La rete di rilevamento SwissMetNet di MeteoSvizzera conta 160 stazioni di misura automatiche che ogni dieci minuti forniscono numerosi dati meteorologici e climatologici, ma anche altri parametri, tra cui quello relativo alla radioattività, accertato costantemente in una settantina di postazioni distribuite sul territorio.
La radioattività ambientale è un parametro che viene oggi monitorato anche a causa dell’incidente di Chernobyl di 33 anni or sono, quando dal reattore nucleare avvenne la dispersione nell’atmosfera di grandi quantità di materiale radioattivo che, vorticando a più di 1200 metri di altezza, in pochi giorni fu trasportato dalle correnti anche in direzione della Svizzera.
Se quindi, all’epoca, le prime informazioni circa i danni prodotti dal disastro arrivarono ben dopo l’aumento della radioattività al suolo, oggi grazie al sistema di monitoraggio ci accorgeremmo nel giro di una decina di minuti se un valore dovesse risultare anomalo. In quel periodo non era, infatti, ancora disponibile un controllo continuo e, in collaborazione con la centrale di allarme Nazionale CENAL (l’organo federale competente per gli eventi straordinari), si decise pertanto di implementarlo in alcune delle stazioni meteorologiche di MeteoSvizzera, come a Magadino, Stabio, Piotta, Locarno Monti, Lugano, Vicosoprano, Poschiavo, Santa Maria e San Bernardino.
Attualmente, la media registrata nelle varie stazioni e consultabile sul sito della Centrale nazionale d’allarme CENAL, oscilla tra gli 80 e i 260 nanosievert all’ora (nSv/h), l’unità di misura per la radioattività ambientale. Una variabilità dovuta soprattutto a differenze della radiazione naturale, la quale è influenzata principalmente dalla configurazione geologica del suolo e dall’altitudine.
Il sistema di sorveglianza viene testato annualmente applicando al sensore una debole fonte radioattiva di cesio 137 che fa immediatamente salire la misura fino a oltre 4000 nSv/h, quindi ben oltre la soglia di 1000 nSv/h, oltre la quale viene generato un allarme inviato direttamente alla centrale. Oltre al monitoraggio continuo sui valori ambientali, sono regolarmente effettuate pure misurazioni su campioni di suolo, vegetazione o derrate alimentari, dato che le particelle emesse il 26 aprile del 1986 a Chernobyl raggiunsero tutta l’Europa e oggi, a 33 anni dal disastro, si misurano ancora tracce radioattive.
Oltre all’incidente della centrale sovietica, anche gli esperimenti nucleari degli anni sessanta sono stati una causa delle immissioni su scala mondiale di radionuclidi artificiali nell’ambiente. Degli elementi altamente persistenti, in particolare il cesio-137 (che ha un tempo di dimezzamento di circa 30 anni) e lo stronzio-90 (circa 29 anni) che impiegano quel periodo si tempo prima di decadere in un altro elemento.
Le campagne di monitoraggio in Ticino vengono svolte dal Laboratorio cantonale (in collaborazione con l’Ufficio federale della sanità pubblica, Ufsp, per i dati ambientali) che pubblica i dettagli sulle misurazioni della radioattività nel rapporto d’esercizio. Nello stesso si legge come alcuni campioni di terra, erba e latte prelevati nei tre punti fissi del nostro Cantone nel 2018 abbiano presentato dei residui leggermente superiori alla media svizzera, ma fortunatamente non tanto alti da destare preoccupazioni di ordine sanitario. Questo dato, in linea con i valori misurati negli scorsi anni, si giustifica con le maggiori ricadute radioattive in Ticino dopo l’incidente di Cernobyl.
