Vorrà pur dire qualcosa se Luzia Tschirky corrispondente SRF da Mosca è stata nominata giornalista dell’anno. Tra l’altro è in buona compagnia visto che ad aggiudicarsi il primo posto nel 2020 era stato il trio Fiona Endres, Nicole Vögele e Anielle Peterhans e l’anno prima sempre una donna era arrivata prima, Nicoletta Cimmino, moderatrice sulla SRF del programma d’informazione «Rundschau». La rivista di settore «Schweizer Journalist» ogni anno attraverso la votazione del suo pubblico, in questa edizione 1280 persone, elegge i migliori giornalisti e le migliori giornaliste del Paese. A pensarci quest’anno il premio dell’Associazione dei giornalisti ticinesi è stato vinto da una donna diversa nelle tre categorie radio, tv e fotografia. Insomma le giornaliste ci sono e sono brave. Non che avessimo dei dubbi però vi confesso che quando qualche settimana fa mi sono preparata per partecipare al convegno milanese organizzato da ENWE (www.enwe.org), network europeo di eccellenze femminili in cui mi si chiedeva di fare il punto sulla situazione delle donne nei media in Svizzera ho avuto un attimo di sconforto nel ricordarmi – penna e foglio alla mano – che quasi tutte le maggiori testate sono guidate da direttori uomini. Nella Svizzera italiana l’eccezione è data dalla «Tessiner Zeitung». Qualche timido segnale positivo arriva dalla Svizzera tedesca dove il «Tages-Anzeiger» ha una condirettrice Priska Amstutz e dalla Svizzera romanda che vede invece una donna, Madeleine von Holzen, a capo di «Le Temps».
Tra le ospiti del convegno c’era anche Karen Ross, professoressa di Media e gender alla Newcastle University a commentare e analizzare gli ultimi dati del Global Media Monitoring Project (GMMP), studio internazionale sulla rappresentazione delle donne nei media che si ripete ogni cinque anni. A livello europeo l’analisi di più di 10mila notizie da 32 paesi di cui 2387 dalla stampa, 2279 dalla tv, 2094 dalla radio e 1654 da Twitter, conferma la tendenza: dal 2015 ad oggi soltanto il 28% dei servizi si è occupato delle donne. Per quanto riguarda la Svizzera le donne vengono citate meno spesso degli uomini e sono meno coinvolte o citate in qualità di esperte e commentatrici. La Svizzera italiana ha il dato peggiore con solo il 21,5% di donne menzionate nei media rispetto al 29,1% della Svizzera tedesca, il 27% della Romandia e il 25,7% della Svizzera romancia. In particolare le donne sono sottorappresentate in ambiti tradizionalmente maschili come l’economia (25%) e la politica (23%). Una evidente disparità emerge anche nei titoli ma sorprende che a dedicare più spazio alle donne sia il Blick.ch con il suo 49% rispetto ad esempio al 41% di RTS.ch (41%) o al 14% di «Le Temps». Non è casuale se si considera che il gruppo Ringier al suo interno dal 2019 promuove l’iniziativa EqualVoice volta ad incrementare la visibilità delle donne nei propri media. Anziché introdurre le quote Ringier usa la sua influenza giornalistica e tecnologica per sostenere l’uguaglianza di genere.
In concreto ha creato un algoritmo semantico in grado di misurare la presenza delle donne negli articoli pubblicati dal gruppo. Gli indicatori di riferimento sono due: Teaser Score monitora la presenza delle donne nelle immagini, nei titoli e nei sottotitoli e Body Score tiene conto di quante volte uomini e donne vengono menzionati nel testo di un articolo. Ideatrice di EqualVoice è Annabella Bassler, CFO di Ringier, e i risultati dell’iniziativa si vedono ad esempio nei dati della «Handelszeitung» che attestano una crescita del 10% nella menzione delle donne negli articoli. Il gruppo ha anche creato il suo database di esperte quale strumento di lavoro per i giornalisti e le giornaliste che in questo modo possono facilmente trovare le interlocutrici più adatte e competenti nei diversi settori. Un punto cruciale per colmare finalmente quella lacuna per cui nei media a parlare di economia e politica o di Covid si invitano o si intervistano solo uomini.
