non si tratta di puntare su grandi progetti ma di intervenire in modo mirato secondo una visione integrata a lungo termine. Con quali mezzi? Secondo quali strategie? Ce lo spiega Federico de Molfetta, giovane architetto paesaggista con studio a Lugano, ospite lo scorso maggio di un incontro a più voci nell’ambito dei «Dialoghi sulla mutazione del territorio», appuntamenti organizzati dall’istituto internazionale di architettura i2a nella sua sede luganese.
Una nuova generazione di professionisti del paesaggio con esperienza internazionale guarda al futuro con slancio e competenza. Purtroppo sovente il loro campo d’azione viene ancora identificato con la realizzazione di parchi e giardini. In realtà il complesso sviluppo dell’attività umana in relazione al paesaggio li chiama oggi a pianificare e progettare su scala più ampia, all’interno delle aree urbane, lungo le vie di comunicazione, nelle zone industriali. L’architetto paesaggista valuta la situazione nel suo insieme, dalla pianificazione del territorio alle questioni tecniche, dagli aspetti ecologici a quelli socio-culturali, coordinando l’apporto di specialisti di diverse discipline. In Ticino gli studi membri della Federazione Svizzera degli Architetti Paesaggisti (FSAP) sono meno di una decina. La loro visione inizia ad emergere, come testimonia a Lugano la rinaturazione della foce del fiume Cassarate, progetto firmato da Sophie Agata Ambroise.
«Per la città di Lugano – destinata ad assumere un ruolo guida a livello cantonale anche in questo ambito, viste le dimensioni e la densità demografica – la Foce rappresenta un progetto centrale. Al suo recupero è legato quello dell’intero asse del fiume, che diventerà uno degli elementi strutturanti del paesaggio cittadino». Così si esprime Federico de Molfetta, per il quale la nuova foce del Cassarate rappresenta l’inizio di una profonda trasformazione dell’insieme degli spazi verdi della Città. Spiega l’architetto paesaggista: «Oggi siamo ancora condizionati da una cultura del giardino che ci porta a identificare la presenza della natura in città in luoghi delimitati come il Parco Ciani. Anche la fruizione del lago è legata al passato: da ammirare come fosse una cartolina. La cultura contemporanea esige invece spazi liberi e flessibili, solo in parte organizzati. Spazi da mettere in rete a beneficio del rispetto ecologico e del loro uso. Ai nostri giorni natura non significa aiuole colorate tutto l’anno. Lo scorrere del tempo, il ciclo di vita, le trasformazioni, sono parte integrante della natura e non vanno nascosti. Gli elementi naturali sono dinamici e come tali vanno mostrati, ad esempio lasciando che il fiume sposti i ciottoli e che le erbe abbiano visibilità. Un parco monumentale come il Ciani va conservato quale esempio della sua epoca, ma in altri ambiti bisogna osare e rinnovare secondo i criteri e le esigenze del nostro tempo».
La Città di Lugano ha compiuto qualche tentativo in questa direzione, tentativo non proprio accolto a braccia aperte. «Esatto», constata Federico de Molfetta. «Le nuove idee non mancano e le autorità iniziano a dimostrare consapevolezza e coraggio, ma il territorio non sembra ancora pronto per questo tipo di rinnovamento. Prevale un atteggiamento di chiusura. È una questione culturale e quindi i tempi di elaborazione sono lunghi. Le nuove generazioni spingono però in questa direzione, ricercando una nuova relazione con il paesaggio. D’altronde non vi sono alternative. Per preservare l’ambiente nel quale vive, la società urbanizzata contemporanea deve necessariamente attuare questi cambiamenti».
L’architetto paesaggista ribadisce come non si tratti di stravolgere l’esistente. Gli spazi liberi per progetti grandiosi non esistono più e i mezzi finanziari sono limitati ovunque, a Lugano, nella «Città Ticino», come pure nella altre realtà urbane svizzere ed estere. Si tratta di intervenire con piccole trasformazioni sostenibili, il cui valore cresce per il fatto di essere messe in rete. Precisa l’intervistato: «La frammentazione alla quale assistiamo nel fondovalle ticinese è un retaggio dell’epoca moderna. Dopo quarant’anni è necessario cambiare modello di intervento sul territorio, considerando quest’ultimo nel suo insieme. Una necessità determinata anche dagli importanti mutamenti in atto, legati soprattutto allo sviluppo tecnologico». Il ruolo dell’architetto paesaggista diventa a questo punto centrale, perché basato su un approccio globale e multidisciplinare.
Gli esempi virtuosi di spazi riconcepiti e rivitalizzati ad opera degli architetti paesaggisti non mancano. L’esperienza internazionale di Federico de Molfetta lo porta a citare innanzitutto modelli americani. Dopo l’Accademia di Architettura di Mendrisio egli si è infatti specializzato alla Harvard Graduate School of Design (USA), collaborando in seguito con studi di architettura del paesaggio a Lisbona e Berlino. «Negli Stati Uniti e in Canada già da diversi anni si promuovono interventi di questo tipo secondo il concetto del rewilding (riportare a uno stato selvatico). Penso ad esempio al Brooklyn Bridge Park, il parco realizzato a New York lungo il fiume rivitalizzando un’area post-industriale. Anche il Waterfront Toronto è un progetto articolato che recupera l’accesso al lago Ontario per favorire nuove attività di svago basate sulla scoperta e l’esplorazione. Benché riferiti a scale più vaste, questi esempi sono validi anche per la nostra regione, perché lo stile di vita e i problemi da risolvere nei centri urbani sono i medesimi».
Per Federico de Molfetta uno dei casi esemplari più vicino a noi è la Sechseläutenplatz a Zurigo che viene oggi vissuta e sfruttata in molteplici modi grazie alla sua trasformazione, caratterizzata in primo luogo dallo spostamento del parcheggio nel sottosuolo. In essa sono presenti elementi essenziali dello svago frutto di una visione progettuale articolata ma semplice nella sua realizzazione. Scaturita da un concorso internazionale, la nuova piazza offre diversi ambienti, dagli angoli alberati ai giochi d’acqua, dal fondo soffice per i bambini alle zone di sosta, senza dimenticare la possibilità di organizzare manifestazioni, prima fra tutte lo storico Sechseläuten da cui prende il nome. Questa concezione risponde inoltre alle esigenze che si vanno delineando a seguito del riscaldamento globale. Le ondate di calura nella stagione estiva diventeranno più frequenti e i centri urbani dovranno poter offrire ai loro residenti (sempre più anziani a causa dell’invecchiamento della popolazione) spazi ricchi di verde e acqua per garantire ombra e refrigerio. La rete ambientale si trasformerà a sua volta in rete sociale.
Di fronte a questa evoluzione della società e dell’ambiente l’architetto paesaggista si pone con un’attitudine resiliente, ossia favorendo la capacità di adattamento. I nuovi paesaggi urbani devono essere dinamici, sostenibili e promuovere l’esperienza attiva dei loro fruitori. Per raggiungere l’obiettivo è necessaria una stretta collaborazione fra i professionisti e un dialogo continuo e costruttivo con le autorità. In ambito privato resta invece determinante la sensibilità del committente, soprattutto per i progetti con un forte impatto sullo spazio esistente. «Anche gli spazi un po’ negletti – conclude l’intervistato – possono trovare una nuova identità e far parte di un percorso che attraversa espressioni diverse della stessa natura, dal bosco al vigneto, dal lungofiume alla riva del lago. C’è bisogno di continuità e diversità».