Un altro settore implicato nelle misurazioni della radioattività è quello dei funghi selvatici commestibili, essendo questi particolarmente predisposti all’accumulo di cesio-137 grazie alla loro capacità di assorbire e trattenere l’elemento radioattivo dal terreno, con variazioni che dipendono sia dalla specie sia dal luogo di prelievo. I risultati delle analisi svolte dal Laboratorio cantonale nel 2018 hanno rilevato la presenza di Cs-137 in quasi tutti i funghi nostrani e due superamenti del limite di legge fissato a 600 becquerel per Kg (Bq/kg). Le analisi sono state effettuate su 50 campioni di funghi raccolti su territorio ticinese dai membri dell’Associazione svizzera dei controllori di funghi (Vapko) e appartenenti a sei specie commestibili: Boletus edulis ed erythropus (dei porcini), Xerocomus badius, Rozites caperata, Leccinum scabrum e aurantiacus. Da notare che la presenza del cesio-137 si aggiunge a quella di origine assolutamente naturale di potassio-40 ed entrambi i nuclidi contribuiscono all’esposizione annua alle radiazioni ionizzanti.
Dalle analisi emergono due superamenti di cesio-137 nei funghi, ma quali le conseguenze o i rischi per il consumatore? Lo abbiamo chiesto a Nicola Forrer, chimico cantonale aggiunto e vicedirettore del Laboratorio cantonale d’igiene: «I leggeri superamenti del valore massimo hanno riguardato due Xerocomus badius, una specie comunque poco consumata. La presenza del Cs-137 si aggiunge come detto a quella di origine assolutamente naturale del K-40 e in ogni modo la rilevanza dosimetrica della contaminazione radioattiva dovuta al consumo di funghi commestibili selvatici ticinesi è di scarsa importanza.
Considerando un consumo medio pro capite di circa 2 kg di funghi freschi all’anno, la dose efficace assunta per ingestione dovuta a questo radionuclide artificiale equivale infatti a 16-32 µSv, pari allo 0,4-0,8% dell’esposizione media della popolazione svizzera alle radiazioni di circa 4000 µSv all’anno (0,6-1,2% se si considera anche il contributo naturale del potassio-40).
Per chi consuma più di due chilogrammi di funghi all’anno, la situazione non è tanto diversa: «Per raggiungere un’esposizione radioattiva rilevante, bisognerebbe consumare circa 60 kg/anno del fungo più contaminato. Se invece consideriamo il valore medio ritrovato nei funghi analizzati, sarebbe necessario un consumo di 600 kg/anno di funghi per raggiungere una dose radioattiva significativa. In poche parole, l’assunzione dei funghi contaminati (da cesio-137) non ha conseguenze sulla salute e i funghi commestibili raccolti sul nostro territorio possono pertanto essere consumati tranquillamente in riferimento alla radioattività».
Anche la selvaggina, è risaputo, può essere soggetta ad accumuli di nuclidi radioattivi, data la predisposizione dell’animale a cibarsi anche di funghi, vegetali e radici a loro volta già contaminati: «In particolare i cinghiali – commenta Nicola Forrer – che talvolta si nutrono di specie come il tartufo dei cervi (Elaphomyces granulatus), un fungo non commestibile per l’uomo che cresce in autunno nei boschi specialmente sotto i pini, quasi alla superficie del terreno, e che può assorbire quantità rilevanti di cesio-137 (anche fino a 17’000 Bq/kg)».
Il Laboratorio cantonale effettua quindi con regolarità delle verifiche prelevando dei campioni di carne cruda e prodotti derivati di cervo, capriolo, camoscio e cinghiale, sia catturati in Ticino sia d’importazione. Le analisi vengono svolte su prelievi effettuati nelle macellerie, quindi dopo il primo controllo eseguito dall’Ufficio del veterinario cantonale, in collaborazione con la Sezione radioattività ambientale dell’Ufsp. Questa verifica permette già di intercettare ed eliminare gli ungulati, soprattutto i cinghiali, particolarmente contaminati. I 20 campioni esaminati durante l’ultima campagna d’analisi hanno mostrato tracce di Cs-137, con una contaminazione media di 38 Bq/kg e valori massimi riscontrati in due carni di cinghiale catturati in Ticino di 136 e 163 Bq/kg, quindi sempre al di sotto del valore massimo di 600 Bq/kg e, di conseguenza, senza impatto sulla salute dei consumatori.