Non sorprende dunque scoprire che di banche dati di questo tipo ne sono nate diverse anche qui da noi. Ad esempio l’Associazione Medienfrauen Schweiz (medienfrauen.ch), tra l’altro fondata proprio da Luzia Tschirky, riunisce giornaliste e professioniste dei media e le ordina secondo le loro competenze di modo che se un’organizzazione è alla ricerca della moderatrice per il proprio dibattito pubblico può trovare il profilo più adeguato e competente. Oppure, AcademiaNet, di cui si è parlato alla giornata di ENWE, che mira a creare una rete tra i vari database europei. A presentare la rete è stata Simona Isler, responsabile per le pari opportunità presso il Fondo Nazionale svizzero per la ricerca e, appunto, del progetto Academia.net. Fondata nel 2010 è una rete di eccellenze femminili nei vari ambiti della ricerca scientifica. Lo scopo è di promuoverne la visibilità e la presenza nei consessi accademici dove oggi sono ancora fortemente sottorappresentate. «È così difficile ricevere visibilità se allo stesso tempo sei madre e scienziata» dice Brigitte Galliot, vicedirettrice della facoltà di scienze dell’Università di Ginevra nel video di presentazione del progetto. E non manca solo la visibilità. Vi stupirà sapere che solo il 21% delle cattedre universitarie europee sono assegnate alle donne e in alcuni paesi la media è persino più bassa. La stessa cosa vale per i comitati e le commissioni che assegnano riconoscimenti scientifici, cattedre e fondi di ricerca. Ecco allora che per invertire la tendenza servono gli strumenti giusti.
Sostenuta da un network di organizzazioni di ricerca rinomate e provenienti da tutta Europa, AcademiaNet è stata fondata dalla Robert Bosch Stiftung e nel 2020 è passata sotto la guida del Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica a Berna. Partner scientifici di spessore garantiscono le eccellenti qualifiche delle donne incluse nel database. Non è possibile fare domanda di ammissione ma occorre essere selezionate dalle organizzazioni partner che applicano severi criteri di selezione come ha raccontato Simona Isler al convegno. Solo le migliori di ogni campo accedono. Intanto in questo decennio la banca dati si è arricchita notevolmente e oggi comprende oltre tremila profili europei e internazionali. Le chiedo se nei media, in particolare nella Svizzera tedesca se ne sia parlato, se il progetto finora ha avuto visibilità: «da quando due anni fa sono diventata responsabile del progetto non ho ricevuto nessun tipo di richiesta o attenzione da parte dei media», e questo insomma sembra strano. D’altro canto Simona Isler sottolinea come AcademiaNet agisca a livello europeo e non locale e poi chiarisce un punto interessante: il fatto che non se ne parli non significa che i giornalisti e le giornaliste non utilizzino la banca dati.
Auguriamoci allora che sia così e che tra cinque anni il GMMP, in fatto di rappresentazione delle donne nei media, ci dia buone notizie soprattutto sul fronte dei media digitali. Karen Ross nel suo intervento ha mostrato che purtroppo l’aspettativa riposta nella Rete come strumento di democratizzazione in fatto di pari opportunità e uguaglianza di genere sia stata disattesa. In verità c’è una certa uniformità nel modo di raccontare e rappresentare le donne da parte dei media tradizionali e di quelli digitali.
Oggi, in ambito mediatico, nel perdere lettori e abbonamenti ci si preoccupa tanto di rincorrere i pubblici più giovani, di intercettarne gusti, tendenze e interessi. Non sento mai nessuno parlare del pubblico femminile, delle imprenditrici, delle scienziate, delle mamme, delle infermiere, delle nerd che sarebbero contente di abbonarsi ad una testata in grado di rappresentarle, di raccontare il mondo economico, politico, sociale e culturale anche dal loro punto di vista. Sarebbe ora di farlo e di iniziare a pensare in questa direzione.