Petra e Peter sulla sommità dell’Olimpo

Sport - Petra Vlhová conquista l’affetto della tifoseria raggiungendo la notorietà del suo connazionale Peter Sagan, tre volte campione mondiale di ciclismo; ma non sono mancate le polemiche
/ 05.04.2021
di Giancarlo Dionisio

Petra è una vincitrice degna, così come lo è Alexis Pinturault. Il francese, dopo essersi più volte inchinato allo strapotere dell’austriaco Marcel Hirscher, lo scorso anno è stato gabbato dal Covid, che ha interrotto la stagione, proprio mentre il transalpino stava rimontando sul norvegese Aleksander Kilde. Petra e Alexis non hanno rubato nulla. La FIS (Fédération Internationale de Ski), sì. Ha scippato spettacolo ed emozioni al pubblico, agli atleti, e alle televisioni che avevano acquistato i diritti di diffusione.

Se, ad esempio, la sera della finale di Champions League, un tornado si abbattesse sullo stadio di Istanbul, l’Uefa, la rinvierebbe di 1 o 2 giorni. Se necessario, la sposterebbe altrove, in Papuasia, in Capo al Mondo, su Marte, ma quella finale passerebbe agli annali, con tanto di foto dei vincitori che sollevano al cielo la Coppa dalle grandi orecchie. Con la Sfera di cristallo è andata diversamente. Ed è un peccato. Soprattutto per uno sport che, complice il riscaldamento del pianeta, è a rischio di estinzione più di quanto non lo siano il pipistrello delle Seychelles o il rinoceronte di Sumatra. 

Sono bastati due giorni di neve e nebbia per paralizzare il meccanismo proprio nel momento in cui avrebbe dovuto girare come la ruota del Trocadero. Il pubblico ha fatto fatica a cogliere le ragioni per le quali la FIS non abbia semplicemente anticipato Slalom e Gigante, più facilmente gestibili, per lasciare Discesa e Super G al week end, quando già si sapeva che la meteo sarebbe stata più clemente. Gli appassionati non hanno capito neppure perché la Federazione Internazionale di Sci ha deciso di non annullare il poco attraente Team Event del venerdì, per fare posto almeno a una delle due prove veloci. O ancora, ci si chiede – in assenza di pubblico, a causa delle restrizioni anti-pandemia, con il settore alberghiero tutt’altro che sotto pressione – sarebbe stata una follia sforare nella settimana successiva? 

Attraverso i microfoni e i taccuini di mezzo mondo, i delegati FIS hanno fatto sapere che il regolamento delle Finali di Coppa del Mondo, sottoscritto da tutti i paesi, non prevede cambiamenti di programma. In altri sport, come ad esempio il ciclismo, quando la meteo condiziona la corsa, la Giuria riunisce tutti i responsabili delle squadre per informarli che quattro Gran Premi della Montagna vengono cancellati, oppure che la tappa verrà accorciata o allungata. Nessuno batte ciglio. Non sarebbe stato possibile convocare tutti nel quartier generale FIS a Lenzerheide, per proporre una deroga al regolamento? Qual era il dubbio? Che i delegati slovacchi e francesi avrebbero boicottato le gare? Io credo di no. Sono convinto che la sportività avrebbe prevalso. 

Se Petra Vlhová e Alexis Pinturault avessero perso la Grande Coppa a favore di Lara Gut-Behrami e Marco Odermatt, ne sarebbero comunque usciti vincenti sul piano etico. E se invece fossero riusciti a contrastare la rimonta dei due Svizzeri, la loro luce ne sarebbe uscita centuplicata. Immagino le standing ovations trasversali, da Lenzerheide a Oslo, da Parigi ai Monti Tatra, ovunque, dove c’è qualcuno che ama le sfide. Sarebbe stato l’epilogo più entusiasmante dopo un decennio, ad eccezione dello scorso anno, cloroformizzato dai trionfi di Marcel Hirscher e Mikaela Shiffrin.

In prospettiva, c’è da riflettere. Ripetere l’errore di quest’anno, potrebbe avere effetti preoccupanti in termini di credibilità. Il mondo dello sci si sta interrogando. Sia su questo, sia su altri temi, come quello di una più equa distribuzione delle varie discipline nel calendario di Coppa del Mondo. Quest’anno i numeri parlavano di un leggero vantaggio (+due) delle prove tecniche su quelle veloci. Se però è vero che il prossimo anno sono previsti undici Slalom a fronte di cinque Super G, proprio non ci siamo. Non ci sono ragioni tecniche e, soprattutto, non ci sono ragioni di equità sportiva. Si intuiscono per contro, delle chiare motivazioni finanziarie. 

Il numero delle località turistiche che si offrono per organizzare uno slalom è nettamente superiore a quello dei luoghi in grado di ospitare una Discesa o un Super G. Perché neve, vento, pioggia e nebbia, difficilmente riescono a bloccare uno slalom, mentre uno solo di questi elementi è in grado di paralizzare una prova veloce. Forse, queste iniquità di trattamento, a meno di un’auspicabile, ma difficilmente prevedibile controtendenza climatica, verranno risolte quando si potrà gareggiare solo oltre i 3000 metri, su ciò che resterà dei sempre più striminziti ghiacciai in via di scioglimento. Quando il mercato del turismo non detterà più legge. 

Perché? Perché il pubblico si godrà le gare comodamente seduto, al caldo, sul divano di casa, e tra un gruppo di sciatori e l’altro, oltre agli spot pubblicitari, le TV diffonderanno delle «Clip Nostalgia» relative ai tempi in cui si poteva andare a Garmisch, Wengen, Kitzbühel, Courchevel o Vail. Mi auguro però che questo sia solo uno scenario fantascientifico.